Capitolo 5 – Rientri in Spagna e restituzioni dei beni
Ignoriamo quanti ebrei pensarono a tornare in Spagna dopo il 1492. Sicuramente lo fecero a titolo privato, poiché dovevano convertirsi prima di passar la frontiera, e se non lo facevano erano soggetti alla pena di morte. Avevano venduto le loro proprietà e si ponevano il problema di come potessero ottenere la loro restituzione e a quale prezzo. Avevano venduto a menos precio de la mitad, e non sapevano quali condizioni avrebbero accettato i presenti proprietari. Era necessario dunque un intervento reale per regolare tutte le tappe del ritorno. Pochi mesi dopo l’espulsione fu fatto un appello alla corona e preparate delle negoziazioni per mezzo di emissari ben connessi con la Casa Reale. [1]
Non è nota né la data né il luogo che scelsero Ferdinando e Isabella per incontrarsi con queste persone, la data fu comunque prima del 10 novembre 1492, il giorno in cui fu promulgato un decreto reale che apriva le frontiere di Spagna a tutti gli ebrei che desideravano convertirsi.
Questo decreto fu preparato a Barcellona dal segretario del Re Juan de la Parra, controfirmato dal comendador mayor[2] Rodrigo de Ulloa e siglato da rodrigo Maldonado de Talavera, membro del consiglio del Re.[3] Tre membri compaiono scritti nel reverso del documento e sono tre medici: Maestre Lope, Rabi Yoce, figlio di rav Yacob, prima medico di Enrico IV, e un terzo nome illeggibile, figlio di don Shem Tov, vicino di Madrid. Il permesso fu preparato a Barcellona, e doveva essere inviato in Portogallo, dove i richiedenti vivevano. Di nessuno dei tre ci sono notizie posteriori.
Il documento afferma che alcune persone si appellavano alla Corona di Spagna da Portogallo e che questo appello era arrivato alla corte. Si diceva in questa carta che “habìan vista la luz” per la grazia dello Spirito Santo e che riconoscevano l’errore commesso nell’aver lasciato la Spagna ed essere partiti in esilio . Chiedevano di tornare ai luoghi dove avevano vissuto, e per questo chiedevano un salvacondotto al Re. Sollecitavano anche un ordine perché coloro che avevano comprato le loro proprietà mobili e immobili le restituissero al prezzo di vendita più un tanto per i miglioramenti se tale era il caso.
La petizione fu accettata e fu decretato di aprire i posti di frontiera per i quali era passati gli ebrei per entrare in Portogallo. Si precisava che coloro che erano usciti da Badajoz, Ciudad Rodrigo o Zamora avrebbero dovuto attraversare la frontiera attraverso la stessa città, e tornare in Castiglia facendo lo stesso itinerario. In queste tre città dovevano essere battezzati in presenza del vescovo locale o del suo provisor [4] e del governatore [5] per la giustizia, e ricevere il certificato corrispondente del battesimo, che poteva anche ottenere in Portogallo prima di andarsene. In questo modo le autorità avrebbero avuto al sicurezza che il battesimo era veramente avvenuto e si assicuravano contro eventuali frodi. Solo dopo la conversione sarebbe stato concesso il salvacondotto che permetteva la restituzione dei beni. Le autorità locali dovevano poi controllare che avvenisse la devoluzione agli antichi proprietari al medesimo prezzo pagato per esse più le eventuali migliorie, coloro che non dovevano alcun denaro avrebbero pagato solo i debiti che non erano dovuti a usura.
Nonostante la domanda fosse partita da un gruppo di ebrei originari della Castiglia, la risposta fu data da un procurador che si rivolse alle autorità reali, e la decisione fu divulgata nei vari centri di insediamento degli esiliati in Portogallo.
Uno dei primi gruppi di ebrei che decisero di tornare fu quello di ebrei di Segovia guidati da Jabob Galfon, che una volta battezzato ricevette il nome di Pedro Suarez de la Concha. Nella domanda che riguarda la devoluzione dei suoi beni e di appello alla Corte dichiarò di aver convinto circa 50 persone a convertirsi e ritornare ai luoghi di origine. Questa persona si era dedicato al prestito a interesse ed era stato accusato anche dai suoi debitori di dedicarsi all’usura. Il 30 Luglio 1493 la Corona estese il permesso di ritorno agli ebrei che tornarono dalla Navarra.
La prefazione del documento è uguale a quella del permesso del 10 novembre 1492, ma forse a causa della pressioni delle autorità della Navarra contiene un’ importante aggiunta:
.. e algunos dellos earn ya convertidos e non osavan boluer a estos nuestro reynos. e algunos de los buletos estan co yntencion de yr a bevir a otros reynos porque se recelauan e temian que seian fatigados e enojados en sus personas e fasiendas por razon que les amenazarian aver sacado algunas cosas vedadas del reyno e ver fecho algunos ynsultosen los tienpos que fuenon judios.[6]
Ferdinando II di Aragona supervisionava un’amministrazione apposita che si occupava di far insediare quegli ebrei che cercavano di ritornare nel loro Paese di origine. Per tornare in Spagna un converso aveva bisogno di andare dal magistrato del Re della città dove voleva stabilirsi e presentare il certificato di battesimo. Un notaio allora validava le credenziali e creava una nuova identità cristiana al convertito.
Come in Castiglia, coloro che tornavano in Catatonia e in Aragona, ricevevano pieno vantaggio dal sistema giuridico del Re, e potevano riavere le proprietà che erano loro appartenute. Ad esempio nel 1494 il converso Joan Angelo, prima Jehuda Azamet di Saragozza, tornò nella sua città di origine dopo essere stato battezzato a Napoli. Fin dal suo ritorno, chiese al Re il diritto di abitare a Saragozza nella proprietà che era appartenuta alla sua famiglia prima della loro partenza nel 1492. Il Re, ansioso di dimostrare il suo supporto a coloro che erano stati soggetti della Corona e desideravano adesso convertirsi alla fede cattolica, si disse d’accordo.[7]
Altro caso: il converso aragonese, Martin Garcia, lasciò la Spagna per Genova per riportare indietro i suoi genitori e il fratello più piccolo, fuggiti entrambi durante l’espulsione. La sua lettera al Re parla nei dettagli dei suoi sforzi, coronati poi da successo, per convincere i membri della sua famiglia ad accettare il cristianesimo, prima di chiedere al Re la garanzia che fosse loro permesso di avere indietro la proprietà che erano stati forzati ad abbandonare al tempo dell’espulsione.
Gli ebrei tornarono in Spagna anche dal Nord Africa. Nella sua elegia sull’espulsione rav Abraham ben Salomon Halevi Bugarat notò che le terribili condizioni incontrate dagli esiliati aveva forzato molti di loro a tornare in Castiglia e convertirsi. Questo si applicava a coloro che erano andati in Portogallo e coloro che erano a Fez. A suo avviso le terre cattoliche e quelle musulmane si erano mostrate ugualmente inospitali per gli ebrei.
Graizbord[8] riguardo ai conversos che, fuggiti da Spagna e Portogallo, decisero di tornare indietro propone un’interpretazione più pragmatica rispetto a Haim Beinart ed altri storici, i quali avevano sostenuto che spesso molti di loro, delusi dalla vita spirituale ebraica in esilio, rimpiangevano i tempi felici in Spagna e decidevano di lasciare le nuove terre in cui si erano recati.[9] I conversos avevano adottato l’ebraismo normativo nei luoghi in cui si erano rifugiati ma, sostiene Graizbord, non erano tanto malcontenti della loro vita ebraica quanto volevano recuperare i loro beni.
Come terra di rifugio molti avevano scelto la Francia, per motivi geografici era stato il luogo dove centinaia di Conversos erano emigrati nel XVI secolo per fuggire all’inquisizione. Fuggire era stato difficile in quanto tutti i conversos avevano bisogno di una licenza speciale del Re per viaggiare in terre straniere.[10]
Chiaramente i governi spagnolo e portoghese la negavano a chi era sotto inchiesta da parte dell’Inquisizione.
Era possibile anche scappare via mare e corrompere le autorità portuali, ma solo pochi conversos avevano le possibilità economiche di farlo. La via migliore per fuggire era quindi via terra.
Centinaia di conversos decisero di rimanere nella Regione francese semplicemente perché non possedevano i mezzi per procedere ancora. Alcuni erano poveri perché provenivano dalle regioni più svantaggiate, altri lo erano perché le loro proprietà erano state requisite dall’inquisizione, o avevano lasciato le loro proprietà in Spagna. Nel 1636 ad esempio la popolazione “portoghese” di Bordeaux, circa 260 unità, includeva il 93% di individui che il governo francese definiva come “indigenti” .[11]
Durante l’ultima parte del XVI e il XVII secolo, il ritorno degli esiliati conversos scandalizzò sia i vecchi cristiani in Spagna e Portogallo sia molti ebrei nella diaspora sefardita. Le autorità ebraiche li consideravano semplicemente ebrei che dovevano tornare all’osservanza religiosa e avevano bisogno solo di guide spirituali. Il ritorno dice Graizbord «also challenged normative conceptions of the very nature of “jewish community». [12]
Yosef Kaplan osserva che la mobilità geografia dei conversos aumentava la contraddizione insita fra la loro supposta identità religiosa da una parte e la loro solidarità sociale, culturale ed etnica da un’altra. [13]
La comunità “portoghese” di Amsterdam ad esempio, riguardo all’atteggiamento delle Kehillot nei confronti del fenomeno del ritorno, riteneva che ogni converso che scappava dalla Spagna doveva osservare le normative ebraiche in maniera permanente.
Una dimostrazione di questo è costituita dalla decisione presa dai parnassim della comunità portoghese nel 1644, quando esclusero dei precedenti membri della Kehillà che erano tornati ad Amsterdam dopo aver dimorato in terre dove l’ebraismo era proibito.[14]
Il Ma’amad decretò in questo caso che quei doppi emigranti avrebbero dovuto essere soggetti a penitenza per un periodo di 4 anni prima di poter fare parte di una comunità ebraica.
Fra il 1655 e il 1677 le comunità ebraiche di Livorno, Amburgo e Londra adottarono leggi molto simili per punire coloro che ritornavano dalle “terre dell’idolatria”.[15]
In Francia la situazione era diversa perché nel Paese i rifugiati non godevano degli stessi diritti di residenza in quanto ebrei e l’ebraismo era illegale. Gli sforzi che fecero gli educatori sefarditi nel Paese furono veramente molti: dal tardo XVI secolo emissari arrivarono da Venezia e Amsterdam per educare e guidare le enclavi portoghesi Venivano dati sermoni, organizzate preghiere, date Bibbie e libri liturgici, molti dei quali tradotti in spagnolo, oggetti rituali, e venivano circoncisi i nuovi immigrati.[16]
Che caratteristiche però possedevano coloro che decidevano comunque di tornare indietro?
Graizbord esamina due secoli di processi inquisitoriali ed arriva alla conclusione che il fenomeno del ritorno non era un fenomeno isolato. [17] Secondo le sue ricerche coloro che tornarono sono compresi in due distinti gruppi il cui carattere religioso è spesso ambiguo e indeterminato. Il primo gruppo è il più numeroso ed è composto da persone che facevano dei viaggi in Spagna molte volte senza una vera intenzione di rimanervi o di riconciliarsi con la Chiesa. Lo storico afferma di aver trovato documenti le cui date vanno dal 1609 al 1678 che si riferiscono a 111 persone. La maggior parte di queste persone ritornarono in Castiglia dal sud Ovest della Francia.
Il secondo gruppo di individui che tornarono è composto da coloro che erano fuggiti e che decisero di tornare per sempre in Spagna, Portogallo o dalla zona del Brasile controllato dal Portogallo. I dossier contengono riferimenti ad almeno ventisette soggetti che corrispondono a questa descrizione. La maggior parte di queste persone tornarono indietro da Bayonne o Bordeaux, una minoranza da Rouen, Anversa, Amsterdam, Roma e Venezia. Le loro caratteristiche erano quelle di essere uomini sposati che si muovevano per affari, la loro età andava dai 20 ai 60 anni.
Esisteva un numero di conversos che andava nella Penisola Iberica da Amsterdam, un numero però inferiore se paragonato a quello degli altri.
Una fonte autorevole è quella di Yosef Kaplan, che osserva riguardo a questo fenomeno del ritorno da Amsterdam:
Both in periods of prosperity and in times of crisis, members of the Portuguese Jewish community in Amsterdam played an extremely active part in a network of economic connections between the lands of northern Europe and the Iberian peninsula. Many of them even participated personally in dangerous journeys to Spanish ports, others exploited their close connections with the communities of secret Jews in Bayonne, Bordeaux, Saint jean de Luz, etc, and they managed to cross the French border into northern Spain. Some of them tried to find ways of cooperating fully with the Spanish and Portuguese crown; others, despite their loyalty and connections to Judaism did not hesitate to return to Spain for purely economic purpose, that is, wishing to oversee the management of a network of commercial connections between the center in Amsterdam and the various branches s in Spain and Portugal. [18]
Un tipico esempio di converso tornato in Spagna in cerca di una vita economicamente migliore lo troviamo in Francisco Nunez Redondo, addestratore di muli. Egli trasportava di nascosto i conversos dalla Castiglia in Francia attraverso Biscay. Quando Nunez fu catturato e processato dal tribunale dell’Inquisizione nel 1663, aveva all’epoca cinquanta anni; egli, disse di fronte al tribunale di non avere fissa dimora fuori del Portogallo, dal quale era immigrato in Spagna qualche decennio prima. Ammise di giudaizzare in Iberia e in Francia. Non negò di aver incoraggiato altri conversos a giudaizzare e di averli aiutati a scappare dalla Spagna. Non diede ragioni religiose razionali per le sue attività pericolose, e neppure accennò a ragioni che riguardavano la solidarietà etnica. Quando gli inquisitori gli chiesero perché avesse acconsentito a trasportare Enriques Pereyra in Francia, Nunez semplicemente rispose di essere convinto che Pereyra gli avesse scritto che Manuel Enriques, un intermediario, gli avrebbe dato 400 reali.
Molti nuovi cristiani in possesso di esperienze in campo amministrativo e commerciale pensavano di poter aspirare a occupare impieghi remunerativi nel caso in cui tornavano nei luoghi di origine. Un esempio di converso che cercava di fare affari in Castiglia è quello di Antonio Rodrìguez de Amézquita, convinto di possedere quelle qualità che gli avrebbero permesso di occupare in Spagna un posto importante. Nato a Vallalolid nel 1614, era un venditore itinerante quando suo padre, un immigrato portoghese, si ammalò.
Antonio aveva venduto stoffe in Andalusia e nel 1614 aveva sposato Leonor Gomes, una portoghese nuovo cristiana. A Madrid faceva il commerciante di vari generi di mercanzia. Egli aveva preso parte a varie fiere in Galizia e aveva servito come agente altri mercanti portoghesi in Castiglia. Nel 1664 testimoniò che era divenuto un cripto ebreo nel corso dei suoi viaggi, e che era stato aiutato da qualche familiare originario di Malaga. Spaventato dal fatto che le sue pratiche “eretiche” fossero scoperte e che i membri della sua famiglia ricevessero dei danni per essere legati a lui, Rodrigues si trasferì in Francia nel 1655. Fino al 1664 tornò in Spagna almeno altre tre volte, e due in Portogallo per condurre varie transazioni mercantili.
Nel corso delle due deposizioni denunciò dodici conversos, giudaizzanti come lui. Spiegò che durante le sue incursioni nel territorio iberico si era sempre astenuto dal praticare interamente l’ebraismo «como andaba en posadas no tenia comodidad».[19] Aveva comunque rispettato la legge di Moses apertamente e con proprietà quando era in Francia. In questo Rodriguez de Amezquita era simile alla maggioranza dei conversos tornati in Spagna i cui casi sono stati esaminati da Graizbord.
Rodriguez de Amezquita forse avrebbe preferito rimanere a Bayonne tranquillo, però non raggiunse mai un successo economico tale da assumere più di un emissario commerciale per occuparsi dei suoi affari in Spagna o Portogallo, per cui non ebbe altra scelta che quella di occuparsi da solo dei suoi affari nella penisola Iberica. Lo stesso non avvenne al più ricco commerciante Diego Rodrìguez Cardoso, un conoscente rifugiato di Rodriguez de Amezquita. Nel corso di tre decenni, Rodriguez Cardoso attraversò il confine con la Spagna molte volte per compare e vendere mercanzie in vari parti del territorio degli Asburgo.
Dopo un po’ di tempo divenne ricco tanto da non avere più bisogno di lasciare la sua casa in Saint Esprit. Nel 1650 circa iniziò a impiegare degli agenti commerciali e corrieri per concludere delle transazioni internazionali di cui prima si occupava lui stesso, agenti che normalmente erano dei conversos. Quando infine l’Inquisizione spagnola riuscì ad avere abbastanza informazioni da accusarlo di eresia Rodriguez Cardoso non era più in Spagna ed era diventato uno degli uomini più ricchi di Saint Esprit e uno dei capi della comunità portoghese di Bayonne.[20] Al contrario di Cardoso Rodiguez de Amezquita continuò i suoi viaggi ma fece bancarotta, fu imprigionato e processato dall’Inquisizione nel 1665. I casi esaminati mostrano dunque che la frequenza con la quale i conversos mercanti tornavano in Spagna era dovuta alle loro condizioni economiche.
In generale invece le motivazioni di coloro che decidevano di rientrare in Spagna in maniera definitiva non sono citate. Rispetto ai viaggi, i rientri definitivi sono caratterizzati da un numero piccolo di donne e da informatori di entrambi i sessi (i malsines). La loro età varia, così come la loro situazione economica, sebbene le loro deposizioni rivelino un comportamento simile. Venticinque dei casi studiati da Graizbord iniziarono ad avere contatti con l’Inquisizione poco dopo il loro ritorno nella Penisola Iberica.
Tutte e venticinque dichiararono immediatamente la loro intenzione di rinunciare all’eresia e nominarono altri conversos che avevano tradito la Cristianità. Un esempio tipico di autoincriminazione lo vediamo in quello che dice questo dichiarante:
To be good in the eyes of God […] and with the zeal of the Catholic religion, he has come from Bayonne of France to this court [Madrid] without any motive other than to give an account to the Holy Office of what, in thespace of eight years, he saw different Portuguese persons do and say againt our faith.. for which reason he presented himself the day before yesterday [at the office of] the Inquisitor General and put himself at his feet so that he would grant him an audience. [21]
Il fatto dunque che coloro che tornavano dovessero comparire di fronte al Santo Offizio suggerisce che le loro motivazioni variassero. Coloro che erano arrestati e coloro che si presentavo volontariamente dettero però le stesse testimonianze riguardo ai Sefarditi della Diaspora, e cioè che aveva aderito all’ebraismo normativo, unica condizione per far parte di comunità ebraiche.
Anche quando le persone che tornavano non specificavano le ragioni del loro ritorno, molti di loro alludevano al fatto che avevano lasciato la Diaspora per scappare alla pressione che gli altri rifugiati avevano esercitato su di loro perché rinunciassero al Cristianesimo. Ad esempio Francisco Cardoso Ortiz testimonia nel 1641 che :
[he] went to Peyrehorade where his mother and brothers live; [but once] there he endured many tribulations with them in connection to their attempts to convert him [to Judaism] , and their accusing him of being a renegade with the support of all the Portuguese of Peyrehorade… from which city [the declarant] left for Plamplona. [22]
Questi testimoni esageravano certo la pressione esercitata su di loro da altri ebrei per presentarsi come vittime cristiane innocenti, e usavano la retorica per essere visti esenti da grandi colpe. Il loro carattere era quello di individui carichi di ambivalenza, vivere in un contesto ebraico li aveva portati a ridefinire il loro attaccamento sociale, etnico e familiare.
La deposizione di Fernando Alvarez è un esempio di testimonianza che mostra il senso di una alienazione sociale e insicurezza. Alvarez, un converso di 64 anni di origine casigliana, fu imprigionato dal Santo Offizio a Cuenca dopo il duo ritorno da Bayonne nel 1663. Il difensore disse che era stato un venditore di calze a Siviglia, ma aveva perso il lavoro prima di aver lasciato la Spagna. Era andato a Saint Esprit per vivere con suo figlio, Pedro Alvarez. Dopo il suo arrivo a Saint Esprit Fernando aveva scoperto che suo figlio altre tre famiglie di conversos erano diventati dei ferventi giudaizzanti. Gli era stata fatta una buona accoglienza nella comunità, e gli era stato detto dai vicini di non tornare in Castiglia, dove poteva essere tradito e processato dall’Inquisizione.
Pressioni gli erano state fatte anche per convincerlo a fare la circoncisione, ma egli aveva rifiutato per paura dell’operazione chirurgica. Il suo atteggiamento riguardo la circoncisione è uguale a quello di altri conversos, come hanno denotato alcuni studiosi, i quali identificano in loro la tendenza a vedere il rito come un sacramento simile al battesimo cristiano.
Ci sono prove poi che alcuni rifugiati vedevano la circoncisione come un mezzo per evitare la potenziale ribellione dei conversos, facendoli entrare in maniera irrevocabile all’interno del popolo ebraico.
Alvarez testimonia che in Castiglia dei giudaizzanti, Lopez e Reynoso, gli avevano insegnato a festeggiare certi giorni, contravvenendo alle pratiche cattoliche. Sua moglie anche, Catalina de Alvarez, era stata per molti anni una giudaizzante e periodicamente, prima dell’iniziazione di Alvarez, aveva osservato le feste ebraiche; mai però lui e la moglie avevano parlato esplicitamente di verità religiose.
Fernando Alvarez era dunque un giudaizzante riluttante, come presumibilmente aveva detto suo figlio Pedro:
[the declarant told Pedro Alvarez that]… it weighed on him [Fernando Alvarez] to have gone to that community, that that was not the place for him, a land totally full of Portuguese observers [of Judaism] and that if he [Alvarez] were not [an observer] they would exert pressure on him; but that he did not wish to offer any counsel to him [meaning the son, Pedro Alvarez], that [Pedro] could do whatever he wanted. [23]
La testimonianza di Alvarez riguardo all’osservanza segreta della religione con sua moglie prima del suo arrivo in Francia dipinge una fede superficiale, negativa che era, dice Grazbord:
largely devoid of affirmative theological or ritual substance. This religion was not the rich, colourful stuff of judeophobic fantasy that the inquisitors had perhaps come to expect form the testimony of various denouncers. [24]
L’esame dunque delle motivazioni di alcuni rimpatriati, mostra che avevano una visione pragmatica riguardo il loro ritorno, visione che permetteva loro di trovare delle sicurezze economiche e sociali in un contesto di costante mobilità L’elasticità religiosa di queste persone era implicita nella loro strategia di adattamento. Osserva Graizbord che l’abilità e la disponibilità di cambiare una religione con un’altra di questi rifugiati:
[…] and to blend into both, as circumstances required it, was consistent with their participation in an economic system that spanned the socio-religious and geographic divide between normative Judaism an Christianity. [25]
Rientri e le restituzioni dei beni in Sicilia.
Il ritorno di ebrei convertiti nel Regno di Sicilia [26] è attestato da numero documenti scritti tra il 1495 e il 1508, la maggior parte dei quali trattano del recupero delle proprietà ebraiche vendute al tempo dell’espulsione, l’esenzione delle tasse e la concessione della protezione del Re. I documenti non dicono le circostanze che hanno portato alla conversione e il ritorno delle persone, ma in qualcuno di essi traspare la paura causata dall’invasione dell’esercito francese nel Regno di Napoli. Ad esempio una donna ebrea di Palermo, caduta nelle mani del nemico nel suddetto Regno, lascia capire che si è convertita perché aveva paura per la sua vita. La donna si chiamava Dominica ed era stata riscattata da cristiani di Randazzo.
Da notare, afferma Nadia Zeldes, che fu la generazione più giovane a ritornare in Sicilia, anche lasciando la loro famiglia o decidendo di convertirsi dopo la morte di qualche familiare. Elemento rilevante: il ritorno comportava anche il recupero delle proprietà.[27]
Gli ebrei erano partiti con poche cose e aver venduto o lasciato le proprietà in mano a persone incaricate di venderle. Le proprietà inizialmente erano inventariate dai comisarri in causis iudeorum, che ricevettero l’incarico immediatamente dopo la pubblicazione dell’editto di espulsione in tutti i territori aragonesi.
Quando coloro che avevano deciso di convertirsi iniziarono a tornare gli stessi commissari furono incaricati della riscossione di un’imposta speciale messa sulle proprietà ebraiche rimaste, come era avvenuto in Spagna, dove il Re Ferdinando aveva promesso la sua protezione ai nuovi convertiti che decidevano di tornare, con la differenza che in Sicilia chi tornava poteva ritrovare le proprie proprietà solo dopo una deduzione del 45 per cento della sua valuta da parte della Corona.
Quindi il ritorno degli ebrei convertiti garantiva nuove entrate per il tesoro. Nei Regni Iberici i monarchi avevano decretato che ogni ebrei convertito tornato indietro poteva riavere la sua proprietà a certe condizioni: esisteva un limite di quattro mesi, poi esteso dopo il 1496, ma dovevano compensare coloro che avevano acquistato le loro proprietà quando erano fuggiti per i miglioramenti fatti dopo l’acquisto. La Corona assicurava che i cristiani che avevano acquisito queste proprietà non avrebbero perduto i loro investimenti. Essa aveva anche decretato che ai compratori sarebbe stato concesso di tenere le proprietà fino a che gli ebrei convertiti non avessero pagato la somma addizionale che copriva il reale valore. Probabilmente le stesse leggi valsero anche per la Sicilia. Le autorità politiche cercavano di aiutare e proteggere, anche tramite l’esenzione delle imposte, i neofiti, ma per perseguire fini politici, come afferma Nadia Zeldes:
The policy of favoring newly converted individuals, protecting them, and according them all kinds of exemptions and concessions, was constant throughout the second half of the fifteenth century and beginning of the sixteenth. It did not change with the appointment of new officials, including the Viceroy, In fact, this policy can be traced back to the period preceding the Expulsion.[28]
[1] Haim Beinart, Vuelta de judíos a España después de la expulsión, Angel Alcalà (Ed), Judíos. Sefarditas. Conversos : la expulsión de 1492 y sus consecuencias. Ponencias del Congreso internacional celebrado en Nueva York en noviembre de 1992, Valladolid, 1995, pp. 181-194.
[2] Su Juan de la Parra vedere María de la Soterraña Martín Postigo, La Cancillería castellana de los Reyes Católicos, Valladolid, Universidad de Valladolid, Secretariado de publicaciones 1959, p. 202 e successive; Antonio Rumeu de Armas, Nueva luz sobre las capitulaciones de Santa Fe de 1492 concertadas entre los Reyes Católicos y Cristóbal Colón : estudio institucional y diplomático,
Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, 1985, pp. 33-34. Su Rodrigo Maldonado de Talavera, id., p. 26. Il 30 giugno 1490 egli fu nominato con Juan Díaz de Alcocer y Pero Díaz de la Torre per giudicare le petizioni presentate dal rabino R. Meir Melamed contro la riscossione di imposte dei debiti alla Hermandad (Registro General del Sello [=RGS], vol. 7, n. 2417, fol. 70. La firma di Rodrigo si trova in molti documenti dell’epoca.
Per il permesso di ritorno vedere RGS, 9, n. 3284, fol. 40. Ulloa era contador Mayor (funzionario che interveniva nella amministrazione dei capitali pubblici) e fu uno dei firmatari del permesso di ritorno concesso a Jacob Galfón, cittadino di Segovia, e alla sua famiglia il 20 novembre 1492 (RGS 9, n. 3371, fol. 26), pubblicato da Luis Suárez Fernández, documentos acerca de la expulsion de los judios, cit.,pp. 487-489, e da Antonio de la Torre-Luis Suárez Fernández, Documentos referentes a las relaciones con Portugal durante el reinado de los reyes católicos, vol. 2, Valladolid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Patronato Menendez Pelayo 1958-63, pp.406-408. In certi ordini militari, è un titolo immediatamente inferiore a quello di maestre, ufficiale di grado superiore
[3] In: Haim Beinard, Vuelta de judìos. Cit. p. 182 e nota p. 193
[4] Il provisor, è un giudice diocesano Nominato dal vescovo, con il quale costituisce un medesimo tribunale, e che ha il potere di occuparsi di cause ecclesiastiche . Cfr. diccionario de la real academia española, http://dle.rae.es/?w=diccionario
[5] Il corregidor era un funzionario reale, istituito in Castiglia da Enrico III intorno al 1393. Il suo compito era rappresentare la Corona spagnola nell’ambito municipale.
[6] RGS9, N. 3284, fol. 5. pubblicato da Luis Suárez Fernández, documentos acerca de la expulsion de los judios, cit., pp. 526-527, pdf. p.528: http://bvpb.mcu.es/es/catalogo_imagenes/impresion.cmd?path=34975&posicion=1,e Antonio de la Torre-Luis Suárez Fernández, Documentos referentes a las relaciones con Portugal durante el reinado de lor Reyes Catolicos, cit., pp. 406-408. In: Haim Beinard, Vuelta de judìos. Cit. p. 183 e note p. 193. Vedi appendice.
[7] ACA, Real Cancilleria, reg. 3567, fol. 104v. In J. Ray, After expulsion, Cit. p. 54 e nota p. 174
[8] David L. Graizbord, Souls in Dispute: Converso Identities in Iberia and the Jewish Diaspora, 1580-1700, Philadelpia, University of Pennsylvania Press 2004.
[9] Cfr. Haim Beinart, The converso Community in 16th and 17th Century Spain, The Sephardi Heritage, R. D. Barnett (Eds.), 2 vols., London, Valentine, Mitchell 1971; Israël S. Révah, Les Marranes, in «Revue des Études juives», Peeters, Paris 1959, pp. 29-77. Yosef Haim Yerushalmi, The Reeducation of Marranos in the seventeenth century, Judaic Studies Program, University of Cincinnati 1980. Révah sostiene che i conversos desideravano scappare verso terre dove potevano praticare l’ebraismo liberamente. Sulla stessa linea troviamo Yosef Hayim Yerushalmi che ritiene che «the flight of conversos to ghe sephardi Diaspora was itself already an act of intense Jewish commitment […] And this was true not only of those who fled voluntarily, but even those who […]fled to escape arrest [by the Inquisition]». In D. L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 213.
[10] Uriel da Costa nella sua autobiografia dice che era illegale lasciare Il Regno spagnolo senza un permesso del Re. Uriel Acosta, A specimen of Human Life, NewYork, Bergman Publishers, 1967. In: D. L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 213.
[11] Cfr. Miriam Bodian, Hebrews of the Portuguese Nation: Conversos and Community in Early Modern Amsterdam, Bloomington, Indianapolis, Indiana University Press 1997,141.
[12] D. L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p.72
[13] Yosef Kaplan, Wayward New Christians and Stubborn New Jews: The Shaping of a Jewish Identity, in: «Jewish History», Vol. 8, No.1/2, The Robert Cohen Memorial Volume (1994), pp. 27-41, p. 30.
[14] Yosef Kaplan (Ed.) , The Travels of Portuguese Jews from Amsterdam to the ‘Lands of Idolatry’ (1644-1724), in Jews and conversos: studies in society and the inquisition , Magnes Press, Jerusalem 1985, pp. 205-206.
[15] Yosef Kaplan, The Struggle against Travelers to Spain and Portugal in the Western Sephardi Diaspora, «Zion», LXIV (1999), pp. 65-100.
[16] Gérard Nahon, Métropoles et périphéries séfarades d’Occident: Kairouan, Amsterdam, Bayonne, Bordeaux, Jérusalem, Paris, Cerf 1993, p. 143. Graizbord afferma che nonostante le pressioni esercitate dai Rabbini affinché i conversos nel sud della Francia si unissero alle comunità ebraiche, non ci sono prove che le autorità ebraiche abbiano usato delle coercizioni simili a quelle dell’Inquisizione. Le autorità rabbiniche erano molto lontane da quelle della controriforma cattolica. D.L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 219.
[17] Lo storico ha preso in esame le fonti dell’Inquisizione. Una ricerca più ampia, che possa prendere in esame altri fonti delle Kehillot, sembrerebbe opportuna.
[18] D.L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 78.
[19] L’imputato disse inoltre che aveva pregato in silenzio, in forma abbreviata, mentre era solo. AHN, Inquisiciónde Toledo, leg. 177, exp. 1 (1664-70), fol. 58v. Citazione D.L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p.222.
[20] AHN, Inquisición de Toledo,leg. 177, exp,. 11 (1641-78). Citazione D.L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p.222.
[21] D. L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 90.
[22] Id., p. 91.
[23] D. L. Graizbord, Souls in Dispute, cit., p. 94 e nota p. 223: AHN, Inquisición de Toledo, leg. 152, exp. 6 (1663-65). fol. 6r-6v.
[24] Id., Souls in Dispute, cit., p. 95 e nota p. 223. Cf. AHN, Inquisición de toledo, leg. 147, exp. 5 (1651-52), fol . 5r-7v.
[25] Id., Souls in Dispute, cit., p. 104.
[26] Ferdinando il cattolico divenne re come Ferdinando II di Sicilia nel 1479.Nel 1481 creò il tribunale dell’Inquisizione e fu nominato in Sicilia primo inquisitore delegato Frate Agostino La pena. Nel 1492 anche gli ebrei che vivevano in Sicilia dovettero scegliere fra la conversione o l’abbandono della terra siciliana.
[27] Nadia Zeldes, The former Jews of this kingdom: Sicilian converts after the expulsion, 1492-1516, Medieval Mediterranean, v. 46, Leiden, Brill 2003, p. 30.
[28] L’esortazione alla conversione può essere fatta risalire al medioevo, durante il governo dei Re aragonesi: cfr.Yom Tov Assis, The Papal Inquisition and Aragonese Jewry in the Early Fourteenth Century, «Medieval Studies», 49, (1987), p. 295. In Nadia Zeldes, The former Jews of this kingdom, p. 33