Capitolo 3 – Gli ebrei nell’’impero ottomano.
Nell’Impero ottomano la comunità ebraica spagnola diventò la più grande del tempo. Nelle terre ottomane la situazione si rivelò diversa da altre. Le forze ottomane conquistarono la capitale di Costantinopoli nel 1453 e dominarono l’intero vicino oriente dal 1520. Al contrario degli altri Stati del mediterraneo centro-occidentale gli Ottomani erano capaci i occupare nuovi territori e integrarli nel sistema politico dell’impero. Nel Magreb e nella penisola italiana, le guerre invece erano costose e le vittorie poche, e contribuivano poco alla stabilità politica. Venezia all’inizio del secolo XVI superò gli eventi calamitosi in parte a causa del maggior potere politico, in parte perché i suoi capi avevano velocemente appreso a non rompere la fragile relazione con l’Impero ottomano. Mentre i veneziani in generale facevano contro gli ottomani una serie di guerre (terminate poi nel 1503), la loro politica di riavvicinamento fu un prodotto del pragmatismo, non della paura. I veneziani furono guidati principalmente dal guadagno economico derivato in periodi di pace piuttosto che dalla paura delle possibilità miliari ottomane.
Della tendenza al pragmatismo e al profitto beneficiarono gli ebrei espulsi. L’atteggiamento mercantile che avrebbe, alla metà del secolo, condotto molti Signori italiani a dare dei privilegi agli ebrei, fu accettato dai loro rivali ottomani, che videro negli ebrei degli agenti per lo sviluppo economico. Coloro che nel 1492 andarono a vivere nelle città dell’impero ottomano ne riconobbero i benefici. I musulmani dell’impero non accolsero però favorevolmente gli ebrei, molti di loro si opposero a ogni segno di favore imperiale mostrato verso gli ebrei, mentre non faceva parte della tradizione turca trattare favorevolmente i soggetti dhimmis.
Un’indicazione può essere tratta dalla cronache di Eliahu Capsali, di cui pubblichiamo una parte delle cronache nei capitoli seguenti, che nella sua opera dimostra rispetto verso le autorità turche. Capsali dice che uno degli atti di benevolenza mostrati dal sultano Selim I (1512) verso gli ebrei spagnoli, fu l’annullamento della conversione forzata degli ebrei che era stata fatta sotto Bayezid II (1491-1512).
Durante il Regno di Selim I, ci fu maggior tolleranza verso gli ebrei dell’Impero; questo periodo coincise con una varietà di altri fattori, inclusa la creazione dell’Inquisizione portoghese, che portò all’aumento dell’immigrazione degli ebrei nelle terre ottomane. Nella prima decade che seguì l’espulsione, l’insediamento ebraico nel Mediterraneo dell’est rimase relativamente modesto. Gli ebrei esiliati dalla Spagna e dai territori in Italia beneficiarono della crescita economica e della generale prosperità dell’Impero ottomano, stimolo per decine di anni per l’insediamento ebraico. Notava Samuel de Medina, rav di Salonicco:
E ancora scrive alla fine della Teshuvà 303, in cui menziona le difficoltà di studiare in Italia dopo il rogo del Talmud:
Oltre alla protezione, i fervidi centri mercantili come Istanbul e Salonicco richiamavano i Sefarditiin cerca di opportunità economiche.
Dal 1510 gli esiliati spagnoli erano già divenuti un gruppo riconoscibile a Salonicco, considerata la seconda città, dopo Gerusalemme, per il maggior numero di ebrei. Istanbul era ugualmente sede di molti sefarditi, ma la città aveva anche comunità di ebrei la cui provenienza era diversa. Fu dunque Salonicco che divenne la città “regina” dell’esilio spagnolo.
Salonicco
Fra il 1453 e il 1492 non c’erano ebrei a Salonicco, solo nel 1492 si insediano nella Città ebrei provenienti dalla Spagna e dal Sud Italia.
Molti degli ebrei che arrivarono avevano perduto i loro figli e non avevano la capacità di generarne degli altri; molti loro amici e membri della famiglia erano stati obbligati a restare nei Paesi contro la loro volontà ed erano considerati ormai ha-Shemad, perduti per gli ebrei, che adesso cercavano di trovare un senso alla morte di bambini innocenti ed alle loro sofferenze.
Nonostante i dolori passati gli ebrei a Salonicco prosperarono: L’economia della città si basava essenzialmente sulla tessitura e il commercio dei tessuti, settore dove lavoravano la maggior parte degli ebrei. Un numero non indifferente di loro faceva le uniformi destinate all’esercito ottomano. Fra il 1537 e il 1826 gli ebrei poterono saldare una parte delle imposte con dei tessuti, grazie a un decreto del sultano Soliman il Magnifico, conosciuto da allora con il nome di «accordo dei vestiti del Re». Il campo dove gli ebrei divennero veri conoscitori fu la filatura della lana. Avevano importato le tecniche dalla Spagna dove la tecnica era molto sviluppata. Presto la comunità prese decisioni (ascamot) che si applicavano a tutte le congregazioni per regolamentare il lavoro: per esempio era proibito, sotto pena di scomunica, di esportare la lana e l’indigo nei luoghi che non si trovavano a meno tre giorni di cammino dalla città. I drappi, le coperte e i tappeti di Salonicco presto divennero famosi e furono esportati in tutto l’Impero, da Istanbul ad Alessandria, passando per Smirne. Questo affare divenne di stato quando il sultano decise di vestire le truppe dei Giannizzeri con la calda e impermeabile lana di Salonicco e furono date disposizioni per proteggere l’approvvigionamento della fibra. Un editto ad esempio del 1576 obbligava gli allevatori di montoni a fornire esclusivamente la lana agli ebrei fino a che essi non avessero acquisito tutta la lana necessaria alla filatura per le ordinazioni dell’Impero ottomano. Altre disposizioni regolamentavano strettamente i tipi di tessuto di lana da produrre. Nel 1578 fu deciso che l’approvvigionamento del tessuto di lana sarebbe servito come tassa al tesoro di Stato e avrebbe sostituito il pagamento in contanti, scelta che in seguito si sarebbe rivelata nefasta per gli ebrei.[2]
Dal 1537 la ricchezza e lo status di privilegiati di cui godevano era diminuita e la situazione cambiata. Essi potevano vendere solo nello stesso dominio ottomano, mentre l’Impero poteva acquistare anche da altri produttori, che dal 1530 includevano inglesi e italiani. Nel 1566, il carico di tasse fu aumentato dall’Impero. In una domanda di tributo di 7800 capi ovini, Moses Almosnino, [3] descrive in questo modo la situazione:
Gli ottomani non ci dettero respiro e imposero innumerevoli tasse e imposte, e quello che fu particolarmente pesante per noi fu la questione dei capi di pecore, che era senza precedenti fra gli ebrei e risultò intollerabile. Gli ebrei di Salonicco lavoravano al servizio del Re notte e giorno, cucendo abiti per le truppe. E nonostante questo, ci fu ordinato di inviare 780 capi di pecore a Costantinopoli ogni anno. [4]
Per rispondere a questa domanda, Almosnino fece parte di una delegazione che passò più di un anno nella capitale turca, premendo per un ridotto onere finanziario.
L’Italia: Venezia mercanti ebrei fra la Serenissima e Istanbul nel XVI secolo.
Fra il 1540 e il 1625 i commercianti ebrei occuparono una posizione centrale e spesso egemonica nel commercio veneziano con i Balcani e Istanbul.
Una colonia di mercanti veneziani fu creata a Costantinopoli durante il Medioevo. Costantinopoli era la base più importante del commercio veneziano nel Levante.
Nel secolo XVI, Istanbul divenne la più grande città europea nel mediterraneo, e rappresentò un enorme mercato. La presenza della corte ottomana, consumatrice di beni di lusso, era uno dei motivi della presenza dei mercanti occidentali, in particolare quelli veneziani.
L’importanza di Istanbul nell’economica del Mediterraneo, era dovuta inoltre alla sua presenza nelle sfere commerciali, finanziarie, politiche e amministrative. La capitale ottomana serviva come emporio per le merci prodotte in varie parti dell’Impero, e come centro per le transazioni commerciali internazionali relative alle esportazioni. I prodotti importati dai mercanti veneziani dalla capitale ottomana durante il secolo XVI erano differenti generi di stoffe originarie di industrie tessili nell’occidente in particolare industrie della lana e della seta, di cui la grande crescita dipese moltissimo in questo tempo dai mercati ottomani, specialmente quelli di Istanbul.
Importanti nelle città dell’Impero ottomano erano oggetti di vetro, carta e beni di lusso diamanti, perle gioielli ed anche cibo, in particolare il formaggio. I prodotto esportati da Istanbul verso Venezia includevano soprattutto lana, seta grezza, vari generi di tessuti, tappeti turchi e spezie. Fino ad almeno gli anni ’50 del XVI secolo i mercanti veneziani concludevano transazioni importanti a Istanbul per quanto riguarda l’esportazione del frumento da diverse parti dell’Impero ed anche l’esportazione dell’allume dall’Anatolia occidentale ed altre regioni.
Fu principalmente per fornire tali prodotti da Istanbul che i veneziani dovettero fare affidamento sui mercanti ebrei, la cui partecipazione crescente al commercio interno dell’Impero ottomano li rese indispensabili come intermediari per gli esportatori stranieri. Questa collaborazione servì gli interessi dei mercanti veneziani fino a che poterono mantener la loro posizione egemonica. Nel commercio internazionale fra Istanbul e l’occidente, e fino a che furono capaci di scegliere fra le diverse fonti di approvvigionamento per i loro prodotti e contrattare su base uguale se non superiore con i loro fornitori locali. Tutto questo agli inizi del secolo XVI inizio a cambiare. Fra gli ebrei immigrati da diversi Paesi sotto il controllo ottomano e in particolare a Istanbul, c’erano uomini di affari con capitali, esperienza finanziaria e legami con i centri importanti dell’economia a europea e mediterranea.
Il loro essere persone fra Oriente e occidente, la loro padronanza nell’uso delle lingue, l’aderenza alle stesse tradizioni religiose, la disposizione dei loro rabbini a riconoscere la legalità di pratiche commerciali anche quando non si accordavano strettamente con la legge religiosa, l’uso dell’Ebraico, e a volte del giudeo-spagnolo, come lingua internazionale della corrispondenza commerciale la loro abilità a usare lettere si scambio per trasferire captale tra i due mondi dell’Islam e cristianità e la protezione e il supporto garantito dalle autorità ottomane, tutte queste cose furono qualità importanti nella loro partecipazione nel commercio del Levante.
I viaggiatori stranieri che passavano da Istanbul nella metà del secolo XVI erano impressionati dal ruolo importante svolto dagli ebrei nella vita economica della città, come dal commercio internazionale che vi ruotava.
La posizione privilegiata dei mercanti ebrei nel commercio internazionale di Venezia divenne presto offensivo per molti veneziani quando il Ghetto Vecchio fu creato nel 1541. L’atmosfera antiebraica creata dalla controriforma contribuì inoltre all’animosità contro queste persone. La politica veneziana in questo periodo fu caratterizzata dunque da un lato dalla necessità di attrarre i mercanti a Venezia, e dall’altra alla paura della competizione e dalla rabbia per il loro successo.
Il successo inoltre dei mercanti ebrei di Istanbul aggravò inoltre l’animosità verso i mercanti ebrei levantini.
I mercanti veneziani che si recavano a Istanbul per la rifornitura di lana e seta, dovevano per forza accettare le condizioni imposte dagli uomini di affari ebrei e anche l’influenza di certi ebrei nella politica ottomana. Ad alto livello il relativo facile accesso degli ebrei mercanti alle supreme autorità ottomani era necessario per le industrie veneziane, in particolare per l’industria tessile.[5]
Scrive nel 1553 il bailo veneziano Bernardo Navagero:
Si trovano ora in Costantinopoli pochi mercanti […] che fanno poco guadagno; e la causa dell’esser scemati li commerci sono le gran spese di provvisioni ed altre di sensali, cortesie, crescimenti di servitore, fitti di magazzini, cali d’ori […] che in due anni non si spedisce quello che allora si spedia in una settimana, sono astretti per necessità a negoziare con gli ebrei, li quali se pagano la roba a contanti la vogliono pagar manco di quel che costi di capitale, e se fanno qualche volta a baratto, lo fanno in modo che è rovinoso per chi ha che fare con loro: e se pure è alcuno che voglia sostentare li suoi capitali non trova via di servirsene, sì che alla fine è anch’esso astretto a fare il medesimo che fanno gli altri e dare per quello che possono la loro roba.[6]
La fornitura di allume dalle mine dell’Impero Ottomano era inoltre nelle mani degli imprenditori ebrei di Istanbul, che negli anni ’60 del XVI secolo , lo spedirono a Venezia. L’allume era essenziale per le varie industrie Venezia, in particolare l’industria tessile, che si stava espandendo in questo periodo.
Un altro fattore che favorì i mercanti ebrei di Istanbul a scapito dei veneziani, fu il coinvolgimento dei funzionari ottomani di altro livello nel commercio ebraico con l’estero, o piuttosto l’utilizzazione da parte loro di ebrei per la conduzione dei loro affari commerciali.
Un altro fattore che aumentò l’animosità dei veneziani fu l’attività dei pirati cristiani nell’Adriatico e nel Mediterraneo dell’est contro i miscredenti, musulmani ed ebrei, le loro navi e i loro beni. I veneziani consideravano il Mediterraneo come il proprio “golfo”, e gli ottomani ritenevano i veneziani responsabili della sicurezza in quel mare. Inoltre le colonie veneziane nel Mediterraneo orientale erano a volte usate dai corsari occidentali come basi di approvvigionamento. Quando gli ebrei ottomani erano catturati e la loro merce confiscata da questi pirati, un meccanismo di pressioni ebraiche e ottomane aveva inizio a Istanbul, con grande imbarazzo dei veneziani, che spesso erano incapaci di prevenire simili attività piratesche.
L’attitudine dei veneziani verso i mercanti ebrei levantini era inoltre profondamente influenzato dalla natura delle relazioni veneziane-ottomane. La delicata relazione fra la Repubblica veneziana, che dominava un impero coloniale nel mediterraneo dell’est, e l’impero ottomano che cercava di rendere più forte la sua influenza nella stessa area, erano influenzata da considerazioni politiche, militari, ideologiche ed economiche.
Quando alla fine degli anni ’60 cominciarono a sentirsi venti di guerra [7], gli ebrei levantini si trovarono di fronte a due poteri: gli ebrei del ghetto vecchio che furono arrestati durante la guerra di Cipro (1570-73) e le loro merci furono confiscate dalla Repubblica. Il senato decise di espellere tutti gli ebrei da Venezia. Più tardi il decreto fu abrogato, ma l’immagine dell’ebreo come nemico stava crescendo. Immagine che era aiutata dall’attitudine cristiana tradizionale, verso gli ebrei in generale.
La revocazione poi del decreto di espulsione, fu dovuta anche alle attività degli ebrei di Istanbul. Solomon Ashkenazi,[8] una figura chiave nei negoziati di pace fra i due poteri, veneziano e ottomano, si rivolse alle autorità veneziane e chiese loro di riconsiderare il trattamento verso gli ebrei. La sua intercessione i può aver avuto dunque qualche peso. Nello stesso tempo tuttavia ii mercanti ebrei di Istanbul proposero di trasferire le loro attività commerciali da Ancona a Venezia, o vicino Venezia, nel porto di Chioggia.
[1] Samuel de Medina, She’elot we-Teshuvot Maharashdam: ha-Shayakhot be Tur Hoshen Mishpat, Yerushalayim, Zikhron Aharon 2007, Teshuvà 303, 215b–d.Pdf: http://www.hebrewbooks.org/11886, p.498. Citato in J. Ray, After expulsion, cit., p. 49[2] Cfr. Gilles Veinstein, Salonique 1850-1918, la “ville des Juifs” et le réveil des Balkans, Paris, Editions Autrement 1992 p. 52-54.
[3] Moses ben Baruch Almosnino (1510-1580), nacque a Salonicco. Nel 1553 fu eletto rabbino della comunità di origine spagnola Neveh Shalom e nella congregazione Livyat Hen nel 1560. Grande conoscitore non solo di letteratura rabbinica ma anche di medicina e astronomia, scrisse commenti a traduzioni dall’arabo e dal latino. Nel 1565 si rivolse al sultano Selim II per difendere i diritti degli ebrei.
[4] Meir Zvi Benaya, Moshe Almosnino ish saloniki: po’alo veyetsirato, Tel Aviv, University of Tel Aviv 1996, p.62.
[5] Benjamin Arbel, Jewish and Venetians in the Early Modern Eastern Mediterranean, Leiden, New York, Koln, E.J. Brill 1995.
[6] Bernardo Navagero, Relazione dell’Impero Ottomano del clarissimo Bernardo Navagero stato bailo a Costantinopoli, fatta in Pregadi nel mese di febbraio 1553, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato raccolte, annotate ed edite da Eugenio Albéri, s. III, vol. 1, Firenze 1840, pp. 101-102. In Arbel Benjamin, Jewish and Venetians, cit. Reperibile on-line: https://archive.org/stream/E.AlberiRelazioniDegliAmbasciatoriVeneti-Serie3-Vol.1/Alberi.Vol.I_djvu.txt; e anche
https://ia802708.us.archive.org/6/items/E.AlberiRelazioniDegliAmbasciatoriVeneti-Serie3-Vol.1/Alberi.Vol.I.PDF.Bernardo Navagero (1507 – 1565), era un cardinale e diplomatico del Cinquecento. Fu eletto bailo a Costantinopoli il 21 settembre 1549 e vi si trattenne per 39 mesi.
[7] Nel 1571, il 7 ottobre, a Lepanto, grandiosa vittoria cristiana contro i Turchi, a opera quasi completamente veneziana. E’ uno dei momenti più gloriosi della Serenissima. Nel 1573 nonostante la vittoria di Lepanto, vengono perduti altri possedimenti nell’Egeo e abbandonata Cipro. Viene stipulata una pace con i Turchi che sancisce la definitiva perdita di Cipro.
[8] Ashkenazi Solomon ben Nathan (1548-72) fu il medico di corte del Re Sigismondo II di Polonia (1548-72) e un diplomatico turco. Discendente di una famiglia ashkenazita di Udine, si stabilì a Costantinopoli, dove divenne un membro del personale del Grand Vizier Mahomet Salokki, che gli affidò molti incarichi di natura delicata. Durante la guerra turca con Venezia per la conquista di Cipro (1570), si occupò dei preliminari del trattato di pace. Fu in parte grazie a lui che il decreto per espellere gli ebrei da Venezia fu revocato nel 1573. Nel 1576 fu inviato straordinario a Venezia, con il pieno potere di concludere la pace. La repubblica veneziana si mostrò contraria a ricevere un ebreo, e Solomon Ashkenzi fu accettato solo dopo l’insistenza del grand visier.