Capitolo 8 – Ai margini della società Sefardita.
Dopo il 1492 la povertà continuò a diffondersi nel mondo Sefardita; ai capi comunitari era richiesto di occuparsi dei poveri della loro congregazione. Coloro che non lo facevano rischiavano la denuncia alle autorità non ebraiche. Ma spesso i fondi non erano sufficienti per mantenere i poveri. Nonostante qualche autorità domandasse di consentire agli ebrei poveri di avere qualche voce nel governo comunitario i poveri non furono mai realmente integrati nei processi politici in maniera significativa.
A Salonicco, una ribellione contro la direzione della congregazione emerse a causa del maltrattamento dei membri poveri della comunità, che si lamentavano di sentirsi come una pecora che non ha pastore.
Come altre regioni del Mediterraneo la fusione culturale fra i sefarditie gli ebrei locali non fu mai completa. Dal XVI secolo il Maghreb fu diviso in tre zone distinte: una nel Nord, nella qualche gli ebrei apertamente associavano se stessi con la cultura spagnola e portoghese; una nel lontano Sud, dove la cultura spagnola non penetrò, ed una nella quale la cultura degli espulsi, i Meghorashim e quella dei Toshavim, gli ebrei autoctoni, si unì.
La presenza di ebrei rifugiati da Malaga e Granada, che parlavano arabo, facilitò questa fusione di identità ebraiche. Questi ebrei aiutarono a promuovere una forma particolarmente andalusa della tradizione intellettuale sefardita che sostiene l’importanza della lingua, poesia e filosofia araba.
Nelle comunità dell’Impero ottomano, lo stesso lento processo di “reinvenzione” nazionale aiutò la trasformazione di comunità di rifugiati in una nuova società della diaspora sefardita.
In contrasto con l’ambiente del Nord Africa, i sefarditidei Balcani e del Levante enfatizzarono il più recente retaggio della Spagna cristiana e del Portogallo, rispetto alla loro più lontane radici della Spagna musulmana. Generalmente, furono le loro caratteristiche spagnole, incluse la conoscenza delle armi da fuoco stampa, lingue europee,che li aiutò a promuovere i legami mercantili in Europa attraverso i porti di Venezia, Ancona, Ragusa e Livorno. Data questa concentrazione di esperti, non è una sorpresa che Salonicco, il principale passaggio fra i mercati europei e ottomani, si sviluppasse rapidamente e divenisse una delle più importanti città della diaspora sefardita.
Le comunità sefarditedell’Impero ottomano nella seconda e terza generazione misero un’enfasi crescente sulla Spagna come una comune e idealizzata patria. Nell’immaginazione degli ebrei sefarditi la rivendicazione di un unico e glorioso passato servì gli interessi culturali e psicologici di coloro che cercavano di dare un senso all’esilio de loro genitori alla luce del loro rilievo culturale e il successo sciale ed economico.
Nelle città nelle quali i sefarditipredominarono, associare una persona con elementi dell’eredità spagnola divenne un mezzo per fare parte dell’élite dominante.
I centri mercantili dell’Italia formarono la terza area della diaspora sefardita.Dopo il 1492 gli esiliati dalla Spagna e Sud Italia dovettero cercare dove vivere. I conversos portoghesi cominciarono ad arrivare nella penisola negli anni ’30 ’40 del secolo XVI [1].
[1] J. Ray, After expulsion, cit., p146