Capitolo 6 – I viaggi di un converso tessitore.
Il grande esodo degli ebrei dalla Spagna provocò a grandi cambiamenti nella vita ebraica e le relazioni sociali, economiche e intellettuali si modificarono con i nuovi itinerari intrapresi. Nel secolo precedente i massacri del 1391 avevano messo in moto nuovi processi nel mondo ebraico e dopo il 1492 gli ebrei dovettero confrontarsi con problemi identitari, status religioso, associazioni comunitarie: persone, gruppi famiglie di rifugiati che cercavano mezzi di sopravvivenza materiale e spirituale e che per un certo periodo vagò nel Mediterraneo, dando vita a storie tragiche, complesse, commoventi e spesso dolorose.
Un documento dell’Inquisizione scoperto alla fine del XIX secolo narra le peregrinazioni di un certo Luis de la Isla di Illescas, Spagna, la cui vita rappresenta un microcosmo di quanto accadde per la generazione dell’espulsione.[1] Luis aveva otto anni nel 1492, quando la famiglia lasciò il paese di Buitrago, vicino Soria, non lontano da Toledo. I suoi lasciarono la Spagna per l’Algeria e a causa della situazione politico-economica instabile degli ebrei rifugiati, dopo due mesi partirono per Venezia, dove vissero per tre anni. Il lavoro era difficile da trovare, poiché dipendeva in larga misura dai legami familiari. In Italia le opportunità per gli ebrei poveri erano scarse, così Luis decise di lasciare Venezia e l’ebraismo. Da Venezia andò a Genova, si convertì al cristianesimo e tornò in Spagna. Passò per Toledo, dove nella casa dell’arcidiacono vivevano altri neofiti. Dopo 7 mesi andò a Ubeda, nell’Andalusia, per apprendere la tessitura della seta .
Cominciò poi a lavorare come artigiano itinerante presso tessitori residenti e spesso viveva nelle loro case. Per un decennio passò da luogo a luogo. Nel 1506 Luis lasciò la Spagna per l’Italia per sfuggire alla peste.
In Italia ebbe contatti con ebrei ex conversos che erano tornati a osservare la fede ebraica. Non sappiamo se la sua decisione di tornare in Italia fosse dovuta al suo desiderio di tornare all’ebraismo. Luis passò per Roma, Bologna, Ferrara, ma non sembra che si sia messo in contatto con le comunità sefardite locali.
I documenti dell’Inquisizione esaminano i suoi viaggi. A Ferrara si era fermato per cercare lavoro, aveva parlato con un ebreo proveniente da Murcia, e gli aveva chiesto se qualcuno a Ferrara si occupava della tessitura della seta. Fu mandato da un altro ebreo chiamato Cababon, originario di Guadalajara, produttore di ornamenti. All’uomo raccontò di essere stato ebreo, di essere divenuto cristiano, di essere originario di Illescas, in Castiglia. Fu poi invitato da questo ebreo a pranzare in giardino, e vi ritornò il Sabato. Prima di mangiare andò alla Sinagoga a pregare con l’ebreo che l’aveva invitato, arrivando a metà del servizio religioso. Sedettero e l’ebreo castigliano rimase fino alla fine della preghiera.
Dopo aver mangiato con l’altro ebreo, si recò fuori della città e non tornò nella casa dell’altro fino al giorno successivo, domenica.
Incapace di trovare lavoro, Luis continuò il viaggio fino a Venezia, da dove partì per Napoli. Sulla nave incontrò due mercanti portoghesi che offrirono a Luis la possibilità di lavorare con loro. I tre rivelarono di essere stati precedentemente ebrei. Quando la nave fece naufragio, e i tre andarono a Valona, città che si trovava nell’impero ottomano. Qui abitavano molte persone che erano state conversos, provenienti da Valencia, e circa 70 famiglie di ebrei che vi si erano stabilite fra il 1391 e il 1492.
Una volta a Valona, i due mercanti e il nostro tessitore tornarono apertamente all’ebraismo, osservavano apertamente lo Shabbat, e le festività ebraiche. Non è certo se Luis si recasse in Sinagoga per pregare.
Siamo informati di come trascorse di come trascorse questo periodo a Valona dalla fonti inquisitoriali: il testo della confessione resa al giudice dall’accusato Luis dice che i mercanti vivevano come ebrei, osservavano tutte le cerimonie ebraiche e mangiavano durante la quaresima. Egli aveva fatto con loro lo Shabbat e mangiato i loro cibi cotti prima del Sabato; durante la quaresima, aveva celebrato la festa del pane non lievitato. L’accusato era andato qualche volta di Sabato alla Sinagoga con i due uomini, ma rimaneva fuori e andava in uno dei cortili intorno alla sinagoga o in giro per la laguna con altri giovani soggetti come lui. Nell’originale testo inquisitoriale è scritto che:
É que los dichos mercaderes dixeron á este confesante que sy los queria servir en la nao, que le harian la costa; é este confesante los sirvió, é le davan de comer. É que este confesante pensó que los susodichos yvan al Reamen de nápoles, é que yendo por la mar se quebró la nao; é que entonces los susodichos dieron á conocer á este confesante que avian sido judíos, é que se yvan á brinbes. É este confesante les dixo que tambien él avia sydo judío; é que los susodichos tomaron un gripo, é se pasaron á la velona, é este confesante se fué con ellos, que es en la turquía. É que llegaron á la velona en principio de quaresma; é que toda aquella quaresma estovo con los susodichos. Los quales dichos mercaderes bivian como judíos, é hasian todas las cerimonias de judíos, é comian carne la dicha quaresma; é este confesante guardava los sábados con los dichos judíos, é comía de los manjares quellos comían, guisados de los viernes, para los sábados. E que en la dicha quaresma los susodichos celebraron la fiesta del pan cenceño, é este confesante con ellos; é que algunas veces este confesante yva á la synoga con los dichos sus amos, los sábados; é que quando llegava á la puerta de la synoga, este confesante dexava á los dichos sus amos, é se quedava de fuera, é se andava por unos corrales al de redor de la synoga é por la marisma con otros moços soldados como él.[2]
Nella sua testimonianza per l’Inquisizione, è possibile, se non evidente, che Luis abbia nascosta la sua partecipazione alla preghiera; ma forse, come altri ebrei con storie simili, aveva seguito un comportamento religioso proprio di quel tipo, cioè distaccato rispetto al rituale ebraico.
Luis ammette che il suo ritorno alla fede ebraica lo aveva portato a osservare tutto eccetto la preghiera, un’infrazione nell’osservanza che condivideva con altri giovani. Possiamo presumere che, date le dimensioni modeste delle sinagoghe, uomini come Luis che conducevano esistenze ai margini della comunità ebraica, ed i giovani aiutanti, specialmente coloro che prima erano conversos, accompagnavano i loro padroni alla sinagoga ma non pregavano con loro.
Luis da Valona si spostò dopo a Salonicco e continuò a vivere come ebreo. Incontrò apertamente un sarto ebreo chiamato Castellar, che aveva conosciuto quando viveva a Valencia come cristiano, che gli fece conoscere altri ebrei di origine spagnola. La maggior parte degli ebrei che incontrò a Salonicco erano originari di Valencia o del centro della Castiglia e lavoravano come tessitori.
Luis trovò in seguito lavoro presso un mercante che lo portò ad Adrianopoli e dopo a Istanbul, dove frequentò altri ebrei ex conversos che aveva conosciuto in Spagna.
Luis approfittò di questi contatti per viaggiare in varie regioni del Medio Oriente. Una volta nella città di Alessandria si separò da altri ebrei con cui viaggiava. Qui decise di tornare al cristianesimo. Nella città trovò lavoro presso una colonia locale di mercanti di origine catalana, a cui si presentò come cristiano.
Dopo esser tornato al cristianesimo, Luis incontrò un altro gruppo di conversos,che gli promisero del lavoro se fosse tornato a osservare l’ebraismo.
Luis dichiarò al tribunale dell’Inquisizione di aver rifiutato le loro offerte, ma ammise di aver continuato ad andare ai sevizi religiosi nella sinagoga con qualcuno di questi ebrei che dichiarava, lo avrebbero trattato con violenza se avesse rifiutato.
Nel documento dell’inquisizione forse troviamo la chiave del perché Luis sia tornato a osservare il cristianesimo. Si dice infatti che, mentre era ad Alessandria conobbe due donne cristiane, una basca e una napoletana, che secondo le sue affermazioni si sarebbero innamorate di lui. In questo tempo Luis si ammalò e perdette la vista. Nella sua testimonianza dichiara che gli ebrei lo prendevano in giro e dicevano che Dio lo aveva punito perché non era tornato a praticare l’ebraismo.
Luis cominciò dunque un lungo processo di confessione e pentimento. Si confessò con due frati del luogo, che gli dettero l’assoluzione prima che lasciasse la città. Ad Alessandria confessò le sue varie trasgressioni e fu assolto. Da Napoli tornò a Valencia e dopo a Toledo. In Spagna, Luis fece una nuova confessione delle sue trasgressioni nel monastero di San Juan de los Reyes di Toledo. Lì, un monaco esortò Luis a confessare tutto all’Inquisizione, cosa che fece dopo una breve esitazione.
Secondo lo storico Jonathan Ray, quello che è impressionante nella storia di Luis non è tanto la ricerca di uno scopo, ma piuttosto la struttura anomala del mondo nel quale lui si muove: è giovane, sta cercando lavoro, e vaga da città a città, da paese a paese, cambiando case e comunità religiose, come un tipico eroe picaresco della letteratura spagnola del secolo XVI.
Un altro caso, quello di Juan di Toledo, un artigiano converso di Saragozza richiama quello di Luis de la Isla. Nel processo dell’Inquisizione del 1515 raccontò che dopo essere arrivato nell’Impero ottomano, era stato incapace di mantenere se stesso, e aver deciso di ritornare in Spagna. Juan si convertì al cristianesimo in Sicilia, e tornò in Spagna passando per Maiorca e Barcellona. Una volta in Spagna continuò a cercare lavoro e un luogo dove stabilirsi (ray pagina 62) Andò a Valladolid, Saragozza e in piccole città come Pedrola, Ricla e El Castellar. [3]
Solidarietà e timori nel mondo ebraico di fronte ai rifugiati ebrei
Nel suo racconto sull’espulsione, Gedaliah Ibn Yahya [4] scrisse che i capi della piccola comunità di ebrei portoghesi avevano paura di essere sommersi dalla massa dei rifugiati dalla Spagna, la maggior parte dei quali arrivata senza mezzi di supporto e il Portogallo non avrebbe potuto accogliere tutti quegli ebrei. Dopo essersi consigliate le autorità ebraiche decisero: « To strenuously
attempt to prevent the exiles from entering Portugal so as not to make themselves loathsome in the eyes of the king, the courtiers, or the inhabitants».
Gedaliah ibn Yahya spiega come suo nonno, una delle guide degli ebrei nel Portogallo, provò ad aiutare gli ebrei che fuggivano dalla Spagna:
Mio nonno di benedetta memoria, il notabile Don Joseph ibn Yahia,[5] disse che era in atto di disprezzo e provocazione chiudere le porte della salvezza ai propri fratelli. Suggerì di donare metà delle proprie proprietà per alimentare quelle anime e noleggiare imbarcazioni per portarli da Portolano a Fez e altri Regni.
Gli ebrei portoghesi rifiutarono di ascoltare questo notabile e come risultato gli esiliati furono forzati a negoziare con il Re del Portogallo per entrare.
Simile reazione suscitarono i rifugiati in Italia. L’afflusso di un grande numero di rifugiati, in generale poveri, minacciava di sopraffare le comunità ebraiche locali. Le domande di aiuti economici e luoghi dove vivere erano moltissime. La situazione in Portogallo descritta da Ibn Yahia si ripeté nelle aree del Mediterraneo. Le esigenze di nuovi arrivati erano molte: c’era bisogno di soccorrerli immediatamente, aiutarli a pagare il loro alloggio, bisognava occuparsi della tensione fra la comunità di ebrei basata su legami religiosi condivisi e le reali associazioni religiose di vari gruppi di ebrei.
La vera difficoltà di questi ebrei rifugiati presenti nel Mediterraneo erano dovute al problema di trovare luoghi sicuri dove vivere, dove poter prosperare. Anche quando le comunità ebraiche locali offrivano cibo e asilo agli ebrei privi di mezzi, questi dovevano comunque mantenere la loro identità come collettività separata che doveva negoziare con i governanti locali per ottenere il diritto di insediamento o un salvacondotto. Come gruppi di rifugiati partiti da un luogo spesso non sapevano dove avrebbero trovato la salvezza. Quando gli ebrei di Trapani, in Sicilia, si preparano ad andarsene nel 1492, presero contatto con un capitano napoletano, redigendo un accordo in sui si diceva esplicitamente che era obbligato a trasportarli fino a che avessero trovato un luogo in cui vivere. Le difficoltà degli ebrei di trovare un luogo adeguato in cui stabilirsi, furono amplificate dal grande problema del tempo: la schiavitù e il rapimento. La pirateria era frequentissima nelle strade del commercio nel Mediterraneo, senza dimenticare l’aumento della guerra d’assedio e le incursioni sulle coste che andavano dal Sud della Spagna a Rodi.
La schiavitù si rivelò molto difficile per gli ebrei: uomini e donne erano catturati e trattenuti per il riscatto o venduti come schiavi.
Cronache contemporanee ebraiche e cristiane mostrano che la conquista ottomana di Rodi nel 1522 aveva avuto come risultato il rilascio degli ebrei schiavi che erano stati obbligati a convertirsi al cristianesimo e adesso potevano tornare a osservare la fede ebraica.
Gli ebrei catturati dagli spagnoli a Béjaïa e Tripoli nel 1510 ad esempio furono venduti come schiavi in Sicilia. [6] Molti ebrei di corporatura robusta furono mandati a remare nelle galee del Mediterraneo, mentre le donne non riscattate dalle comunità ebraiche divennero delle serve e i loro figli spesso battezzati e cresciuti come cristiani.[7]
Le comunità ebraiche in Europa, incluse quelle dell’Impero Ottomano, lavoravano spesso insieme per riscattare gli ebrei schiavi, imponendosi delle tasse molto pesanti per questo scopo (in ebraico Pidion Shevuyim). I centri più grandi per la liberazione dalla schiavitù erano quelli di Venezia e Salonicco. Secondo la legge ebraica, alle donne schiave veniva data la precedenza sugli uomini per quanto riguardava il riscatto. La somma di denaro differiva secondo l’età e l’importanza del prigioniero; gli ebrei in generale pagavano secondo la valuta del mercato per evitare domande di riscatto esorbitanti da parte dei rapitori.[8]
Un caso straziante riguarda un bambino ebreo catturato e battezzato in Sicilia che tenne viva la memoria della sua famiglia e della sua fede: la conquista di Tripoli nel 1510 da parte degli spagnoli, ebbe come conseguenza il trasferimento di molti schiavi ebrei in Sicilia, probabilmente un certo numero di essi si convertì, come è possibile vedere nei Responsa di rabbi David ben Abi Zimra. Fu proprio a questo rav che le autorità ebraiche egiziane si rivolsero per avere la sua opinione riguardo l’identità di un uomo che diceva di essere stato catturato quando era un ragazzo durante la conquista di Tripoli da parte degli spagnoli, di essere stato venduto come schiavo a Parlermo e convertito. All’età di 35 anni l’uomo decise di tornare a professare la fede ebraica, lasciò la Sicilia e andò in Egitto per raggiungere la sua famiglia; suo padre però rifiutò di riconoscerlo, non potendo riconoscere in lui, un uomo maturo con una barba nera, il bambino di sette anni che era stato prelevato.
Scrive rav Zimra nella Teshuva 1175, volume 4:[9]
Teshuva 1175
א
שאלה ראובן נשבה כשהוא בן שש או כבן שבע והלכו עמו בשביה מבני עירו ומבני משפחתו והמיר דתו אבל מכל מקום היו אומרים קרוביו או בני עירו אתה בן יעקב המכונה כך וראובן זה נתגדל בהמרותו עד שהיה גדול וזקן ארוך בן ל”ה שנה או יותר ונתן אל לבו לבקש את האל ואת תורתו ואת אביו ובני משפחתו ושמע שאביו היה פה מצרים ובא אליו ויעקב אביו אמר אין אתה בני ואיני מכירך ונתן אביו טענות ואמתלאות שאין זה בנו. אמרתי לראובן הנזכר יש לך עדים שאתה בנו של זה אמר יש לי וכל בני עירי יודעים דבר זה וכל החברים והיושבים תמהו לדברי ואמרו ומה יועילו העדים והרי האב נאמן לומר אין זה בני וכן כתב הרמב”ם ז”ל פ”ד מהל’ נחלות אבל נאמן הוא על מי שהוא בנו לו’ אינו בני ולא ירשנו ויראה לי שאפי’ היו לבן בנים אעפ”י שאינו נאמן עליו לומר אינו בני לענין יחוס ואין מחזיקין אותו ממזר על פיו נאמן הוא לענין ירושה ולא ירשנו עכ”ל. הא למדת דלענין יחוס נאמן לומר אין זה בני והרי הוא ממזר אם אין לו בנים ואם יש לו בנים אינו נאמן וטעמא דמלתא דלא נתנה לו תורה נאמנות לאב אלא לגבי הבן דכתיב יכיר יכירנו לאחרים ולא לגבי בן בנו וכיון שכן אינו בדין שיהיה הוא ממזר ובניו כשרים אבל לענין ירושה נאמן אפי’ יש לבן בנים. ובנ”ד שאין לראובן בנים לא יהיה אלא שגדל עמו בחזקת שהוא בנו ואמר אביו שאינו בנו נאמן בין לענין יחוס בין לענין ירושה עד כאן תוקף השגתם עלי. אמרתי להם אם היה יעקב זה טוען בתחלה אותו הבן שהלך בשביה שאתם מחזיקים בו שהיה בני לא היה בני ודאי נאמן הוא עליו כדבריכם וכדכתב הרמב”ם ז”ל והכי איתא בפרק יש נוחלין לדעת רבי יהודה וקי”ל כוותיה. אבל טענת יעקב הכי היא אמת הוא שהיה לו בן כשר ובכור והלך בשביה אבל אין אתה. אותו הבן אלא אחר אתה לפיכך אם יש עדים שזה בנו של יעקב שהלך בשביה אינו נאמן להכחיש את העדים והרי הוא כשר ובנו של יעקב לכל דבר ואפילו שיחזור ויטעון אותו הבן שהלך בשביה שהייתם מחזיקים אותו שהוא בני לא היה בני אינו נאמן דהא מעיקרא לא אתי עלה מהאי טעמא וכיון שטען שוב אינו חוזר וטוען דאיכא למימר למדוהו לשקר וזה ברור וכן הודו החברים. לסוף אייתי סהדי שנשבה זה ראובן עמהם מטראבולוס והלכו בשביה לפאלירמו והיו יודעים שזה בנו של יעקב וגדל שם עד שהיה בן י”ב או י”ג שנה והניחוהו בלא חתימת זקן ועתה יש לו זקן ארוך אמרתי להם אתם יודעים שאותו ראובן שהנחתם בפאלירמו שהוא זה מקצתם אמרו לא נוכל להעיד בזה ומקצתם אמרו אנחנו מכירים אותו שהיה לו כויה במקום הנחת תפילין וכן נמצא לזה ראובן ומקצתם אמרו נכיר שהוא זה בטביעות עינא ובטביעות עינא דקלא. אמרתי בודאי זה עדות דאכמה דברים סמכינן אטביעות עינא ואפי’ אטביעות עינא דקלא בלחודוי סמכינן דאם לא כן סומא איך מותר באשתו ואנן איך אנו מותרין בנשותינו בלילה אם לא בטביעות עינא דקלא. ואם תאמר והא כתיב ויכר יוסף את אחיו והם לא הכירוהו ואמרינן עלה בגמרא מלמד שיצא בלא חתימת זקן ובא בחתימת זקן. הא לא קשיא דטעמא הוא דיהבינן אמאי לא הכירוהו אבל לא למימרא שלא יהא אפשר להכירו אם יצא בלא חתימת זקן ומעשים בכל יום שאדם מכיר את חבירו ואת קרובו שפירש ממנו בלא חתימת זקן וכ”ש כשאומרים זה פלוני דמדכר טפי וכיון שכן ראובן זה כשר ומחזקינן ליה בבנו של יעקב לכל דבר. עוד שאלו החברים הגע עצמך שלא היו עדים האם יאסר ראובן בקרובות יעקב ואם מת ראובן בלא בנים האם תהיה אשתו זקוקה לבני יעקב כיון שהוא אינו מכיר שזה יעקב אביו אלא על פי אחרים שהרי קטן היה. או דילמא שויתיה אנפשיה חתיכה :דאיסורא
ב
תשובה לנדון דידן לא נפקא מינה מידי דכיון דאיכא סהדי שנשבה זה בנו של יעקב והלך לפאלירמו אלא שאין מכירים
אם זה הוא הרי הוא מכיר בעצמו ואומר אני הוא שהייתי שבוי בפאלירמו ושם אמרו לי שאני בנו של יעקב ופשיטא שהוא אסור בקרובות יעקב ואשתו זקוקה לבני יעקב שהרי אמר יש לי אחים בודאי. אבל איכא למיבעי במי שבא ואמר אמרו לי שאתה אבי ואין עדים לפנינו מאי. ויש לומר דאי קים ליה דקושטא קא אמרו ליה דלא משקרי ודאי אסור בקרובותיו של יעקב ואי לא קים ליה בגוייהו מותר בקרובותיו והני מילי שאותם שאמרו לו כן הם פסולי עדות או עד אחד פסול אבל אם היו שני עדים כשרים ודאי אית ליה למיחש ואסור בקרובותיו אעפ”י שלא באו עדים לפנינו. :והנראה לע”ד כתבתי
Le generazioni dopo l’espulsione e le risorse morali: ingegnosità, pragmatismo, intelligenza, determinazione nel raggiungere gli obiettivi.
Cercando di capire le motivazioni dietro ai modelli dell’insediamento ebraico nella seconda e terza generazione dopo il 1492, potrebbe essere di maggior aiuto pensare al Mediterraneo nel XVI secolo come un luogo definito da forze contrastanti di pragmatico mercantilismo, sfide e scontri religiosi. Uno dei punti di continuità fra la società ebraica medievale e quella della prima modernità fu la forte abilità di resistere agli scoppi di violenza e gli effetti deleteri della legislazione antiebraica.
Gli ebrei avevano frequentemente difficoltà a trovare una ricollocazione a causa dell’odio dei cristiani e musulmani. Come era avvenuto durante il Medioevo, gli ebrei della prima era moderna continuarono a mostrare la volontà di poter vivere in una atmosfera di tensione religiosa anche se marcata da violenze, fino a quando potevano lavorare e conservare la speranza che le autorità locali potevano accettare le loro richieste.
L’emigrazione dal Portogallo dei conversos mostra la loro attitudine cauta e pragmatica: quando scelsero di emigrare, spesso lo fecero perché denunciati al tribunale dell’Inquisizione.[10]
Gli ebrei convertiti con la forza sapevano che la Corona portoghese non aveva interesse a perseguitare i “nuovi cristiani” e non osservavano con attenzione le loro credenze religiose. Le posizioni sociali ed economiche di queste persone dopo il 1497 avevano raggiunto alti livelli di potere nelle istituzioni secolari e religiose. [11]
Nel periodo in cui l’Inquisizione Portoghese fu istituita i conversos portoghesi svilupparono delle reti diplomatiche particolarmente attive a Lisbona e Roma.
Per assicurare i loro privilegi in campo mercantile, investirono molto denaro ed energia per annullare o posticipare l’espansione del Santo Uffizio in Portogallo; l’Inquisizione fu comunque creata ufficialmente nel 1536 ma le sue sentenze furono sospese fino al 1544-47.[12] Nonostante quindi l’insuccesso riuscirono a sospendere i loro destini e a dare la speranza alle generazioni future quando lasciavano il Portogallo.
Il concetto di politica ebraica: Famiglie, reti e il cambiamento dell’organizzazione sociale.
Riorganizzare le nuove comunità si rivelò molto difficile, gli ostacoli alla formazione di governi ebraici funzionali e autonomi durante il XV secolo furono sia esterni che interni ed un ampio conflitto caratterizzò il processo per arrivare alla riorganizzazione delle comunità. I contrasti furono dovuti alle politiche ebraiche e in particolare a coloro che cercavano di divenire gli agenti principali capaci di dirigere le comunità.
I rifugiati del 1492 ristabilirono le associazioni esistenti in Spagna e iniziarono a formare legami interregionali gli uni con gli altri.
Queste associazioni orizzontali rappresentavano una dimensione importante della diaspora sefardita.La creazione di ampie reti di mercanti e intellettuali ebrei era stata la caratteristica centrale del modello della società ebraica nel periodo medievale.
La famiglia, più di ogni altro tipo di organizzazione sociale, continuò a essere la più importante costruzione della comunità; una delle aree in cui svolse un compito importante fu in quella dell’aiuto legale, alle famiglie i cui membri erano stati uccisi dai gentili. Nell’Impero ottomano, i dirigenti del governo spesso non incriminavano coloro che erano sospettati di aver ucciso degli ebrei, a meno che non vi fossero dei familiari pronti a formulare accuse contro di loro. In simili casi, era stabilito che solo il familiare poteva legalmente intentare l’azione contro.
Le donne erano parte delle reti mercantili del XVI secolo, come produttrici di beni, ma non avevano la mobilità degli uomini. Le donne sefarditesvolgevano varie attività economiche. Erano prestatrici di denaro, si occupavano di vendite immobiliari, manifattura e vendita di tessuti, profumi gioielli e altre merci. Svolgevano il ruolo di agenti di artigiane musulmane, vendendo i loro beni al mercato pubblico mentre loro erano obbligate a rimanere in casa.
Per quanto poi riguarda il commercio di lunga distanza, in generale rimanevano comunque dipendenti dall’attività dei loro parenti maschi.
Uno dei costumi che i rifugiati sefarditi cercarono di ristabilire nelle loro nuove case fu la richiesta che il fidanzamento fosse fatto in pubblico e che aderisse a un ufficiale apposito. Le ordinanze promulgate nelle città di Fez e Salonicco richiedevano che il fidanzamento fosse in ebraico, per obbligare gli ebrei a studiarlo. Ancora le richieste che tutti i fidanzamenti fossero in presenza di almeno 10 testimoni, uno dei quali doveva essere una competente autorità rabbinica. Dalla metà del secolo XVI in Italia i capi delle comunità ebraiche cercarono di regolare i fidanzamenti in maniera simile. A Ferrara. Gli ebrei che non seguivano queste decisioni emesse nelle nuove ordinanze del 1554, furono soggetti a scomunica da parte dell’autorità.
Moses Alashkar,[13] è un esempio di come gli studiosi itineranti ebrei di questo periodo fornivano la loro esperienza in materia di matrimonio. Divenne giudice e autorità legale in Egitto e a Gerusalemme: rimase in collegamento con altre autorità rabbiniche nel Mediterraneo, in Italia e Nord Africa. Quando i suoi contatti a Salonicco lo informarono della nuova legge riguardo il fidanzamento, Alashkar scrisse loro riguardo l’importanza di includere delle autorità legali in questo processo di controllo comunitario sul legame matrimoniale. Lui approvò gli sforzi del Kahal di regolare il fidanzamento, ma aggiunse che l’assenza di autorità rabbiniche con conoscenza sufficienti avrebbe portato il caos in simili cerimonie. Nonostante simili sforzi, molti ebrei continuarono a fare fidanzanti come ritenevano andasse bene, spesso senza il consenso o il riconoscimento dei rabbini della comunità.
Legami mercantili e rabbinici
Menasseh Ben Israel (1657 m), un ebreo che era stato converso, nella sua petizione per la riammissione degli ebrei in Inghilterra, dà una descrizione delle sorti dei legami culturali che consentivano ai mercanti ebrei e molti cristiani, di superare i confini della comunità religiosa e formare legai commerciali mutuamente benefici. Egli scrive da Amsterdam e esalta la posizione unica dei mercanti sefarditi che vivevano in Olanda , Italia e nell’impero ottomano.
Menasseh diceva che facilmente i mercanti ebrei facevano credito l’uno all’altro, questo significava che potevano fare dei negoziati dovunque si trovassero, che essi arricchivano abbondantemente le terre e le Nazioni stranieri dove vivevano, non solo con quello che era necessario per la vita dell’uomo, ma anche per quello che può servire di ornamento alla sua vita. La nazione ebraica che viveva in Olanda e Italia, trafficava con le proprie riserve, ma anche con le ricchezze di molti della loro stessa nazione, amici, e uomini che non ancora vivevano in Spagna e inviavano i loro soldi e beni.
Nel secolo XVI, gli stretti legami delle reti commerciali dei sefarditi, furono rinforzati dalla comune vulnerabilità. Nel Magreb gli ebrei svilupparono un esteso sistema mercantile. I mercanti ebrei unirono le strade via terra che collegavano le città del Nord Maghreb con il centro Sud Sahariano a Timbuktu. Essi mantennero anche legami importanti per sviluppare i mercati nel Portogallo e i territori nuovi portoghesi lungo la costa africana dell’Atlantico attraverso i loro contatti con i conversos e coloro che erano tornati a professare le fede ebraica e operavano in queste aree. Questi legami commerciali che univano i conversos ancora in Spagna con i sefarditidel Nord Africa, li legò anche ai mercanti ebrei che operavano in Italia e, dall’ultima decade del secolo, ai conversos che si erano stabiliti a Londra, Bordeaux, Olanda.
Alla fine del secolo XVI, la portata mercantile dei sefardim si eraestesanel mondo, portando una varietà di beni nel Mediteranno, e nel Nord Europa. L’Inghilterra, che in questo periodo era rimasta ai margini di questi contatti, vide questo sviluppo con crescente preoccupazione.
Gli ebrei spagnoli divennero attivi anche nel commercio nel Levante, le terre musulmane e cristiane dell’Est del Mediterraneo. La seconda generazione di questi ebrei divenne molto abile nello inserire se stessi come maggiori attori nel commercio con il Levante.
Le città italiane di Venezia, Ferrara, Livorno divennero la destinazione dei mercanti sefarditi. Mentre le città musulmane dettero un riparo religioso importante agli ebrei e conversos, questi luoghi furono i centri della generale libertà di movimento e commercio che caratterizzò la vita ebraica nell’Impero ottomano.
Il cabalista italiano Moses Basola,[14] descrive Safed e dintorni ed enfatizza le condizioni economiche qui prevalenti, viste come ragione per l’insediamento ebraico e anche come deterrente:
La valutazione di Basola della situazione nel Levante ottomano offre un’importante avvertimento relativo alla tendenza popolare di vedere la regione principalmente come un santuario per la libera espressione dell’ebraismo.[16] Qualunque ragione abbiano avuto i migranti per andare nella regione, coloro che non avevano mezzi sufficienti per il successo economico era meglio che rimanessero altrove.
Se a seguito dell’espansione delle reti commerciali dopo il 1492 furono create locali comunità ebraiche, l’ostilità dell’ambiente circostante era sempre forte. Era di tipo religioso, ma anche semplicemente dovuta a invidia e desiderio di denaro facile.
I grandi rabbini che si stabilirono in Africa Italia e nell’Impero ottomano crearono le loro reti e operarono in maniera simile a come avevano fatto gli ebrei mercanti. Il loro importante ruolo dipendeva anche dal supporto dei colleghi di altre regioni. I rabbini erano influenti in altre comunità se godevano di autorità nelle proprie comunità Lo status e la politica delle autorità rabbiniche fu anche dipendente dall’abilità di ciascuno di loro a convincere il consiglio governativo locale che la conoscenza della tradizione era più grande di quella di altri rabbini.
Come nei legami mercantili ebraici le strutture politiche locali ebraiche, la solidarietà con le reti rabbiniche furono costruite in base a legami di fiducia che si creava fra piccoli gruppi di individui, oltre che tramite matrimonio. I circoli religiosi e intellettuali nei quali Il talmid era educato lo aiutava a sviluppare i legami sociali che avrebbe mantenuto da adulto nella sua carriera. Gli studenti prendevano le difese del loro rabbino quando la sua opinione o onore era attaccato da studenti i un’autorità rabbinica rivale Gli studenti rimanevano in contatto una volta che questi circoli non esistevano più. I rabbini sefarditi continuarono a mostrare un’appassionata consapevolezza di orgoglio rispetto alla genealogia dei loro Rabbini. Legando se stessi a una importante, venerabile, catena di tradizione di studi, i Rabbini Sefarditi, nello stesso sottolineavano l’importanza alla loro tradizione di studi, cosa che divenne particolarmente importante quando cercarono di stabilire la loro autorità nelle nuove aree di insediamento.
Rabbi Moses Alashkar dichiara con orgoglio per esempio che i suoi insegnamenti sono quelli dei rabbini di Spagna, giganti del mondo.
[1] La storia fa parte del documento dell’inquisizione pubblicato da Fidel Fita, El judio errante de illescas (1484-1514), in «Boletin de la Real academia de historia»,6 (1888), pp.130-140. Per i riferimenti a Luis de las Isla, vedere Daniel M. Swetschinski, Reluctant Cosmopolitans: the portuguese jewish comjmunity of seventeenth-Century Amsterdam, Portland, Or, Littman library 2000, p. 55. David Nirenberg, Mass Conversion and Genealogical Mentalities: Jews and Christians in Fifteenth Century Spain, in «Past and Present», 174, 1 (2002), 17-18; e J. N. Hillgarth, The Mirror of Spain, 1500–1700: The Formation of a Myth, Ann Arbor, University of Michigan Press 2000, p.166. In n J. Ray, After expulsion, Cit. p. 58 e nota p. 174.
[2] Fidel Fita, El judíoe rrante de Illescas (1484–1514), «Boletín de la Real Academia de la Historia», 6 (1885), pp. 132-133. http://www.cervantesvirtual.com/obra-visor-din/boletin-de-la-real-academia-de-la-historia–65/html/0257fc34-82b2-11df-acc7-002185ce6064_58.html#I_43_ (consultato il 3/5/2016) . Vedere appendice.
[3] Archivo Histórico Provincial de Zaragoza, sección Inquisición, leg. 29, no. 9, ff. 46-7. In: J. Ray, After expulsion, cit., p 174..
[4] Gedaliah ibn Yaya ben Joseph. Talmudista nato a Imola nel 1515. Studiò probabilmente a Ferrara con Yacob Finzi e Abraham e Israel Rovigo. Nel 1549 si stabilì a Rovigo, dove rimase fino al 1562, gli anni durante i quali veniva bruciato il Talmud. Andò poi a Codiniola e tre anni dopo a Salonicco, da dove fece ritorno nel 1567 alla sua città di origine. Fu espulso con altri ebrei da Papa Pio V. Negli anni successivi passò da città, fino a che si stabilì ad Alessandria. La sua opera principale è Sefer Shalshelet ha-Ḳabbalah, sulla quale lavorò per ben 40 anni. L’opera tratta della storia ebraica dal tempo di Mosè fino a Moses Norzi (1587), della creazione, dell’anima, della sua storia personale. Quando parla delle sue vicende personali a Salonicco ed Alessandria a volte è impossibile distinguere la realtà dalla finzione.
[5] Yosef era nato nel 1425 ed era intimo amico del Re Alfonso I. Fu rimproverato dal Re perché non aveva dissuaso gli ebrei a comportarsi con lussuria. Quando gli esiliati spagnoli andarono in Portogallo furono visti sfavorevolmente dagli stessi ebrei portoghesi e forse Yosef Ibn Yahia non fece del suo meglio per migliorare la situazione. Durante la conversione di massa in Portogallo fuggì con i suoi figli David Meir e Solomon, portando con sé 100.000 crusados. Vagò per un po’ di tempo nel Mediterraneo ma poi andò in Castiglia, dove fu deciso che sarebbe stato bruciato, ma l’intervento del Duca Alvarez de Bragança gli permise di continuare il suo viaggio. Dopo cinque mesi di viaggio arrivò a Pisa con la sua famiglia. Con enormi somme di denaro riuscì a mettersi sotto la protezione del Duca di Ferrara. A Ferrara però fu presto accusato di convincere i “nuovi cristiani” a tornare all’osservanza ebraica e fu torturato. Pagando la solla di 7,000 monete d’oro, ottenne di essere scagionato, ma morì nel 1498 a causa delle torture subite.
[6] Cfr. Nadia Zeldes, “Un tragico ritorno: schiavi ebrei in Sicilia dopo la conquista spagnola di Tripoli (1510), « Nuove effemeridi» 54 (2001), pp. 47–55.
[7] In J. Ray, After expulsion, Cit. p. 64. Cfr. Moses Alashkar, She’elot we-Teshuvot (Responsa), Sabbioneta, Foa 1554, no. 16 e 70; e Yacob Berab, She’elot we-Teshuvot (Responsa), Jerusalem,1988, no. 56–57.[8] Cfr. Hannah Davidson, Exile, Apostasy and Jewish Women in the Early Sixteenth-Century Mediterranean Basin, in «Hispania Judaica Bulletin»,6 (2008), pp. 133–162.
[9] Cfr. il Responsum di rav David Ben Zimra, Teshuvot HaRadbaz,Warsaw 1882, Volume 4, 1174: pdf.: http://www.sefaria.org/Teshuvot_HaRadbaz_Volume_4.1175.1/he/Teshuvot_HaRadbaz,_Warsaw_1882?lang=en&with=all&lang2=en;
Abraham. David, The Capture of Tripoli’s Jews in palermo in 1510, «Sinai» 71, (1972), pp. 190-191 [Hebrew]; Nadia Zeldes, Un tragico ritorno: schiavi ebrei in Sicilia dopo la conquista spagnola di Tripoli (1510), «Nuove Effemeridi » 54, (2001);[10] Maria José Ferro Tavares, The Portuguese Jews after Baptism, inStudies in the History of the Portuguese Jews from Their Expulsion in 1497 through Their Dispersion, Israel J. Katz and M. Mitchell Serels (Eds.), New York, Sepher-Hermon Press 2000, pp.. 7–28, e anche 17–18. In J. Ray, After expulsion, Cit. p. 74 e nota p. 178.
[11] Maria José Ferro Tavares, A expulsão dos judeus de Portugal: conjuntura peninsular, in Diáspora e expansão: Os judeus e os descobrimentos portugueses, António Manuel Hespanha (Ed.), Lisbon, Comissão Nacional para as Comemorações dos Descobrimentos Portugueses 1997, pp. 10–20, e 18. In J. Ray, After expulsion, Cit. p. 74 e nota p. 178.
[12] James Nelson Novoa, Documents Regarding the Settlement of Portuguese New Christians in Tuscany, «Hispania Judaica Bulletin» 5 (2007), 263. I conversos portoghesi riuscirono a ottenere dal Re Carlo V di rimanere nei Paesi Bassi fino al 1526; furono espulsi da Aversa intorno al 1549 , p. 264. In J. Ray, After expulsion, Cit. p. 74 e nota p. 178.
[13] Moses Alashkar (Zamora 1466, Gerusalemme 1542), era un Posek Din molto importante nell’epoca in cui visse, la generazione dell’espulsione. Studioso del Talmud, Qabbalà e di filosofia, era influenzato dal pensiero di Moshe ben Maimon. Nel 1492 lasciò la Spagna per il Nord Africa, cadde in mano ai pirati ma si salvò per arrivare a Tunis. Quando la città fu occupata dalla Spagna partì per la Grecia. Dal 1522 visse per alcuni anni al Cairo e fu Dayan nel Beth Din. Dal molte parti del mondo ebraico in questi anni gli furono poste domande di Halahkà. Tre anni prima della sua morte andò a vivere a Safed ma morì a Gerusalemme dove era andato ad abitare. Cfr. Alashkar Moses, She’elot we-Teshuvot, Sabbioneta, Foa 1554. La prima edizione fu stampata a Sabbioneta, Cornelio Adelkind, 1554.Pdf.: http://www.hebrewbooks.org/45209
[14] Moses ben Mordecai Basola, (1480-1560). Rabbino e cabalista, apparteneva a un famiglia di rabbini che abitavano in Israele ed in Italia. Quando era giovane svolse la funzione di Rabbino a Pesaro. Nel 1521 andò in Israele attraverso Cipro e Creta, e scrisse un libro chiamato Sefer Masa‘ot , sui suoi viaggi. Il libro divenne una fonte importante per la conoscenza della Terra di Israele. Dopo il suo ritorno andò a vivere nella città di Ancona e divenne il capo della Yeshivà. Negli ultimi anni visse in Israele, a Safed, dove divenne amico di Moses ben Yacob Cordovero.
[15] Moshe Basola, Masa‘ot rav Moshe Basola (1521-1523), in Abraham Yairi, Masa‘ot Eretz Israel shel‘Olim Yehudim, Tel Aviv, Achdut 1983, pp. 139. Pdf: http://www.hebrewbooks.org/36832 p.138 (consultato il 2/10/2016), p. 138. Nella traduzione italiana: «parlando generalmente c’è molto più commercio in questa terra che in Italia, i musulmani fanno acquisti volentieri dagli ebrei piuttosto che da altri. Ma coloro che non hanno capitali da investire possono essere artigiani, […] uno non può aspettarsi di lavorare come insegnante o domestico o assistente in un negozio, non può vivere a spese pubbliche poiché i poveri sono moltissimi, chi non possiede né arte né parte non dovrebbe lasciare l’Italia. Per timore di rimpiangere le sue azioni e ritornare». Citato in J. Ray, After expulsion, cit., pp. 100-101.
[16] Cfr. Abraham David, In Zion and Jerusalem: The Itinerary of Rabbi Moses Basola (1521–1523), Jerusalem, C. G. Foundation Jerusalem Project, 1999, 116. Cfr. anche Mošeh Basola, A Sion e a Gerusalemme: viagggio in terra Santa (1521-1523), Abraham David, Alessandra Veronese (a cura di),Firenze, Giuntina 2003