Capitolo 7 – Rivalità, faziosità, e i limiti delle reti sociali
Gli ebrei volevano ricostruire dei governi locali adatti ai nuovi insediamenti. I Rabbini erano richiesti come insegnanti e autorità nella legge ma i posti ambiti non erano molti e grande fu la competizione. Come risultato molti di loro divennero delle figure itineranti e anche quelli più noti furono costretti a spostarsi da città in città. Un caso emblematico è quello di Rabbi Gedaliah Ibn Yahya: discendente di una delle più antiche e potenti famiglie portoghesi, fuggì in Italia prima del 1497 e passò la maggior parte della sua vita come Rabbino itinerante. Molti rabbini divennero giudici, capi spirituali in comunità non sefardite, realtà che nel corso del secolo XVI divenne sempre più comune nel mondo ebraico. Come insegnati e giudici nelle varie congregazioni non sefardite, questi studiosi contribuirono a diffondere le tradizioni legali spagnole e i riti religiosi nel Mediterraneo dell’est. Coloro che non poterono avere posizioni di insegnanti o predicatori di una comunità finirono per comporre sermoni per i Rabbini i cui lavori erano più stabili. Questo fu il caso di uno dei più prolifici scrittori di sermoni dell’inizio del scolo XVI: Joseph Garçon. Garçon era nato in Castiglia prima dell’espulsione, e aveva lasciato il Portogallo per Salonicco e Damasco, lavorando come predicatorie itinerante e scriba.
I rabbini di questo tempo considerarono loro stessi in generale autorità religiose per tutti gli ebrei, e non solo per coloro che avevano lo stesso retaggio etnico. Comunque, spesso i consigli comunitari ostacolavano l’idea di studiosi provenienti da altri gruppi etnici. Quei Rabbini senza una stretta relazione con una particolare congregazione non erano sempre i benvenuti per predicare o fornire una guida spirituale. A Salonicco ad esempio, scoppiò una querela fra rabbini che volevano predicare nelle congregazioni che avevano già i loro rappresentanti, e i dirigenti della comunità proibirono la pratica. In altre città, questi conflitti si allargarono alle associazioni religiose paracomunitarie che, come le congregazioni, erano costruite secondo identità etniche e regionali. A Roma, le associazioni ebraiche legate alle congregazioni Casigliana e Catalana, si scontrarono sul diritto di fare sermoni a Shavuot.
Il conflitto, che durò per mesi negli ani 1520-21 si accese di nuovo nel 1539, fra la congregazione casigliana-francese e la catalana-aragonese.
Vi furono anche studiosi che non avendo un incarico comunitario, si occuparono di affari politici e furono accusati da altri ebrei di essere sopraffatti da tali occupazioni. Rav Eliahu Mizrachi,[1] parla dell’arroganza di alcuni di alcuni dei suoi Talmidim che parlavano quando avrebbero dovuto tacere:[2]
Rabbi Meir ben Isaac Katzenelenbogen,[3] uno studioso ashkenazita che viveva a Padova, mostra le stesse opinioni in una lettera aperta al Rabbino sefarditaMoses Alashkar, che allora viveva a Gerusalemme. Egli rimprovera ad Alashkar la sua intercessione riguardo a una disputa svoltasi a Candia, spiegando l’ampia portata raggiunta dai conflitti locali, e l’atmosfera velenosa da essi prodotta. Rabbi Meir scrive:
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Rav Moses Alashkar in She’elot we-Teshuvot no. 113, scrive che la domanda era stata la seguente:
Per i rabbini poi esisteva anche il problema di coloro che non erano molto interessati a proseguire gli studi o che non potevano pagare. Solo nel corso del secolo XVII la quantità di studiosi sarà regolata secondo la domanda di impiego.
Il secolo XVII segnò un cambiamento nell’assegnazione di incarichi nelle Yeshivot, almeno nell’Impero Ottomano.
Nel secolo XVI, esse erano strettamente associate con comunità individuali che fungevano da loro finanziatrici e davano loro il proprio nome.
Questa situazione cominciò a deteriorarsi alla fine del secolo XVI, quando le varie congregazioni, assillate da problemi finanziari, erano incapaci di finanziare le Yeshivot.
Come risultato i Rabbini e i loro studenti divennero sempre di più dipendenti dal mecenatismo di singoli ricchi piuttosto che dalla locale comunità
Questo arrangiamento creò un mezzo per li ebrei più ricchi di guadagnare status e onore attraverso il riconoscimento pubblico del supporto finanziario delle loro istituzioni religiose, ma anche consentì loro di giocare un nuovo e spesso intrusivo ruolo nella direzione interna delle scuole.
I rabbini che erano riusciti a entrare nella struttura politico religiosa di una particolare congregazione erano confrontati da un altro tipo di rivalità: l’élite mercantile che si occupava degli affari comunitari.
Mentre gli studenti rabbinici continuavano a formare una parte integrale dell’auto-governo come consiglieri, la natura della loro relazione fu afflitta dall’ambiguità. Gli ebrei sefarditi erano impegnati nella preservazione delle tradizioni dell’ebraismo, e videro il ruolo del Rabbino come essenziale a questo processo.
La strada precisa per la quale i rabbini erano integrati nell’amministrazione comunitaria, come il meccanismo per il quale era deciso quale Talmid avrebbe coperto questo ruolo, non fu più chiaro nel XVI secolo, come lo era stato prima del 1492. Una delle strade nelle quali i talmidim riuscirono nell’inserire se stessi nelle strutture di governo della locale comunità fu attraverso il loro coinvolgimento nelle varie Va’adim comunitarie. Tali consigli erano generalmente dominati dai laici. Nel secolo XVI comunque nelle terre ottomane queste istituzioni sembra che abbiano avuto una grande presenza di studiosi.
Altrove, i Rabbini cercarono un ruolo permanente nella direzione politica comunitaria, e avrebbero criticato i consigli comunitari quando provavano a promulgare delle ordinanze senza la loro approvazione. Questi studiosi, comportandosi così, affermavano l’attuazione di un ideale futuro di governo ebraico che mescolava un consiglio di rappresentanti comunitari con la guida di coloro che avevano studiato la legge ebraica.
In qualche caso i rabbini cercarono di fare la più grande chiarezza in questo modello di base di governo cooperativo e vollero dare una definizione più formale alla relazione fra il Kahal e i consiglieri rabbini. Rabbi Levi Ben Jacob Ibn Habib (m.1545) uno studioso noto in Castiglia che divenne un’autorità di primo piano a Gerusalemme e Salonicco, affermò che una volta che la comunità avesse riconosciuto la direzione di un Rabbino non avrebbe potuto passare un decreto senza il suo consenso. Nonostante tutto simili affermazioni erano notoriamente difficili da fare rispettare. Il grado nel quale un dato Rabbino era coinvolto nel governo di una particolare congregazione dipendeva dall’abilità dello Talmid nel richiedere rispetto. I tentativi di definire i diritti e le giurisdizioni di studiosi e dei consigli comunitari ebraici si rivelò estremamente controverso. Ricorrente soggetto di dibattito fu l’esenzione rabbinica delle tasse comunitarie e la definizione esatta del principio governativo di “ruolo maggioritario”. Il generale consenso fra i Rabbini di questo periodo fu che il ruolo di maggioranza significava che il “ruolo maggioritario” doveva essere applicato al governo interno di un Kahal individuale solamente e non come interazione fra congregazioni separate all’interno di un insediamento ebraico. Questa interpretazione ebbe come effetto la difesa dell’autonomia delle congregazioni più piccole e dei loro Rabbini. La norma fu generalmente accettata, ma vi furono delle critiche. Rabbi Joseph Ibn Lev dissentiva da questo generale orientamento, sostenendo che la maggioranza delle congregazioni avevano il diritto di imporre la loro volontà alle minoranze in ogni questione. Levi Ibn Habbid considerò in maniera insolita le relazione fra la maggioranza e minoranze nelle comunità ebraica.
Suggerì che, nonostante la predominanza numerica, la maggioranza nondimeno doveva operare come una fazione nella stessa maniera della minoranza. La conclusione era comunque che le decisioni della maggioranza potevano solamente essere fate valere su un gruppo di persone che non erano d’accordo se essere erano presenti al momento della decisione Se, però, il gruppo minoritario non era presente al momento della decisione del consiglio, e non era stata data un’adeguata opportunità di sostenere la propria opinione e quindi persuadere la maggioranza, ogni simile decisione non era comunque considerata vincolante per loro.
Uno dei successori di Rabbi Ibn Habib a Salonicco, Rabbi Solomon Ben Abraham Ha-Cohen (1602 m.) sostenne questa interpretazione di interazione comunitaria, dicendo che questo dibattito aperto era necessario per determinare una vera opinione maggioritaria. Risposto a un interessante caso nel quale un funzionario di una Sinagoga aveva discusso di una questione con altri capi della comunità uno alla volta, e annotava la loro opinione come un mezzo per ottenere una decisione della maggioranza. Ha-Cohen denunciò simili tattiche, sebbene esse rimanessero comuni del mondo ebraico in molti come Salonicco.
Per quanto riguardava le tasse di coloro che studiavano, Rabbi Moses Alashkar dichiarò che dovevano essere esenti dal pagamento anche se dedicavano parte del loro tempo al commercio, fino a quando lo scopo principale era sostenere se stessi per poter studiare la Torah. Dichiarò che un Talmid deve essere esentato dalle imposte messe sulla comunità ebraica, anche se gli possiede proprietà e ricchezze.
Simili dichiarazioni di esenzione personale mise alla prova il rispetto che l resto della comunità aveva per questi Talmidim.
Normalmente l’ebreo vedeva questi studiosi impegnati nel commercio e la ricerca di ricchezze. Avrebbe sopportato meglio l’esenzione se avessero sopportato il peso delle tasse richieste dall’autorità non ebraiche.
[1] Rav Eliahu Mizrahi (1450-1526), matematico, talmudista e Poseq, nacque a Costantinopoli in una famiglia di origine non sefardita; studiò con rav Eliahu ha-Levi e Yehuda Minz di Padova. Successe a rav Moshe Capsali quando questi morì nel 1495 come Chakham Bashi , Grande Rabbino, dell’Impero ottomano.
[2] Cfr. rabbi Eliahu Mizrahi, Sermon, Colombia, MS X893D443.6a, 9a [ebraico]; Hacker, Jewish Community of Salonika, addenda 7, 51-53; Eliahu Mizrahi, She’elot we-Teshuvot, Yerushalayim, 1938. Pdf: http://www.hebrewbooks.org/1233; rabbi Menachem Tamar, Exegesis in the books of Esther, Bodleian Library, Oxford MS 353 in Neubaur Catalogue, 64b; in Minna Rozen, A History of the Jewish Community in Istanbul: The Formative Years, 1453–1566, Leiden, Brill 2002, p. 261.
[3] Rabbi Meir ben Isaac Katzenelenbogen (1473-1565). Dopo aver studiato a Praga andò a vivere a Padova dove studiò nella Yeshivà di Yehuda Minz, di cui sposò la figlia. Fu rabbino nominale di Venezia, ma la sua residenza restò Padova. Grande autorità, molti rabbini lo consultavano, fra i quali Moses Alashkar, Obadiah Sforno e Moses Isserles. Fu autore di 90 responsa, pubbicate con il titolo: She’elet we-Teshuvot.
[4] In Yehuda ben Eliezer Minz, ha-Levi, Meir ben Isaac Katzenelenbogen, Pe’saqim weShe’elot Teshuvot ha-rav Yehuda Mintz we-ha-rav Meir MiPadova,Venezia, Bragadini 1553, no. 29, p. 61 Pdf: http://www.hebrewbooks.org/11870, p.139. Citazione J. Ray, After expulsion, cit., p. 106. Nella traduzione italiana: «Tu sei fortunato a essere a Gerusalemme, mentre la tua rete si stende a Candia. Tu cerchi di scegliere fra due leoni che si sono battuti per molto tempo. Io rifiuto di essere implicato e non cerco di pronunciarmi fra di loro, anche se mi implorano di farlo in molte lettere. Sono consapevole che questa non è una controversia Le Shem Shamaym, e che solo la gelosia e il contenzioso li hanno portati a questo stadio. Ho deciso che se scrivo loro dichiarando la mia opinione, inevitabilmente dovrei essere d’accordo con uno di loro. Egli alzerebbe la sua mano sull’altro e proclamerebbe “ho vinto”, e l’odio fra loro crescerebbe soltanto. Io dico, lasciali risolvere la cosa fra di loro».[5] Moses Alashkar She’elot we-Teshuvot, Yerushalayim, Yosef Dov Steizberg 1959, p. 289. Pdf: http://www.hebrewbooks.org/1168, p. 289. Alla fine della Teshuvà il rav dà il modo in cui è raccolta la testimonianza dei due frattelli. Cfr. Yehuda ben Eliezer Mintz, Meir ben Isaac Katzenelenbogen, Asher Siev Asher, A. She’elot we-Teshuvot rav Yehuda Mintz. B. Seder Ghittin we-Chalitzà we-khtav ha-Shivat khetuvà. G. Sheelot we-Teshuvot rav meir mi-Padova, New York, Keren Michael 1995, p. 155