Donatella Donati
Alcuni anni fa un gruppo di imprenditori ebrei provenienti da Tel Aviv, invitati da un imprenditore italiano, furono a Recanati per esplorare la possibilità di costruire in contrada Chiarino, di fronte al mare, una struttura alberghiera di lusso integrata nell’ambiente. Non se ne fece niente per motivi paesaggistici ben comprensibili. Uno di loro mi disse che era stato molto stupito di conoscere l’esistenza di una città dal nome Recanati perché gli unici Recanati che lui conosceva erano il cabalista ebreo del XIII secolo Menahem Recanati, il banchiere Recanati proprietario di una delle più importanti banche di Tel Aviv chiamata appunto banca Recanati, e il vino Recanati che si produce sulle colline intorno a Tel Aviv.
Ho contattato l’imprenditore di Porto Recanati che li aveva ospitati e mi ha confermato l’importanza della banca Recanati che ha stretti rapporti con l’imprenditoria del luogo anche se forse oggi il suo proprietario non vive più a Tel Aviv. Fu l’occasione per scrivere nel bel volume Recanati justissima civitas pubblicato nel settembre del 2008 a cura di Giancarlo Càpici con interventi di vari autori esperti della storia della città e fotografie di prima qualità, per dare molte notizie sugli ebrei che per molti secoli vissero e operarono pacificamente in quella città.
Menahem Recanati così chiamato in tutto il mondo dal luogo di provenienza è stato uno dei più grandi cabalisti se non il migliore in assoluto che nell’interpretazione dei testi sacri ha saputo mettere insieme scienza e fede risolvendo a suo modo un problema che fino ad oggi coinvolge tutta la filosofia cristiana. Al suo tempo gli ebrei recanatesi erano soprattutto prestatori di denaro al Comune e mercanti di prodotti provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico e dall’Umbria e dalla Toscana. Quella recanatese era la più importante comunità marchigiana dopo quelle di Pesaro, Fano e Ancona che avevano il vantaggio dell’affaccio sul mare. I rapporti con i cristiani regolati dal patto di Omar del IX secolo consentirono loro sufficienti libertà per prosperare, avere una sinagoga e un cimitero di cui sono rimaste tracce fino al tempo di Leopardi perché Monaldo fa allusione ad una lapide sulla sua presunta tomba.
Giacomo parlava correttamente l’ebraico e quando degli studiosi ebrei anconetani vennero al palazzo per consultare testi nella biblioteca, si stupirono della scioltezza superiore alla loro con cui il giovanissimo studente lo sapeva parlare. Ma torniamo a Tel Aviv dove in questi giorni si festeggia la rielezione di un capo al quale andrebbe augurato un maggior senso di tolleranza e di apertura nei confronti dei concittadini arabi. Se Menahem Recanati è conosciuto anche da lui saprà come i principi fondamentali della sua cabala fossero la coerenza e l’integrazione delle varie parti. Di lui è anche molto noto il Libro delle preghiere che presto, tradotto da Giancarlo Sonnino,professore anconetano, sarà dato alle stampe (edizioni Il Prato) anche in Italia dopo anni di ricerca di un editore disposto a farlo. Chi a Recanati se ne sarebbe potuto occupare, dopo che Foschi ne aveva affidata la traduzione proprio a Sonnino, il Comune o il Centro studi non hanno risorse da impiegare in questa pubblicazione. Interessanti le informazioni che mi sono state date da Sonnino circa l’esistenza di manoscritti di Menahem a Gerusalemme che dovrebbero essere un prezioso oggetto di studio. Chissà se dopo la pubblicazione del Libro delle preghiere, nel nome di Menahem di salda fede ebraica ma di grande apertura mentale, non si possa fare un convegno utile a conoscere meglio quello che succede oggi nei rapporti tra religioni.
http://www.cronachemaceratesi.it/2015/03/22/da-recanati-a-tel-aviv-antichi-rapporti-nel-mediterraneo/636055/