Capitolo 1 – 1492: Sepharad, crisi, permanenze e partenze degli ebrei
Le premesse
Nei massacri del 1391 decine di migliaia di ebrei furono uccisi e un grande numero convertito con la forza. Reuven, il figlio del rav Nissim Gerundi, un sopravvissuto, descrive i terribili avvenimenti scrivendoli ai margini della Torah di suo padre:
שלשה חדשים פשטה אש תבערה בק”ב בנ”י (בקהילות קודש בני ישראל] בגלות ספרד המרה, מר”ח [מראש חודש] תמוז שנת אלף שלש מאות וכ”ג לחרבן, צרה ותוכחה חמת ה’ נתכה, כמהפכת סדו”ע [סדום ועמורה] נהפכה. אוי לנו על קהלות הקדוש’ [ות] בערי ממלכת קשטיליא טוליטולא שביליא מיורקא קורדובא ואלנסיא ברצלונה ארגוואן [אראגון] בגנאדה ובששים ערים סמוכים להם וכפרים בע”ל [באה עלינו] מכת חרב הרג. ואבדן, שמד שבי בזה, ונמכרו לעבדים ושפחות לישמעאלים. וכמאה וארבעים אלף נפשות שלא יכלו עמוד ענ”פ [על נפשם] מידי מעניהם האכזרים באו לידי המרה מדתם הטהורה.
.”ח אלול הקנא לב”ע [לבריאת עולם], ראובן בן רבנו נסים בן רבנו ראובן גרונדי […]
Gli ebrei scompaiono da molte città: arriva una nuova figura, quella del “Nuovo Cristiano” o converso. A questo proposito David Niremberg afferma che:
The migration of such a large number of Jews into the body of Christ catalyzed a series of reactions whose complexity and dynamism is perhaps comparable to those that marked the debates between Jewish and gentile followers of Jesus in the first formative century of Christianity. Underlying these reactions (of which the turn towards genealogy was only one) was a crisis of classification and identity, whose first symptoms became evident almost immediately[2].
Nel 1393 per esempio il Re di Aragona si lamentava che in molte città era diventato impossibile distinguere coloro che si erano convertiti da coloro che erano rimasti ebrei. Egli propose la segregazione di quest’ultimi e l’aumento dei segni per riconoscerli. I convertiti non potevano vivere, mangiare o avere conversazioni con gli ebrei che dovevano mettere dei segni e cappelli, per rendere visibile la loro identità.
Il frate Vincente Ferrer[3] cercò di instaurare la necessaria distanza fra Cristiani ed ebrei in due modi: la conversione del maggior numero possibile e la formazione di legami fra cristiani e gli ebrei convertiti.
Shlomo Alami[4], un ebreo portoghese, testimone delle persecuzioni in Catalonia, Castiglia, Aragona nel 1391, descrive questo periodo come un tempo in cui il cielo era coperto di nuvole così spesse che il passaggio per le preghiere a Dio era bloccato.
Secondo Jonathan Ray all’inizio del xv secolo l’idea che i conversos avessero accettato il battesimo come un mezzo per avere una vita più facile, piuttosto che come un risultato di pressioni cristiane o una vera credenza religiosa, divenne opinione diffusa nella penisola iberica. [5]
Nelle comunità ebraiche prendono forma risentimenti e sospetti nei confronti di coloro che si convertono. In una lettera aperta che analizza le motivazioni delle continue conversioni dopo il 1391 rav Yehoshua Halorki dà la voce a quelle sensazioni ebraiche di animosità.[6] La lettera si rivolge a colui che era stato una volta il suo maestro e che una volta convertito, aveva preso il nome di Pablo di Santa Maria e si apre con la domanda che riguarda il motivo per il quale Ha-Levi ha scelto di alterare l’ordine della creazione:
אחרי התחדש עליך זה החדוש הנפלא אשר כל שומעיו תצלנה אזניו, שוטטו מחשבותי ולבי לא ינום ולא יישן, איככה אוכל וראיתי מי הביאך הלום, ואיזו סבה הניעתך לשנות עליך סדרי בראשית ואת התרגזך עלינו.
Determinato a vedere le ragioni della conversione di Ha-Levi, Ha- Lorki propone delle possibili motivazioni per l’abbandono della fede ebraica. Il suo testo aiuta inoltre a comprendere quali caratteristiche avessero le comunità ebraiche sotto nella cristianità.
Un contemporaneo degli avvenimenti del 1492, Abraham Zacuto, afferma che coloro che scelsero la conversione lo fecero per evitare una dura persecuzione. Zacuto era un rabbino, matematico e astronomo che al tempo dell’espulsione aveva 40 anni. Aveva insegnato in università cristiane come Cartagena e Saragozza prima di partire per il Portogallo, dove era stato nominato astronomo del Re alla corte di Giovanni III. Dopo poco era fuggito nel Nord Africa e poi a Gerusalemme. Questo suo spostarsi gli dette la possibilità di studiare la società ebraica in Spagna e altrove nei secoli XV e XVI. Nelle sue cronache Zacuto critica i colleghi ebrei per empietà e la non osservanza dell’autorità religiosa. Quando scrive di Yacob ben Asher,[8] un grande Rabbino del XIV secolo, il cui codice Arba’ah Turim, era uno dei testi religiosi che gli esiliati avevano portato con sé, lamenta che la comunità di Toledo non avesse aiutato il Rabbino adeguatamente, e lo avesse lasciato vivere in miseria la maggior parte della sua vita. Zacuto afferma nel Sefer Yuhasin che:
In modo simile Zacuto scredita quegli ebrei che avevano accettato il battesimo nel 1391. Considera al contrario la morte di Ben Asher e della sua famiglia un atto di sfida con il martirio di fronte alla conversione e vede nei dolori sofferti dagli ebrei la punizione divina dei loro peccati. Racconta Zacuto che la popolazione si era rivoltata contro gli ebrei, li aveva uccisi con le spade, catturati donne e bambini per venderli. Più di 4.000 avevano subito questo destino. Questa era stata una giusta punizione poiché gli ebrei si erano uniti con donne gentili, i figli erano nati da unioni illecite e dopo avevano ucciso i loro padri. Egli, che non era stato un testimone degli eventi del 1391, forse esagera, ma come altri rabbini aveva letto gli avvenimenti come conseguenza della negligenza religiosa di quella generazione [10] e nel Sefer Yuhasin aveva affermato:
In questi anni di tragedie, dolori, separazioni, quello che divenne presto importante fu il retaggio culturale, religioso, sociale che distinguerà spesso gli ebrei dai conversos.
1492
I would rather suggest that the profusion of personal and historical accounts emanating from the Spanish expulsion must somehow be related to the traditionally high, even inflated, degree of self-awareness on the part of Spanish Jews of their special identity and destiny as “the exile of Jerusalem that is in Spain” (galut Yerushalayim asher bi-Sepharad)..[12]
Alla fine del 1491 il governo della Castiglia rinnovò i contratti con gli ebrei per altri quattro anni, come faceva d’abitudine. Simili contratti furono firmati all’inizio del 1492. Questo non significa però che già non si considerasse in questo tempo l’idea dell’espulsione. Questa iniziò in Maggio, le autorità intendevano realizzare l’evacuazione degli ebrei in maniera tranquilla e ordinata e quindi lo stato prese sotto la sua protezione i quartieri ebraici. Dalle sedi centrali furono date istruzioni a tutte le località di dare i soldi agli ebrei, di permetter loro di pagare i loro debiti, e di disporre dei loro beni in termini giusti ed equi. Nonostante questo, c’erano numerose istanze di estorsioni ed imbrogli. Gli ebrei dovevano vendere le loro proprietà in cambio di cose di poco valore. Gli ebrei ricchi non poterono terminare i loro affari in tempo, e li dovevano affidare ai loro agenti cristiani. Era poi loro proibito portare fuori oro, argento e pietre preziose. Sinagoghe, cimiteri e proprietà ebraiche erano confiscate e divenivano parte della tesoreria del Re. Queste proprietà furono considerate alla stregua di proprietà di eretici o persone associate con l’eresia. A ogni ebreo fu ordinato di stimare la sua proprietà e dirne il valore ai commissari dell’Inquisizione.[13]
Non sono disponibili dati demografici attendibili sulla popolazione ebraica che viveva in Spagna nel tempo dell’espulsione. Non sappiamo quanti ebrei si convertirono e quanti decisero di andarsene dalla Spagna; gli storici stimano che più di una metà di ebrei si sia convertita al cristianesimo. Il dibattito è sempre aperto per quanto riguarda il numero degli ebrei che lasciarono la Spagna.[14] Lo storico spagnolo Luis Suàrez Fernàndez [15] pensa che circa 100.000 ebrei che vivevano nel Regno di Castiglia partirono. Lo storico spagnolo Miguel Angel Labero Quesana,[16] riferendosi alle tasse pagate alla monarchia, calcola un numero di 75.000 persone. Lo storico Itzhak Baer,[17] al contrario, stima che il numero di esiliati dalla Spagna fosse di 200,000 persone, delle quali 120.000 si rifugiò in Portogallo e circa 80,000 partì dal porto di Almerìa per i porti del Nord Africa, e dai porti di Valencia e Barcellona verso l’Italia [18] e i Balcani. [19] Secondo lo storico solo per poche città spagnole abbiamo dei dati statistici: gli ebrei erano soggetti a particolare sorveglianza, in quanto “bene” del Tesoro del Re; poiché i pagamenti delle loro tasse erano compilati frequentemente, possiamo dire che nel secolo XIII esisteva una grande comunità ebraica a Toledo, veniva dopo quella di Burgos nel Nord. La principale comunità ebraica in Aragona era quella di Saragozza, la cui popolazione secondo i documenti risalenti al secolo XV era di circa 200 famiglie. All’inizio del secolo XIII la città di Valencia aveva circa 250 pagatori di tasse ebrei; la comunità crebbe nella seconda parte del secolo XIV, quando ne facevano parte ormai gli ebrei originari della Catalogna e Aragona. Comunità di circa 50 famiglie esistevano a Jativa, Murviedro e Castellón de la Plana. La comunità di Maiorca si diceva che avesse nella seconda parte del secolo XIV, circa 1000 famiglie, un numero comunque poco probabile. Il numero stimato degli ebrei in tutti i territori che si trovarono sotto la Corona aragonese alla fine del Regno di Giacomo il Conquistatore[20] era non molto diverso da quello della Castiglia; si calcola dunque che le più grandi comunità non avevano più di 200-400 famiglie. [21]
Benzion Netanyahu [22] stima il numero degli ebrei in Spagna fra 600,000 ed un milione. Salo W. Baron[23] invece ritiene che fra il 1391 e il 1412 circa 200,000 ebrei erano stati battezzati.
Lo storico Haim Beinart [24] conclude che circa 200.000 lasciarono la Spagna nel 1492 e elenca anche i luoghi verso i quali si diressero.
Secondo Yohanan Aharoni ed altri storici la popolazione ebraica di Castiglia crebbe da 60,000 nel 1300 a 160.000 nel 1492. La popolazione ebraica dell’Aragona diminuì fino ad arrivare a 75,000, la Navarra aveva 15,000 ebrei. Andres Bernaldez, un contemporaneo, stimava che vivessero nel 1492 in Spagna 35000 capifamiglia in Castiglia e 6000 in Aragona. Calcolando quanto fossero grandi le comunità ebraiche possiamo giungere a dei risultati: per esempio la comunità ebraica di Caceres in Extremadura era di 130 persone e Talavera de la Reina negli anni fra il 1477 e il 1487 aveva 168 famiglie, un numero tipico di altre comunità. Una stima tradizionale delle comunità in Castiglia indica fra il 1486 e il 1491 che vivessero nel territorio fra le 14,400 e le 15,300 famiglie; stimando sei persone per famiglia dovremmo raggiungere le circa 100,000 unità. Se aggiungiamo anche i conversos, potremmo arrivare alla popolazione totale di ebrei alla fine del secolo XV. Una fonte ulteriore di informazione è la tassa pagata dai rifugiati che andarono in Portogallo, ciascuno dei quali aveva pagato 8 cruzados [25] per il permesso di attraversare il confine e risiedere per 8 mesi nel Regno portoghese.
Qui si può valutare che circa 120,000 persone abbiano trovato residenza.[26]
Jonathan I. Israel parla di migliaia di persone che furono forzate a scegliere fra conversione o la fuga; fra coloro che scelsero di andarsene, la maggior parte morì durante il viaggio. Per quanto riguarda il Portogallo egli sostiene che in Portogallo poi gli ebrei forzati al battesimo erano stati circa 70,000.[27]
La memoria dell’”esilio” dalla Spagna fu unica e particolare, come osserva giustamente Yoseph Hayim Yerushalmi: «Expulsion, gherush, is part of the negative history of exile, galut. It is, in a real sense, a double exile, an exile within exile»,[28] perché l’espulsione dalla Spagna ha assunto una tale importanza nella memoria ebraica predominando sulle altre? Una prima ragione consiste nel fatto che è stata la prima così dura. Quella dalla Francia del 1306 non era stata un affare da niente: rav Levi ben Gershon [29] scrisse che il numero degli espulsi fu due volte quelli che lasciarono l’Egitto.
Un altro fattore riguarda l’orgoglio per il luogo provato dagli ebrei spagnoli, memori indubbiamente delle «glorie» passate. Paragonati alla ricchezza dei testi nei quali descrissero il loro disastro e le loro reazioni, i primi resoconti di ebrei riguardo altre espulsioni sono rare e in qualche caso non esistenti. Può darsi ci siano testi non sopravvissuti, ma difficilmente può essere questa la spiegazione per la mancanza di scritti. Ancora un fattore può essere costituito dal numero degli ebrei spagnoli che nonostante le discordanze, era maggiore di quello di altri luoghi. Yerushalmi suggerisce che la profusione di racconti personali e storici dell’espulsione sono forse dovuti all’alto livello di consapevolezza che gli ebrei spagnoli avevano della loro speciale identità e destino come esiliati in Spagna da Gerusalemme. Cadere da un simile livello fu l’essenza della tragedia, e forse questo richiedeva almeno una catarsi verbale. Questa espulsione, continua Yerushalmi, fu anche emblematica, il simbolo di un processo attraverso il quale, passo dopo passo, la presenza ebraica fu eliminata dall’Europa occidentale e il centro della vita ebraica cambiò da occidente a oriente. [30]
La strada degli esiliati fu difficile, piena di traversie, disastri e catastrofi. Parte degli ebrei morirono lungo la via per sfinimento e inedia. Altri furono derubati dai capitani delle navi su cui viaggiavano, o venduti come schiavi. Alcuni furono abbandonati dagli stessi capitano in isole deserte dove morirono di sete e di fame.
Le vicende di questi ebrei furono narrate dai pochi sopravvissuti, fra i quali i più conosciuti sono Avraham ben Shelomo Ardutiel,[31] Yehudah ben Ya’akov Hayatt,[32] Solomon ibn Verga, [33] rav Yosef ben Yehoshua HaCohen.[34]
La prima destinazione fu il Portogallo e poi il Nord Africa. La maggior parte di loro andò a vivere a Fez, Marocco, con il benvenuto del Sultano. Gli esiliati formarono comunità chiamate Megorashim (espulsi), in contrapposizione con i Toshavim, coloro che vivevano già nel Nord Africa [35]. Nel 1546 la prima stamperia ebraica fu trasferita da Lisbona a Fez.
La lunga strada dell’esilio
Un contemporaneo scrivendo della conversione di notabili castigliani come Abraham Señor o Meir Melamed, notava con amarezza: «They were not forced by might or by force or a strong arm. They changed their faith and left community for a people without understanding [Osea 4:14]»[36]
Il Ray sostiene che giudizi tanto duri tendono comunque a mettere in ombra il vero dilemma che dovettero affrontare gli ebrei del periodo:
“The flurry of conversions to Christianity around the time of the expulsion is thus a poor indicator of personal religious devotion. Some Jews clearly sought to embrace Christianity as a means of preserving their property, while their wives and children -perhaps even at heir behest – refused. In some cases, Jews who opted to remain behind as converts helped to support their families living as exiles in Portugal. The New Christians would bring their Jewish relatives money and slowly liquidate their assets in Spain before joining them in exile and returning openly to Judaism”.[37]
Pochi ebrei possedevano contatti con autorità fuori della Spagna o fondi sufficienti per ottenere salvacondotti e garanzie per l’insediamento e coloro che erano sufficientemente ricchi e avevano buoni contatti dovevano essere responsabili per un numero grande dei loro fratelli.
Il ruolo di leadership giocato da quegli ebrei che avevano legami con i governanti cristiani era pertanto di fondamentale importanza per una migrazione coronata da successo e il reinsediamento degli esiliati. Questi uomini possedevano una lunga tradizione nell’uso della corruzione come mezzo per negoziare con le autorità cristiane e musulmane, tradizione iniziata ai tempi dei tumulti del 1391, quando gli ebrei emigrati nel Nord Africa avevano ottenuto con successo assicurazioni di protezione.[38]
In seguito alla caduta di Malaga nel 1487 gli ebrei catturati dai cristiani erano stati rilasciati dopo che le comunità ebraiche della Castiglia avevano raccolto il denaro. Oltre che a comprare la libertà degli schiavi, il denaro raccolto nel 1492 da Abraham Señor e Meir Melamed assicurò il salvacondotto del Re.
Nella dichiarazione formale di libertà, la regina Isabella permetteva ai Malesi di insediarsi in tutti i suoi territori, aggiungendo che se gli ebrei volevano attraversare il mare potevano andare in Malesia senza problemi. [39]
La dipendenza nei confronti degli ebrei ricchi è chiara nei registri degli ebrei che stavano lasciando Granada, dove qualche famiglia era registrata come composta da 53 persone. Due persone che erano state interpreti del Re, Samuel e Yehuda, usarono le loro conoscenze nella corte per ottenere l’esenzione dal pagamento delle tasse doganali imposte a coloro che lasciavano la Spagna. Alla fine, in ogni modo a coloro che erano stati ebrei di corte era richiesto ancora di pagare metà del denaro necessario poiché i funzionari locali sospettavano che essi fossero interessati ai beni delle loro famiglie.[40]
In maniera simile, un resoconto anonimo dell’espulsione riferisce che l’ebreo notabile Don Vidal de la Cavalleria[41] preparava la strada per gli ebrei che cercavano aiuto in Portogallo:
One hundred and twenty thousand of them went to Portugal, according to a compact which a prominent man, Don Vidal bar Benveniste de la Cavalleria, had made with the king of Portugal […].[42]
Osserva ancora l’autore anonimo riguardo alle destinazioni degli esiliati:
Many of the exiled Spaniards went to Muslim countries, to Fex, Themcen, and the Berber provinces, under the king of Tunis. Most of the Muslims did not allow them into their cities, and many of them died in the fields from hunger, thirst, and lack of everything […] a Jew in the kingdom of Tlemcen named Abraham, the viceroy who ruled the kingdom, had some of the come to his kingdom, and the spent a large amount of money to help them. The Jews of North Africa were very charitable toward them.”[43]
Personalità ebraiche, leadership rabbinica nella generazione dell’espulsione
Importante comprendere se la generazione dell’espulsione avesse una visione storica di quanto stava accadendo nella Penisola Iberica e se fosse capace di “inquadrare” gli avvenimenti all’interno della storia ebraica europea.
Gli ebrei spagnoli conoscevano le espulsioni avvenute in vari Paesi europei, ma apparentemente pensavano di avere caratteristiche storico-sociali diverse da quelle degli aschenaziti europei. Credevano che nella penisola iberica non si sarebbero verificati gli stessi eventi del Nord Europa, dal momento che abitavano nel Paese da molto tempo e godevano di influenza politica e prestigio. Questo nonostante i vari pogrom antiebraici degli anni passati. Quando erano avvenute delle espulsioni, come nel caso dell’Andalusia, avvenuta nel 1483, avevano ritenuto che il Re e la Regina avessero supportato le loro proteste e interessi finanziari. La realtà era infatti complessa e i monarchi stessi non sembrano aver visto questa espulsione come il primo passo verso quella generale. La stessa creazione del tribunale inquisitoriale ecclesiastico in Spagna non era stata percepita come un grande pericolo in quando si pensava che indagasse sopra la supposta “ebraicità” dei conversos poiché erano definiti dalle autorità cattoliche come cristiani e quindi gli “ebrei” ne sarebbero stati immuni proprio in quando appartenenti a una categoria diversa. Sembrava che si andasse solo verso una segregazione, perché il contatto di ebrei e conversos era negativo in quanto contaminazione dei valori cristiani. Gli ebrei credevano che fino a quando non avessero tentato di convertire i conversos e rispettato le leggi l’Inquisizione non li avrebbero attaccati.
Per quanto riguarda l’editto d’espulsione sembra del tutto evidente che gli ebrei di corte non avrebbero potuto fare molto per ostacolare le decisioni prese dai Re; le risorse, l’influenza ebraica era irrilevante , come vediamo nelle descrizioni che Abravanel fa riguardo agli sforzi per convincere i Monarchi a revocare l’editto. I resoconti successivi all’espulsione descrivono rav Abraham Señor in maniera negativa, ma i documenti contemporanei mostrano un uomo capace di usare la sua influenza per proteggere il proprio popolo.[44] Eliahu Capsali nelle sue cronache afferma che Señor si era convertito a causa di un accordo con la Regina, la quale in caso di un suo rifiuto verso la conversione, avrebbe fatto un bagno di sangue nelle comunità ebraiche. [45]
Il solo fattore che avrebbe potuto rendere consapevoli gli ebrei del disastro che li stava attendendo consisteva nell’essere coscienti di aver abbandonato le proprie tradizioni storico politiche, ed aver stretto alleanze con coloro i cui interessi erano opposti ai poteri che cercavano l’unificazione dei Regni, la centralizzazione del potere, la soppressione delle libertà religiose e politiche. [46]
Difficile è anche fare una valutazione storiografica sulle qualità morali ed intellettuali delle autorità rabbiniche, la nostra valutazione sulle guide degli ebrei spagnoli infatti si basa in gran parte su coloro che hanno scritto delle memorie. Alla fine del secolo xv, gli inizi della stampa, non era stato scritto un “libro” in Spagna che avesse avuto un’influenza nel Paese.[47] Gli ebrei della generazione dell’espulsione furono però influenzati non da quello che i loro maestri avevano scritto, ma da quello che avevano detto, e questi discorsi in gran parte sono andati perduti. In rare occasioni abbiamo la possibilità di leggere racconti di autori che ricordano di aver udito dai loro maestri preghiere, ricordi, riflessioni. Questo è ad esempio il caso di Isaac Abravanel,[48] che in Ateret Zeqenim, [49] dice «ho udito un uomo che pensava di essere saggio, e così era considerato dal popolo, pregare di fronte a un grande pubblico»:
«.ואני שמעתי גבר חכם בעיניו מחכמי המננו דדורש במקהילות ברבבות עם ישראל שהיה דעת רב המורה»
Molti sermoni forse erano convenzionali e non contenevano chiavi per interpretare il periodo in questione; altri invece riportavano interpretazioni degli eventi e fornivano aiuto, incoraggiamento e conforto.
Nell’estate del 1492 in ogni comunità ebraica spagnola ogni Sabato erano fatte delle Derashot: si cercavano senza dubbio le ragioni dei difficili avvenimenti del periodo e si provava a confortare le persone. Fra le testimonianze che riguardano i contemporanei troviamo quella di rabbi Solomon di Albarracin[50] che fu cacciato dalla sua città Teruel a causa dei suoi sermoni, preghiere così potenti da dissuadere gli ebrei a convertirsi e convincerli a lasciare la Spagna. A Zamora troviamo rav Abraham Saba[51], che parlava nei sermoni del destino del popolo ebraico e della cristianità. Nella sua opera Zeror Hamor, Parasha Vaishlach afferma che in Castiglia faceva Derashot di fronte ai Chakamim:
e rav Sabanella Parashà Pekudè commenta: «דרשתי זה פעמים” רבות קודם הגירוש» .
Abraham Zacuto elogiava il suo maestro Isaac Aboab [53] che era morto in Portogallo sette mesi dopo l’espulsione. Nel Sefer Yuhasim egli dice di aver fatto una Drashà in occasione della sua morte:[54]
Le opere di Aboab mostrano un Rabbino che attinge a tutte le risorse della cultura ebraica contemporanea, esperto in legge ebraica, studi biblici, filosofia, Qabbalà, dotato di coscienza sociale, grande comunicatore. Rimaneva però la questione: aveva saputo dare degli aiuti concreti e non allusivi a chi attendeva delle risposte alla catastrofe? [55]
La dimensione messianica nelle tre Derashot di Aboab è quasi completamente assente; ma ci sono anche delle referenze al Kiddush Hashem. In uno dei sermoni afferma:
Questo sembra esprimere la tradizione che il martire non sente dolore malgrado le torture, una tradizione conosciuta nella sua generazione dalla tarda Megillat Amraphel.[57] In un passaggio differente il predicatore sembra chiarire la sua posizione e ripudiare la dichiarazione radicale: [58]
Questo è simile a qualcuno che accetta la morte come martire. Non ci sono dubbi che egli sentirà angoscia nel momento in cui è ucciso, a causa del corpo che sentirà dolore. Ma nel momento in cui egli immagina che con la sua morte raggiunge la vera unità [con Dio] la sua mente proverà gioia [59]
Non è possibile sapere quale risonanza avessero queste parole nel momento in cui furono espresse, ma esse indicano comunque che il martirio era visto come atto possibile.
A volte le Derashot erano ordinate dagli inquisitori: rav Levi ben Shem Tov di Saragozza il 30 Aprile 1492, un giorno dopo la pubblicazione del decreto di espulsione a Saragozza, si era dovuto presentare di fronte agli investigatori e aveva detto che, dietro ordine dell’inquisitore, aveva chiesto ai membri della comunità, sotto minaccia di herem, di riportare di fronte all’inquisizione tutto quello che sapevano sui conversos che osservavano i precetti ebraici. [60]
La nuova vita in Portogallo
Nel 1492 in Portogallo, rivale nel Nord Atlantico politicamente ed economicamente della Spagna, il Re Giovanni II accolse con favore gli ebrei, anche se chiese somme di denaro notevoli per la loro entrata nel Paese. Lo stato di rifugiati rimase stabile, anche durante il Regno di Manuele I, il cugino di Giovanni II. Gli ebrei erano considerati i vassalli della Corona e dipendevano dalla protezione del Re.
Nel 1495 Manuel decise di sposare l’infanta Isabella di Aragona, presunta erede del trono spagnolo: i Re cattolici volevano, tramite questa unione, consentire il ritorno degli ebrei esiliati, invalidando così l’editto di espulsione. Come precondizione al matrimonio fu domandato a Manuel aiuto per consentire agli ebrei di ritornare in Spagna, bandendoli dal territorio portoghese. Come già era avvenuto in Spagna, la maggior parte della popolazione ebraica decise però di partire, sperando di andare nel Nord Africa. Manuel, vedendo gli eventi, temette di perdere i guadagni che provenivano dai sudditi ebrei, e dette l’ordine di chiudere il porto di Lisbona, catturare gli ebrei e convertirli con la forza al cattolicesimo.
La conversione degli ebrei che vivevano nel Portogallo, avvenuta nel 1497, fu un evento più significante dell’espulsione dalla Spagna nel 1492, in particolare per coloro che ne furono toccati. Il decreto spagnolo del 1492 preservava nonostante tutto l’autonomia degli ebrei, e la possibilità che, se qualcosa fosse cambiato in Spagna, gli ebrei avrebbero potuto tornare alle loro case, in un prossimo futuro. La decisione del Re Manuel cancellava invece anche questa speranza.
Per quanto riguarda le conversioni avvenute in questo periodo la realtà fu diversa rispetto a quelle del secolo XIV: le conversioni del 1391 furono accompagnate da un senso di trionfalismo religioso da parte cattolica della Spagna, che cominciò a mitigarsi verso la metà del XVI secolo quando i risultati della competizione dei nuovi cristiani, divennero evidenti; nel Portogallo, dove la Chiesa e il potere laico ebbero poco peso nella decisione presa dal Re, l’avversione popolare per i convertiti fu immediata. I frati domenicani che nei tempi precedenti, erano stati in prima linea nella missione di convertire gli ebrei, adesso prendevano l’iniziativa di attaccare i convertiti di recente come eretici.
La società portoghese identificò presto le vittime dell’abuso del Re come agenti dell’oppressione della Corona. Nel 1506, a Lisbona fu devastata da un’esplosione di violenza e ci furono violenze contro i conversos come segno di rivolta contro l’autorità del Re. La Corona stessa preferiva non indagare sulle credenze dei nuovi cristiani, per convincerli a rimanere, e finì per bloccare la loro uscita dal Portogallo. Ai conversos fu ufficialmente proibito di lasciare il Portogallo nel 1499 e l’ordine durò fino al Marzo 1507.
La seconda generazione degli ebrei provenienti dalla Spagna fu poi impegnata a combattere l’inquisizione che era stata creata in Portogallo. Alcuni rimasero e sopravvissero alla tempesta dell’inquisizione, ma molti di questa generazione scelse di fuggire dal Regno, seguendo le strade del commercio spagnolo in espansione nel Mediterraneo, Nord Europa e nelle colonie. A questo proposito osserva il Ray :
It was this latter group that was responsible for laying the foundation of a new Diaspora network of conversos and former conversos that overlapped with, but never fully conformed to, that of the other Sephardim.[61]
L’emigrazione dal Portogallo durò per molti anni, parte degli ebrei lasciò il Portogallo prima del 1497, mentre altri tentarono di fuggire come conversos, immediatamente dopo. Coloro che furono capaci di lasciare il Portogallo andarono nelle città musulmane del Nord Africa, dove godettero di libertà religiosa. Gli ostacoli per viaggiare erano comunque considerevoli, per cui molti restarono nel Paese; un esempio è dato dalla storia del rabbino e cronista Yehuda ibn Hayyat, [62] che faceva parte di un gruppo di ebrei che lasciò il Portogallo nel 1492 ma non poté trovare nessuno per portarli fuori.[63] Alla fine lui e gli altri furono catturati sul mare dagli spagnoli e portati a Malaga, dove rimasero a bordo della nave nel porto. Dei sacerdoti cattolici andavano ogni giorno per convertirli, qualche volta accompagnati da leader cristiani. Il vescovo del luogo aveva ordinato che i rifugiati fossero lasciati a digiuno per forzarli ad accettare il battesimo. Una minoranza non indifferente di ebrei acconsentì, ma la maggior parte oppose resistenza. Dopo cinque giorni, il vescovo diminuì la pressione e permise agli ebrei rimasti di mangiare, ma li tenne prigionieri nel porto di Malaga per altri due mesi prima di dar loro il permesso di andare in Marocco. Andarono a Fez, ma date le difficili condizioni decisero di partire di nuovo. Ibn Hayyat partì per Napoli che lasciò per andare a Venezia. Alla fine si stabilì a Mantova, dove si dedicò all’insegnamento.[64]
Gli ebrei nella società cristiana.
Gli ebrei rimanevano un gruppo distinto in ogni città iberica e tensioni sociali e religiose spesso erano sfociate in violenti attacchi da parte cristiana. Essi creavano associazioni di affari con i loro vicini cristiani, facevano affari con loro, socializzavano. Legislazioni antiebraiche differivano secondo il Regno, spesso la città , ed erano fatte con differenti gradi di entusiasmo.
Durante il medioevo le autorità ebraiche avevano sviluppato modi per collaborare con quelle cristiane e questo aveva aiutato integrare gli ebrei nella confusione amministrativa dei vari Regni. [65] Due fattori erano stati importanti per questa integrazione: la dichiarazione del Re di sovranità su tutti gli ebrei in un determinato Regno, e la consapevolezza del Re che gli ebrei fossero utili alla Corona nell’apparato fiscale e amministrativo. Gli ebrei iberici avevano ampi diritti, ma il loro status era generalmente delimitato dai grandi bisogni della Corona in determinati momenti e nei tempi in cui la costante precarietà della loro situazione diveniva drammaticamente manifesta. [66]
Il sentimento antiebraico era diffuso nella Spagna medievale, e poteva avere effetti veramente devastanti; gli ebrei capivano che il loro destino nella penisola era legato a quello delle altre comunità e con grande consapevolezza nei decenni precedenti al 1492 avevano cercato di tessere stretti legami con i Signori che detenevano il potere ma erano consapevoli del fatto che le relazioni non fossero certo non perfette. Gli ebrei dipendevano dalla Corona per la giustizia e il supporto come afferma lo storico Yosef Hayim Yerushalm, grande conoscitore di queste dinamiche sociali:
Dall’inizio alla fine, nell’Europa medievale l’”alleanza regia” fu basata sul presupposto che gli ebrei appartenessero al Re… in un responsum del grande rabbi Shelomoh Ibn Adret di Barcellona (sec. XIII) troviamo una delle definizioni più limpide della relazione tra legge ebraica e legge regia e per estensione, tra gli ebrei e l’autorità regia.[67]
Shelomoh ben Abraham Adret aveva affermato che gli ebrei nei confronti dei governanti gentili sotto cui vivevano dovevano osservare il dinà de-malkhutà dinà di Mar Shmuel: «la legge del regno (o piuttosto del re) è legge». I Re gentili acquisirono il potere sui loro ebrei attraverso una conquista della terra (al contrario di quanto avveniva per i Re ebrei che non possedevano la Terra di Israele, eredità comune di tutto il popolo ebraico) e gli ebrei possono viverci, sottomessi alla loro volontà e devono ubbidire ai decreti, a meno che i Re non violino i diritti degli ebrei, stabiliti già con il tempo.
In realtà nei regni spagnoli non operava solo la legge del Re ma esistevano molte leggi e privilegi diverse di nobili, municipalità e regioni. Gli ebrei avevano dunque interesse a obbedire alle leggi del Re e contrastare quelle degli altri poteri. Diceva infatti ben Adret dinà de-malkhutà dinà “la legge della nazione [cioè non la legge del re] non è legge per noi”. E questa espressione definisce molto bene la percezione degli ebrei dell”alleanza regia”. La realtà era comunque complicata, ribadisce Yerushalmi:
Nei regni spagnoli, gli ebrei, con tutti i loro redditi , venivano talvolta passati dal Re ai grandi ordini militari o a nobili con cui si era indebitato o di cui necessitava il sostegno.[68]
In nessun altro luogo dell’Europa medievale comunque l’alleanza degli ebrei con la corona fu più reciproca, più duratura e operante su più livelli, quanto in Spagna. In nessun altro luogo le condizioni favorirono la crescita di una classe così vasta e potente di ebrei di corte, servitori del Re e capi di comunità . Yerushalmi afferma che l’”alleanza regia” di cui parla Shelomoh ibn Verga nello Shevet Yehudah, si verificò come in nessun altro luogo in Spagna durante il medioevo. Ibn Verga dice che i Re e in genere i funzionari regi erano appassionati protettori degli ebrei contro gli attacchi della plebaglia. Quando gli ebrei non erano salvati non era per la mancanza di volontà del Re ma per l’ostinazione e il potere della plebe. Yerushalmi critica però certi esempi che secondo lui sono inventati o rielaborati:
alcuni fra li esempi citati potrebbero essere dimostrati, ma altre volte Ibn Verga inventa di sana pianta o rielabora i fatti per convalidare la sua opinione.[69]
Alcuni Re agirono però, al contrario di quanto afferma ibn Verga, di propria iniziativa e non furono certo rare le eccezioni. Riguardo l’espulsione del 1492, Ibn verga la imputa a un mutamento originato dalla crescita del fanatismo religioso e dell’ostilità popolare, che non potevano più essere contrastati. Yerushalmi sull’argomento afferma che:
proprio l’alleanza regia” era entrata in un vicolo cieco che ora, per varie ragioni, la corona spagnola non sentiva più di aver bisogno degli ebrei e avrebbe tratto vantaggio dalla loro espulsione. [70]
Dobbiamo osservare che probabilmente gli ebrei non lessero gli eventi precedenti il 1492 come fuori dalla “normalità” dal momento che la violenza contro di loro, latente o manifesta era parte endemica della vita medievale e lo sforzo per assicurarsi la protezione di Re o degli ecclesiastici era sempre costante.
Dopo il 1391 i conversos non avevano cambiato lavoro, ricoprivano dunque i ruoli che tradizionalmente svolgevano gli ebrei, la cui utilità smetteva quindi di esistere ma gli ebrei al contrario vennero marginalizzati, come nel resto dell’Europa; oramai alla fine del secolo XIV la diversità economica e la mobilità sociale che aveva caratterizzato gli ebrei in Spagna nei secoli precedenti era vanificata ed erano relegati nei ruoli di piccoli prestatori di denaro. Nel secolo XV sono i conversos che si innalzano nella società, la partecipazione ebraica nel commercio e nell’amministrazione viene erosa. A questo punto diviene un grande pericolo, per la società cattolica, il contatto fra conversos ed ebrei, temuti per la concorrenza economica e professionale, sospettati di voler convincerli a ritornare verso l’osservanza ebraica. Nel secolo XV le Corone di Castiglia e Aragona tentarono energicamente ma senza successo di separare le due entità ebraiche, cosa che non era loro riuscita nei due secoli precedenti. La ragione dell’insuccesso consistette nel fatto che una separazione netta fra ebrei e cristiani non esisteva, non era mai esistita, ebrei e cristiani interagivano e oltre le divisioni religiose, esistevano tra di due gruppi accordi commerciali e legami sociali [71]. Ebrei e conversos, afferma il Ray, continuavano a essere legati da stretti legami familiari e sociali, ma, egli osserva che:
perhaps most importantly, Jews continued to interact with all Christians as they had always done: entering into business alliances, learning from one another, and forming strong and mutually beneficial social bonds across the religious divide. For all the opposition to these relationships and the increase tensions created by the existence of the conversos, many still desired to carry on as they always had.[72]
I “Nuovi cristiani” – conversos nei Paesi dell’Inquisizione: quadri di identità difficili
In una lettera di raccomandazione scritta da un ebreo viaggiatore (Igheret Orhit), Yom Tov ben Hanah, alla comunità ebraica di Montalbàn, in Aragona, in difesa di un insegnante di nome Hayim Caro, che dopo gli eventi del 1391 voleva ritornare a vivere nella sua casa e famiglia in un’altra comunità, troviamo delle informazioni molto interessanti[73] . È un periodo di identità difficili e di false testimonianze e in questa lettera di raccomandazione vediamo la distinzione fra due tipi di conversos .
Il bisogno di Igherot Orhiyot crebbe in Spagna proprio dopo gli eventi del 1391; un nuovo elemento fu introdotto nelle lettere, che indicava che gli ebrei che viaggiavano nella Penisola Iberica e altrove cercavano raccomandazioni che attestassero il fatto che erano rimasti fedeli alla legge e non erano parte dei “Nuovi Cristiani”. Per esempio, in una lettera scritta dalla comunità di Saragozza dopo il 1412, in favore del parente Di Hasdai Crescas, Meir bar Todros bar Hasdai, prima della sua partenza, si inserisce la frase: «Nel caso in cui sia sospettato di essere uno dei sopravvissuti dei decreti, sulle cui teste è stata lanciata l’acqua [è stato battezzato] mentre avevano paura, fuggivano, erano disperati e tremavano», e «lui piange e afferma la sua fedeltà [kashrutò]». In un’altra lettera, del 1406, scritta da David bar Shmuel ha-Levi di Epila, che desiderava visitare le comunità ebraiche in Spagna per raccogliere del denaro per la dote di sua figlia, si mette in rilievo il fatto che lui è un ebreo Il cui gusto si è conservato e il cui odore non è cambiato [74] e che avrebbe detto tutto quello che gli è accaduto.
Una successiva lettera riguardante la dote, del 1403, scritta a nome di Yosef bar Yitshaq Shuqran, afferma che il richiedente ha pianto e implorato i rappresentanti della comunità di Saragozza di attestare che lui è ebreo.
Un anonimo ebreo aragonese che cercava di emigrare nella Terra di Israele dopo le sommosse e le conversioni di massa è descritto in una lettera da uno scriba della comunità di Saragozza, Shlomo da Piera, come una persona che aveva chiesto loro con insistenza, di parlare della sua onestà del suo cuore, e della purezza delle sue mani. Da Piera dice: «quindi […] noi veramente siamo testimoni della sua costanze nelle avversità e della sua condotta, e della sua reputazione come un ebreo fedele, e che non si è mescolato con coloro che sono cambiati e sono andati con i figli degli stranieri». Nella stessa lettera, Da Piera scrive anche:
I sopravvissuti della spada del terrore, [che sono] scappati agli eventi e avvenimenti, così che loro errano loro e vanno dovunque possono andare attraverso il Paese, con comunità, congregazione e nel consiglio del giusto, non sono stati creduti quando hanno detto che sono scappati dalla trappola del cacciatore e dalle difficoltà, se non dalle bocche degli scribi, dalle bocche dei libri [lettere], che attestano e parlano della loro dirittura, con le firme di uomini noti, famosi nei cancelli[75]
Da Piera descrive qui un nuovo fenomeno, dove le comunità ebraiche non credevano più ai viaggiatori di garantire per loro stessi che avevano provato a scappare dalle sommosse senza convertirsi. Le comunità adesso domandavano che i viaggiatori presentassero una lettera allo scriba della comunità, firmata da persone rispettate, che attestassero il fatto che essi non si erano convertiti al Cristianesimo.
Vediamo quindi che la presentazione delle credenziali ebraiche era un sine qua non per la raccolta della carità e il ricevere assistenza e ospitalità dalle varie comunità.
Al contrario comunque di ciò che si faceva prima, le comunità spesso erano soddisfatte dall’impressione generale di un richiedente, ed alcune ritenevano necessario un testimone. La comunità ad esempio di Saragozza iniziò ad impiegare un metodo di investigazione per autentificare le richieste dei richiedenti, per essere certi che dicessero la verità e non erano convertiti, come mostra una lettera del 1401 che riguarda la dote: «e dopo che le sue parole sono state esaminate e si è accertato che sono vere, decidiamo di soddisfare la sua volontà e di accettare la sua richiesta». [76]
Molte lettere di raccomandazione redatte dopo le sommosse del 1391, quando le comunità ebraiche ancora non avevano deciso come relazionarsi ai conversos, il cui comportamento era ancora da determinare, rivelano forti diversità di opinione nei loro riguardi.
In una lettera di Hasdai Crescas in favore di Moshe Sarqosniel si parla di una persona disperata, in pena per le sue due figlie alle quali vorrebbe trovare uno sposo. Si richiede alla comunità una dote per loro. Scritta probabilmente nel 1391, la lettera fa capire che il latore è un converso:
Colui che andò per i campi per cogliere delle erbe [77], come di fronte alla spada [78] della sfortuna, è un figlio degli ebrei, in passato conosciuto in Israele come Moshe Sarqosniel dalla sua adolescenza e giovinezza, è scosso via come la locusta [79], è strappato dalla tenda della fede, ha abbandonato la sua casa, ha lasciato la sua eredità, e è andato a pascolare in un altra terra [80] .
La lettera cita gli eventi del 1391 e la partenza del richiedente dalla comunità. Ma si parla anche di lui come “figlio degli ebrei” e di lui che “precedentemente conosciuto in Israele” come Moshe Sarqosniel, nome ebraico, sebbene ne abbia adesso uno cristiano. Apparentemente in questo tempo I conversos che avevano nome cristiani, erano chiamati “figli degli ebrei”.
Lo storico Ram ben-Shalom sostiene la tesi di Yitzhak Baer, secondo il quale il divario religioso e le tensioni sociali fra ebrei spagnoli e un grande numero di conversos estranei all’ebraismo crebbero dopo le sommosse del 1391, già nel mese di novembre. Persone come Moshe Sarqosniel erano legate spiritualmente agli ebrei, egli era “innocente”, ma molti non lo saranno.
All’inizio molti capi della comunità ebraica cercheranno di distinguere fra I vari tipi di conversos, ai quali riserveranno vari tipi di trattamento.
L’Igherot orhiyot relative a Moshe Sarqosniel ed altri offrono esempi delle vie che Hasdai Crescas come scribi della comunità, cercarono di collegare il divario fra la retorica delle lettere e le vere informazioni che riguardavano l’identità dei conversos itineranti, utilizzando sottili accenni e indizi, Hasdai Crescas rivela, con un accenno, che il latore della lettera è un converso, ma anche fa capire che , secondo lui, subito dopo gli eventi del 1391, niente era cambiato. Egli considera questo converso, parte del popolo ebraico, e quindi invita gli ebrei pii a dare un contributo per le doti delle sue figlie, nel rispetto dell’antico costume ebraico.
Il messianesimo fra i conversos di Valencia dopo il 1453
Il 21 giugno 1464 Juan Sabastian, il querelante inquisitoriale, e Bartolomeo Torro, la pubblica accusa episcopale, compaiono di fronte al Domenicano Juan Simo, il vice inquisitore papale, nel Regno di Valencia, e Guillem Ciscar, il funzionario episcopale, per incriminare i conversos Rodrigo Cifuents, un funzionario della corte civile di Valencia, sua moglie Elinor e le loro quattro figlie, Angelina, Aldonça, Costança e Sperança e due dei tre generi, entrambi orafi e argentieri, Juan Pardo, il marito di Angelina, e Gonzalo Alonso, il marito di Costança. Il crimine addotto era costituito dal loro tentativo di imbarcarsi per Costantinopoli a Valona [81] nel Regno ottomano, con lo scopo di ritornare all’ebraismo e aspettare l’arrivo del Messia. Poiché erano stati arrestati nel Porto di Valencia, per imbarcarsi su una nave diretta a Oriente, la difesa poteva difficilmente negare che erano diretti in qualche altro luogo.
Loro sostennero che semplicemente stavano emigrando a Venezia per raggiungere il marito di Aldonça e il fratello di Gonzalo, Pedro Alonso,che stava avendo là un grande successo nel commercio di gioielli.
Questo caso include solo parzialmente le accuse contro la difesa e la loro breve confutazione dell’avvocato difensore, e la testimonianza di 22 testimoni dell’accusa.
Sebbene le testimonianze possano essere anonime, possiamo dedurre da prove interne,che le testimonianze includevano, per esempio mercanti veneziani e conversos.
Gli uomini del processo del 1464 sembra che non siano appartenuti al genere di conversos ispirati dalla speranza del Messia. Rodrigo Cifuentes, il patriarca settantenne, era di origine Andalusa, nato ebreo, non conosceva i suoi genitori. Si era volontariamente convertito all’età di venticinque anni ed era andato a vivere a Valencia cinque anni dopo. Rodrigo aveva detto al notaio Antonio, quando questi aveva chiesto se erano veri i rumori sul suo imminente viaggio a Costantinopoli: «Ho vissuto fra di voi più di 40 anni e nella mia giovinezza non me ne sono mai andato. Adesso che sono vecchio, sto partendo per diventare ebreo?».
Quello che in realtà aveva motivato Rodrigo a fare il viaggio era stata l’esortazione di suo genero.
Una persona di questa famiglia, Juan Pardo, era nato ebreo, forse in Portogallo, si era anche convertito volontariamente all’età di 25 anni a Lisbona, patrocinato dal principe portoghese Pedro (Don Pedro, m. 1449, il reggente di Alfonso V).
Alfonso e suo fratello Gonzalo, erano figli di conversos di Cordoba. Tutti e tre erano motivati da un antico e profondo senso della penitenza; Rodrigo Cifuentes e Juan Parso si pentivano del loro battesimo ed erano ritornati a rispettare qualche forma di vita ebraica qualche anno prima.
La moglie sessantenne di Rodrigo, Elionor, era una conversa, di origine valenziana, i cui genitori erano stati battezzati nel 1391. La donna confidò a un testimone che da quando si era sposata con Rodrigo, non aveva acceso un fuoco nella loro casa di Sabato. La figlia non sposata di Rodrigo, Sperança, era orgogliosa dell’osservanza del Sabato dei propri genitori, e non temeva di dire a uno dei testimoni di come suo padre avesse fatto Le Matsot, ch a volte sfortunatamente la rendevano malata.
Le prove del caso suggeriscono che la vita ebraica di Rodrigo Cifuentes ed Elionor, era stata arricchita dai matrimoni delle loro figlie ai giudaizzanti fratelli Alfonso e con Juan Pardo. I matrimoni erano stati frutto di una deliberata decisione di Rodrigo ed Elionor per mantenere la propria famiglia nel corso di una particolare religione.
L’ambiente professionale nel quale i loro generi si muovevano poteva aver dato rilievo ai loro profili di capofamiglia, impegnati con l’ebraismo. Il lavoro di Rodrigo per la corte civile della città non facilitava i contatti con il mondo ebraico con il qualche suo genere aveva accesso, e l’osservanza sua e di Elionor, sembra essere stata meno decisa di quella dei suoi generi e figlie. Nel caso, era Angelica, Juan Pardo, Costança e Gonzalo Alfonso che il funzionario episcopale penalizzava per “giudaizzare” nel 1460, noni loro genitori.
Come penitenza i quattro dovevano comprare una grande candela bianca ed accenderla durante la messa nella Chiesa parrocchiale di Santa Catherina, e durante la quaresima dovevano andare a Messa ogni mattina.
Dal punto di vista dei testimoni,le pratiche ebraiche di Juan Pardo e Angelina erano le più evidenti. Aldonça generalmente si univa alle pratiche di sua sorella e cognato, apparentemente risiedendo nella loro casa,in assenza si suo marito, Pedro Alfonso.
Questo era un logico arrangiamento, poiché Juan e Pedro erano le guide spirituali della famiglia Cifuentes nel loro piano a lungo termine del ritornare all’ebraismo all’estero.
I testimoni esprimono giudizi sulla stretta osservanza del Sabato da parte della famiglia Pardo. Uno, per esempio, osserva che non li ha mai visti lavorare Il Sabato nei 20 anni da quando li conosce, sebbene le donne pretendano che non sia così. Ancora un altro testimone fa un racconto dettagliato delle benedizioni di Juan sul vino alla tavola del Sabato e sulle preghiere. Tenendo il suo ruolo di Capo, Juan prepara secondo la legge ebraica la carne per l’intera famiglia. Sinceramente s identifica con il popolo ebraico che, nella sua mente, include anche i conversos.
Per questo rifiuta il permesso di sotterrare il suo schiavo battezzato nel cimitero dei conversos, che lui considera come terreno “sacro”. Angelina condivide l’audacia di Juan e le sue convinzioni religiose. Quando il prete della parrocchia rimprovera Angelina per la “riverenza” che mostra verso un ebreo che è in visita nella sua casa, Angelina insulta il sacerdote.
Questo ebreo era solo uno dei molti con cui i convenuti erano in contatto, malgrado il fatto che la città di Valencia non avesse una comunità ebraica, dagli anni novanta del xiv secolo, i fratelli Alfonso e Juan Pardo facevano parte di una rete commerciale di conversos ed ebrei che si estendeva dal Portogallo attraverso la Castiglia fino a Valencia, e da lì agli avamposti di Veneziani e ottomani e i porti nel Levante quando furono interrogati Pardo e Gonzalo Alfonso ammisero che avevano una clientela multiforme, che includeva anche gli ebrei; Pardo confessò la sua amicizia con un ebreo casigliano che aveva conosciuto durante i suoi molteplici viaggi per andare alla fiera di Medina del campo. I testimoni andavano oltre, asserendo che gli ebrei castigliani e portoghesi erano in visita frequentemente e alloggiavano nelle loro case. Uno dei vicini di Pardo osservò che «non importa da quale parte del mondo un ebreo venga, subito si trova in casa del detto Juan Pardo» e «Gli ebrei entrano nella case dei convenuti come se fossero i loro fratelli», notava un altro testimone.
Se non fratelli, alcuni ebrei erano parenti. Il fatto che gli adulti conversos Rodrigo Cifuentes e Juan Pardo avessero familiari ebrei non era una sorpresa, la loro persistente associazione con loro, comunque, era da rimarcare. Così tardi come nel 1463 Rodrigo stava svolgendo il ruolo di ospite.
Due altri ebrei accompagnarono questo medico alla casa di Rodrigo, come fece Pardo, che sembra essere stata la figura chiave nell’organizzare il rientro nel mondo ebraico della famiglia Cifuentes. Solo pochi giorni prima la fallita imbarcazione, il settantenne parente ebreo Pardo venne a Valencia e nella casa di Rodrigo per leggere alle donne della famiglia e ad altre conversos. Anche il noto Converso Ponzalo Alfonso si è concentrato sul so linguaggio, coltivando le memorie dal suo nonno ebreo che, un testimone assicura, è emigrato in Siria, dove è morto come un ebreo. Non è chiaro se suo nonno sia mai stato battezzato, quello che riguarda Gonzalo è la sua identificazione con l’ebraismo.
Le origini dei convenuti e i loro contini contatti con gli ebrei, in particolare ebrei castigliani, sono i fattori da considerare quando si osserva la loro psicologia. IN contrasto con gli ebrei del Regno di Valencia, che la caduta di Costantinopoli non sembra aver colpito, probabilmente a causa delle loro relativamente ottimistiche circostanze economico –sociali, alcuni ebrei in Castiglia erano stati presi da un tale “escatologico entusiasmo”, da emigrare in Palestina. Non è dato sapere cosa i convocati abbiano sentito dal 1453 dai loro contatti commerciali ebraici , famiglie ospiti, o cosa i parenti di Pardo, e le donne conversas, giusto prima che le loro fuga fallisse. Importante più dell’idea messianica è forse il senso di frustrazione e inadeguatezza che avevano sperimentato come conseguenza dei loro legami con ebrei.
I convenuti non erano conversos isolati in un mondo cripto-ebraico dal quale non c’era uscita. Erano tutti consapevoli e inseriti nel più largo mondo ebraico. L’associazione con ebrei divenne una fonte di vergogna e rimprovero per loro; erano consapevoli che in paragone con gli ebrei che vivevano in quanto tali, la loro privata e parziale osservanza dell’ebraismo era deficiente e biasimevole.
I ricordi degli Alfonso del loro nonno, morto in Siria, può averli tormentati e indotti a chiedersi se potevano essere all’altezza della sua dedizione all’ebraismo.
La pratica necessaria del cattolicesimo della famiglia Cifuentes esacerbò il loro senso di essere intrappolati in una menzogna. L’avvocato della difesa si concentrò molto sulla loro osservanza della religione cattolica. Il resoconto della loro devozione cattolica, comunque, non era molto impressionante, a volte non era peggiore di quello di molti vecchi cristiani, ma non tale da definirli devoti. La loro conoscenza delle essenziali preghiere cattoliche non era certo grande. La più giovane delle figlie di Rodrigo, la diciottenne Sperança, conosceva scarsamente le preghiere, malgrado gli sforzi della madre e del fratello di insegnargliele. Costança poté dire agli inquisitori solo il Pater Noster e L’Ave Maria, sostenendo che aveva problemi di apprendimento, i suoi genitori non potevano fare di meglio; Rodrigo si scusava perché non si era esercitato nel Credo in deum. Costança disse che suo marito Gonzalo conosceva abbastanza le preghiere. Gli accusati andavano abbastanza regolarmente a messa nelle loro Chiese parrocchiali, Sant Andreu, nel caso di Rodrigo, Elionor e Sperança, Santa Casterina per le figlie sposate e i generi. Occasionalmente Elionor e le figlie andavano insieme al Santa Caterian. Tutti loro si confessavano e facevano la comunione con una certa frequenza.
Rodrigo aveva le prove a suo carico peggiori: ammise che negli ultimi 40 anni si era confessato solo 8-10 volte e che era da 3-4 anni che non lo aveva fatto. Tutti gli altri comunque si erano confessati e avevano fatto la comunione qualche volta negli ultimi due anni. Quasi a sorpresa Angelica e Juan Pardo fecero le dimostrazioni più convincenti di conoscenza e osservanza del cattolicesimo, quasi che ci fosse un’inversa relazione fra l’intensità di un impegno interiore all’ebraismo e l’esercizio speso in pubblico per mostrare la devozione cattolica.
Entrambi conoscevano più preghiere degli altri, con eccezione del Salve Regina; Angelica poteva anche scriverla.
Entrambi si erano recentemente confessati e presa la comunione Li aveva aiutati il fatto di vivere vicino al Santa Caterina. Come un buon padrone cattolico, Pardo aveva cercato di battezzare i suoi schiavi, senza successo però nel caso di una madre e figlia musulmane, ed aveva tenuto ad avere dei sacerdoti che dessero l’estrema unzione in caso di necessità.
Dipinti religiosi di Gesù, Maria e i Santi, descritti come luoghi di culto, erano in mostra nelle case dei Cifuentes; Alfonso e paro, gli accusati, avevano anche portato qualche dipinto con loro sulla nave.
Questa facciata di rito e iconografia cattolica può aver protetto gli accusati dall’autorità della Chiesa ecclesiastica o dall’ostracismo dei vecchi cristiani, ma può non aver evitato di considerare severamente se stessi per quanto riguardava l’adesione alle pratiche ebraiche. La conquista turca di Costantinopoli, e la loro apertura al commercio ebraico e all’immigrazione, crearono nuove opzioni per gli accusati e conversos, che detenevano le stesse idee e la reale possibilità di cessare di condurre una doppia vita.
Trovare un senso adesso al vivere come persone che nascondevano la propria identità ebraica era certo molto più difficile.
Gli accusati riconoscevano che avrebbero potuto scappare dalla schiavitù fra i cristiani e vivere senza ambiguità come ebrei.
La realizzazione del loro piano era iniziata comunque presso il gruppo familiare Cifuentes, molto rima del 1464. Il misterioso Pedro Alfonso, la figura chiave in questo caso, era andato a Venezia nel 1457 dove si era dedicato al commercio di pietre preziose e perle fra Venezia e i porti levantini, ponendo le basi per il trasferimento della sua famiglia nel Levante. Venezia in quel momento non permetteva l’instaurarsi di una comunità ebraica, ma una residenza temporanea di ebrei mercanti. C’erano comunità ebraiche e mercanti nei vari avamposti commerciali levantini e nelle colonie.
Lo status di Pedro, nuovo cristiano, potrebbe aver facilitato l’avvio del suo negozio a Venezia. Le sue inclinazioni ebraiche l’avrebbero aiutato a trattare con ebrei levantini e di altre origine. In ogni caso, Pedro presto acquisì una reputazione favorevole fra i mercanti veneziani, così che lo raccomandarono ai proprietari di navi locali che facevano viaggi nei porti levantini. Secondo l’avvocato della difesa della famiglia Cifuentes, Pedro divenne ricco a Venezia, accumulando beni che valevano 3,000 o 4,000 ducati. Juan Pardo anche lavorò per un periodo a Venezia, vendendo gioielli in piazza San Bartolomeo, ma, dopo aver rifiutato la richiesta di due mercanti di stabilirsi con la sua famiglia a Venezia, tornò a Valencia. Qualunque siano le date precise della permanenza di Pardo a Venezia, le fonti processuali non sono chiare su questo, sembra che una volta deciso di ritornare all’ebraismo all’estero, il capo famiglia del gruppo Cifuentes dicesse a Pedro Alfonso di fare i preparativi necessari.
Nel 1464 Pedro non era più a Venezia. Era ritornato all’ebraismo in qualche porto del Levante. C’erano stati abbastanza rumori su questo fra i conversos, a Valencia. La fonte dell’informazione erano i mercanti veneziani che regolarmente andavano a Valencia; alcuni di loro avevano testimoniato nella corte inquisitoriale . I resoconti erano inconsistenti su dove Pedro fosse tornato a osservare l’ebraismo. Un testimone menziona Damasco o Beirut come luoghi possibili. Altri parlano più vagamente di “porti del Turco”, o “porti del Levante”, perfino mentre danno il dettagli significante che Pedro, dopo esser tornato all’ebraismo, era stato visto camminare con un turbante giallo, come era costume degli ebrei nelle terre musulmane.
Resoconti più sicuri indicano comunque Beirut e Costantinopoli come luoghi della conversione di Pedro. Un testimone veneziano riferì agli inquisitori la stessa storia che precedentemente aveva raccontato a Juan Pardo, quando aveva voluto qualche informazione sui luoghi dove si trovava Pedro.
Nel 1459 il testimone che aveva viaggiato da Damasco a Beirut, aveva saputo che tre galere veneziane si stavano avvicinando al porto. Nel momento in cui le galere posero l’ancora, “un giovane uomo”, che corrisponde alla descrizione che un testimone dette di Pardo, “andò nel quartiere ebraico e là si vestì come un ebreo”. Il capitano della galera veneziana tentò senza successo di persuadere Pedro a tornare a bordo e riconciliarsi con la fede cattolica. Il testimone crede che Pedro non sia più tornato a Venezia. Un altro testimone, che ha apparentemente ascoltato la stessa storia, aggiunge che le autorità Mamluk avevano arrestato Pedro per essere passato dalla religione cristiana a quella ebraica, invece di convertirsi all’Islam.
Pedro evidentemente aveva tentato di scappare dall’imprigionamento o schiavitù nella mani dei Mamluk[82], forse perché non era un soggetto del Sultano e nonostante le testimonianze veneziane, era capace di ritornare a Venezia. I testimoni valenciani, che avevano discusso il caso ai primi di Giugno del 1464 con i due veneziani che stavano visitando Valencia, informarono gli inquisitorie su cosa Pedro aveva fatto dopo.
Una volta tornato a Venezia, Pedro usò i suoi contatti fra i mercanti locali, plausibilmente presso coloro che non sapevano della sua impresa a Beirut, per assicurarsi un passaggio per lui e il suo amico converso, sulla nave veneziana diretta a Costantinopoli. Quando i due sbarcarono nella città ottomana, immediatamente tornarono all’ebraismo, e si vestirono come gli ebrei. Le autorità ottomane dettero maggior prova del loro benvenuto a tali nuovi cristiani, convertiti all’ebraismo, rispetto a quanto avevano fatto i Mamluks a Beirut. Il dispiaciuto padrone della nave veneziana, che aveva concesso a Pedro un trattamento molto onorevole, disse ai suoi amici mercanti che non avrebbe mai concesso a Pedro e al suo amico castigliano di viaggiare sulla sua nave se avesse saputo che sarebbero “divenuti ebrei”. Una vera verifica del luogo e tempo del ritorno o ritorni di Pedro Alfonso all’ebraismo era impossibile.
Chiaramente le identità di Pedro cambiarono più volte, mentre andava avanti e indietro tra Venezia e i vari porti musulmani, e fra la cristianità e l’ebraismo, fino a che lasciò definitivamente Venezia e si stabilì come ebreo a Costantinopoli, o qualche altra città ottomana nella quale andò successivamente. Sembra strano che Pedro si sia convertito nella Mamluk Beirut prima di fare lo stesso nella città ottomana, in modo particolare alla luce del ruolo dei turchi nei sogni messianici dei conversos spagnoli e degli ebrei. Ancora il fatto che il nonno di Pedro abbia terminato la sua vita come ebreo nella Mamluk Siria, probabilmente fa di Beirut un luogo particolarmente attrattivo per il proprio ritorno all’ebraismo, anche se Pedro aveva pianificato alla fine di fare quel passo nei domini ottomani.
Infatti, secondo un altro testimone, il fratello di Pedro, Gonzalo, lo aspettava per seguire l’esempio del loro nonno in Siria.
Un altro testimone, che menziona il Cairo come uno delle molteplici destinazioni di Pedro, riferisce che Pedro si vestiva come un ebreo nelle terre Mamluk, così poteva viaggiare con più sicurezza con le sue mercanzie..
Se questa dichiarazione è accurata, questa strategia avrebbe aiutato Pedro a riunire la ricchezza di cui la sua famiglia avrebbe avuto bisogno per andare confortevole nel Levante.
Le difficoltà che Pedro ebbe a Beirut nel 1459 erano probabilmente inusuali.
Probabilmente Pedro aspettò la sua famiglia nei domini ottomani, anche se può aver fatto in modo di incontrarli a Damasco.
Pedro scambiò delle lettere con sua moglie Aldonça, e l’informò del suo ritorno all’ebraismo. La notizia l’aveva spaventata e scrisse a Pedro di ritornare a Valencia per riconciliarsi con la Chiesa. La risposa di Pedro era stata chiara, se lui fosse tornato a Valencia sarebbe stato bruciato dalle autorità, le strade verso l’Est erano libere e lui avrebbe spedito i soldi; se lei rifiutava di andare da lui avrebbe potuto almeno inviargli Jaune, loro figlio. Juan Pardo e i suoi genitori potevano aver rafforzato la decisione di Aldonça.
Uno degli argomenti che potevano aver usato per incoraggiare Aldonça, era il fatto che essi non sarebbero stati soli nella migrazione verso Est. Altri conversos avevano già fatto o stavano facendo la stessa cosa, e questo era abbastanza per permettere di parlare di un “movimento messianico. Per rafforzare la loro causa contro gli accusati, l’accusa rimarcava che già 70 nuclei famigliari erano andati nella città di Valona e là erano diventati ebrei. Notavano anche che c’erano molti ebrei che vivevano a Damasco, e fra loro molti neofiti erano ebrei. Un testimone asseriva che era di pubblica conoscenza che tutti i nuovi cristiani della città erano partiti per Costantinopoli, solo per essere ebrei.
Un altro testimone racconta di quanti uomini casualmente conversino nella corte del governatore, «alcuni conversos» dice «sono andati a Costantinopoli, loro credono, per diventare ebrei».
L’emigrazione dei conversos da Valencia verso Est era chiaramente avvertibile, e materia di pubblica discussione. Alcuni testimoni parlano di altri conversos emigrati, come Benet de Proxitee e Pedro da Toledo. Notano che due emigrate erano delle vedove vecchio cristiane di conversos. Tali dettagli senza dubbio suscitarono orrore nelle autorità ecclesiastiche.
Mentre la caduta di Costantinopoli eccitò e galvanizzò un buon numero di convesos di Valencia, non tutti i convesos parteciparono al loro entusiasmo. Fra i conversos di Valencia esistevano vari livelli di identificazione con il popolo ebraico. Conversos con differenti lealtà si trovavano occasionalmente in situazioni sociali non piacevoli.
Le tensioni sociali possono aver provocato l’allontanamento da Valencia dei convesos.
Juan Pardo e Alfonso, desiderosi di vivere nelle terre dove potevano vivere liberamente come ebrei, possono aver spinto altri conversos a vivere i valori sociali della società cattolica in maniera più profonda.
La casa di Rodrigo Cifuentes fu il luogo dove si creò un conflitto fra conversos con inclinazioni religiose diverse.
All’inizio del 1461 Rodrigo fece una festa per celebrare il matrimonio della cugina di sua moglie, una conversa, con il converso Anthonio Ferrada, il figlio di un trasportatore d’olio o mercante. La maggior parte dei partecipanti, se non tutti, erano dei conversos. Il padre della sposa, En Ferrada, ebbe cura di avere del vitello cucinato per la festa. Quando gli ospiti mangiarono il vitello, che non era stato ucciso da un ebreo in accordo alle norme ebraiche, Juan Pardo, Angelica e Aldonça, rifiutarono di farlo. Loro avevano invece del pollo ucciso secondo le regole ebraiche, probabilmente gli animali erano stati uccisi da Pardo, su questo i resoconti variano.
Una conversa ricorda che quando En Ferrada vide che Pardo, Angelina e Aldonça, stavano facendo, gridò che loro erano “grandi ebrei”, aggiungendo che «se non fosse stato per l’amore per suo figlio, li avrebbe denunciati alle autorità ecclesiastiche». En Ferrada stesso, che testimoniò, enfatizza l’indignazione degli altri ospiti. Lui si era lamentato e aveva inveito con grande ira e aveva detto, in particolar modo a Pardo, che se sua moglie sua cognata non potevano mangiare con loro, e addirittura mangiavano nascosti in una stanza, essi erano furiosi perché i giudaizzanti come loro si sentivano migliori e così devoti da non poter mangiare con gli altri. Non avevano, diceva, avuto neppure la cortesia di rispettare la fede cattolica. Continuando la sua testimonianza, En Ferrada dipingeva se stesso come una persona che era stata in grado di gestire una situazione imprevedibile in maniera piuttosto cortese. Riteneva di aver sostenuto che non importava se le persone erano degli ebrei o nuovi cristiani, importante era fare la cerimonia del matrimonio.
La quasi allegra, spensierata affermazione di Ferrada è indicativa.
Secondo lui c’erano due tipi di conversos: “ebrei” e “nuovi cristiani”, i primi erano coloro che giudaizzavano, coloro che dopo gli eventi del 1453, erano più inclini a identificare se stessi come ebrei senza scusarsi e quindi desideravano emigrare. Il secondo gruppo avrebbe invece incluso cattolici sinceri, persone che erano indecisi fra le due fedi, e perfino giudaizzanti circospetti che erano soddisfatti abbastanza da continuare a condurre una doppia vita, una strada che avrebbero seguito fino a che gli indulgenti inquisitori del Papa avrebbero permesso la loro osservanza a Valencia della fede cattolica. Simili “nuovi cristiani” non avevano fretta di lasciare Valencia.
E non lo era Jaime Rodriguez, il solo figlio di Rodrigo Cifuentes. Su questo è evidente che neppure nella famiglia Cifuentes c’era uniformità di vedute.
Jaime rifiutò chiaramente di raggiungere la famiglia nei suoi viaggi nel Levante e discusse molte volte con sua sorella Aldonça su questo. Una volta le aveva detto: «A causa vostra noi dobbiamo sopportare molte calamità, noi non staremo bene qui perché vuoi lasciare Valencia. Per colui che non serve Dio qui non lo serve dovunque vuoi andare». Jaime non approvò mai che Aldonça giudaizzasse e neppure i maggior cambiamenti che lei e suo marito Pedro avrebbero costretto la famiglia a fare.
Altri conversos all’esterno della famiglia risposero alle novità dei piani di viaggio con un misto di scetticismo e derisione. Una testimone conversa che frequentava la famiglia Pardo derise a voce alta Angelina e Aldonça quando cercarono di convincerla ad andare a est, tornare all’ebraismo e salvare la sua anima. La donna disse: «Dio mi conceda di morire in questa città di Valencia, e quando sarò morta le campane della Chiesa dove il mio corpo sarà sotterrato, suoneranno per me e morirò nella fede cattolica». Gli inquisitori possono essere stati impressionati da questa dichiarazione di fede della testimone ma Aldonça non lo fu. Dice a sua sorella: «Stai attenta a lei… è Trefana, immorale».
Alcuni conversos che volevano integrarsi e progredire nella società cattolica, guardavano al fenomeno dell’emigrazione dei conversos molto seriamente. Pensarono che la cosa fosse imbarazzante e spaventosa e avrebbe danneggiato la reputazione di tutti i conversos. Loro non volevano che i loro vicini “vecchio cristiani” li classificassero come conversos intenti ad abbandonare Valencia e la fede cattolica per l’ebraismo. Un testimone, che conosceva i fratelli Alfonso da molto tempo e pensava che fossero dei “buoni cristiani”, fu inorridito quando venne a saper che Pedro era tornato all’ebraismo nel Levante, e che i suoi familiari imprigionati intendevano seguire il suo cammino. La sua dichiarazione è piena di antipatia per gli accusati, e ansietà a causa del timore che tutti i conversos fossero considerati come loro: “Se questi prigionieri hanno l’intenzione di divenire ebrei, chi vorrebbe risparmiarli, dovrebbe avere la gola tagliata. Non dovrebbe esserci giustizia per gli accusati, poiché per coloro che facevano il male, gli altri conversos erano diffamati.
Non tutti i conversos emigrati, o aspiranti emigrati, erano necessariamente ispirati dalla speranza dell’avvento messianico ma una parte di loro vide nella caduta di Costantinopoli il necessario sovvertimento che precedeva la venuta del Messia.
Gli accusati erano sicuri che i cristiani avrebbero ricevuto la loro ricompensa dalle mani dell’anticristo turco.
Una testimone critica Sperança per l’audace e aperta osservanza del sabato della famiglia e le chiede: «non hai timore di Dio e del popolo? Sono sorpresa che nostro Signore non invii il fuoco sulle vostre case». Sperança a sua volta le risponde: «I gentili non ci vedono, poiché sono ciechi. Loro non sanno che il nostro Dio ci ha concesso per un certo tempo di essere loro soggetti ma adesso li domineremo poiché Dio ha promesso che poiché stiamo andando nel Levante, noi li supereremo. Non hai tu sentito che l’anticristo sta per arrivare? (specificando che il turco era l’anticristo). Egli distruggerà le chiese cattoliche e farà di esse delle stalle per animali, e farà molto anche agli altri ebrei e alle loro sinagoghe, e mostrerà riverenza a tutti coloro che andranno là nel Levante, e ritorneranno all’ebraismo, alla parte buona».
Sperança era l figlia più giovane, non era sposata. Fu lei che parlò con la maggior parte dei testimoni dell’età messianica. L’avvocato della difesa disse che era “folle” e “quasi demente”, ma era chiaro dalle azioni e parole dei suoi genitori, e cognati, che l’intera famiglia (con l’eccezione di Jaime Rodriguez) era guidata dal desiderio del Messia, e che Sperança ripeteva gli insegnamenti ricevuti dai parenti più più anziani. Un altro testimone venne a sapere dei sogni messianici della famiglia da Juan Pardo e dai suoi parenti acquisiti Rodrigo e Elionor, un altro da Angelina a Andonça e ancora da Elionor e le quattro figlie.
La fonte della verità che il Messia era nato, era costituita dalle lettere da Costantinopoli e il loro autore era probabilmente Pedro Alfonso, sebbene probabilmente altri conversos o ebrei avessero scritto e inviato loro lettera a Valencia. Il Messia, Sperança informò un testimone, era un giovane che viveva su una montagna vicino Costantinopoli, «una montagna simile a quella sulla quale nostro Dio, ha dato la legge a Mosé». Avrebbe rivelato se stesso solo a ebrei circoncisi e giusti, alcuna altra persona l’avrebbe potuto vedere.
Perciò era cruciale per i conversos andare nelle terre ottomane, o anche Mamluk e ritornare all’ebraismo. Gli accusati prevedevano una conversione formale e Elionor e le sue figlie descrivevano le cerimonie.
Per gli uomini la circoncisione era evidentemente obbligatoria. Le donne avrebbero fatto il bagno rituale, e avrebbero detto la preghiere, allora i capelli sarebbero stati tagliati, come le unghie delle mani e dei piedi. Alla fine, il Rabbino avrebbe dato la benedizione a donne e uomini, come fa il sacerdote quanto battezzano ci cristiani. Le coppie di conversos inoltre si sarebbero risposate secondo il rito ebraico e alle conversas non sposate, diceva Sperança commossa, sarebbe stato dato un marito ebreo. Anche uomini vecchio cristiani, assicurò Elionor a un testimone avrebbero potuto andare nel Levante e convertirsi all’ebraismo, mettersi dalla parte giusta e salvare le loro anime. Gli accusati non avevano approfondito che cosa il Messia avrebbe fatto, ma era chiaro che credevano che l’età messianica e il tempo tumultuoso che la precedeva avrebbe implicato ricchezza e magnificenza. Nelle case degli ebrei e conversos che erano tornati all’ebraismo nel Levante.
I sogni degli accusati su un paradiso ottomano, come descritto dai testimoni, erano specifici di un genere specifico, soprattutto perché la maggior parte dei testimoni che erano stati rimproverati a causa loro, erano donne vecchio o nuovo cristiane in contatto con la famiglia Cifuentes. Queste immaginavano che dopo l’emigrazione e conversione sarebbero state onorate dai turchi, avrebbero indossato vestiti di seta e oro, dormito in letti confortevoli con lenzuola di seta mentre i loro mariti le servivano.
In questo mondo ideale, gli ordini sociali, religiosi e di sesso sarebbero stati invertitigli. Probabilmente gli uomini conversos non nutrivano precisamente le stesse speranze sul nuovo tempo. In ogni caso, donne e uomini erano sicuri che il ritorno all’ebraismo nelle terre ottomane avrebbe garantito la salvezza delle loro anime.
Aldonça e Angelica spiegarono d un testimone che una volta che i conversos avrebbero vissuto nell’Est come ebrei, gli uomini avrebbero indossato dei vestiti neri, come simboli di lutto per tutti quei conversos che ancora non erano emigrati per scappare dall’impurità cristiana e salvare le loro anime.
Il ritorno dei conversos all’ebraismo nel levante era parte del ritorno degli ebrei esiliati che sarebbe avvenuto nell’età messianica. Gli accusati quindi consideravano il loro viaggio nelle terre ottomane con un senso di urgenza, e provavano a convincere i conversos a unirsi a loro.
I conversos come gli accusati avevano la convinzione di assicurare a se stessi la salvezza personale e anche di andare verso la redenzione dell’intero popolo ebraico che non sarebbe avvenuta fino a che tutti gli esiliati non fossero ritornati dalla schiavitù nella cristiani.
Una piccola documentazione di un caso avvenuto giusto qualche anno dopo la famiglia Cifuentes, dà una solida testimonianza di quali fossero le credenze e i comportamenti dei conversos a Valencia dopo il 1453.
Gli accusati, il commerciante Jaume Tori e sua moglie Tolosana, erano dei giudaizzanti che conoscevano e osservavano le preghiere e i riti cattolici. Secondo la loro precedente e forse conversa domestica Johana, la coppia provò, nell’estate del 1465, a persuaderla «ad andare con loro in quella terra dove gli altri erano diventati ebrei», essa sarebbe stata bene là, e loro le avrebbero fatto dei vestiti di seta per lei. Gli inquisitori ritennero che “la terra” in questione fosse la Turchia. Come i membri della famiglia Cifuentes, Tori aveva almeno un contatto ebreo, un ebreo chiamato “Catalan”, che cuciva calze per lui, e conosceva e poteva nominare altri conversos che erano emigrati e tornati all’ebraismo. Tori diceva che aveva dato lavoro all’ebreo su richiesta del converso Manuel Bau, ma che l’ebreo non aveva mai mangiato né dormito nella sua casa. Tori sembra non aver fatto molto più che riflettere sul ritorno all’ebraismo all’estero, e apparentemente non era stato colpito dall’entusiasmo messianico che aveva colpito persone come Pedro Alfondo e Juan Pardo. L’investigazione inquisitoriale in aumento può aver smorzato il suio entusiasmo, così che nel 1469 poteva esprimere l’opinione condivisa da altri conversos che dovevano vivere e sopravvivere a Valencia. La fuga di alcuni conversos per divenire ebrei nell’est, a Valencia ebbe come risultato, secondo lui, “molta denigrazione alla reputazione dei conversos”. Jaume e Tolosana si pentirono dei loro errori ed ebbero a scontare solo una piccola penitenza . Un tipo di inquisizione più dura nella città scoprì però nel 1482 che erano tornati a osservare l’ebraismo.
L’investigazione dell’inquisizione spagnola rivelano anche che una tendenza al messianesimo ed un concomitante desiderio di emigrare persisteva fra i conversos di Valencia durante gli anni che precedettero la creazione dell’Inquisizione. Ancora alla luce delle mote prove che gli inquisitori avevano riunito sulle credenze e pratiche dei conversos, il messianesimo motivava solo una minoranza di giudaizzanti. Un simile converso era Alfonso, il fratello di Angelina, la moglie di Berthomeu de Leo. All’età di 17 anni era andato nel Levante ed era tornato all’ebraismo a Gerusalemme nel 1472. Dopo, vestito come un ebreo visitò sua sorella a Valencia e le dette una pietranera proveniente dal Tempio di Gerusalemme.
Un’altra persona che apparentemente era converso messianico era il mercante di lino Jaume Ferrer. Desiderando fare penitenza presumibilmente disse molte che i conversos erano in schiavitù a causa dei loro peccati, erano in schiavitù come gli ebrei. Nonostante lui avesse gli Tzizit, studiasse la Torah con un ebreo, e avesse circonciso suo figlio, non era ebreo e questo secondo lui, era irredimibile.
La sua soluzione allora era andare a Costantinopoli per diventare ebreo. Lui aveva un cugino paterno a Costantinopoli, un ebreo ricco, che gli aveva scritto che avrebbe dovuto andare là.
Se la conquista ottomana di Costantinopoli aveva suscitato fra i conversos valenziani la speranza che l’era messianica fosse vicina, questa diminuì gradualmente con il passare degli anni, per essere ravvivata certamente dall’estensivo procedimento dell’inquisizione spagnola, la punizione dei giudaizzanti e l’espulsione degli ebrei nel 1492.
Speranze serie comunque per la venuta del Messia non erano nutrite dalla maggior parte dei conversos valenziani. Il resoconto del processo avvenuto nel 1500 di Joan Liminyana, un farmacista di Oriola, che si era trasferito a Valencia nel 1498, poco dopo aver abiurato alle sue credenze ebraiche di fronte al tribunale dell’inquisizione di Murcia, mostra che una considerevole minoranza di giudaizzanti a Valencia e Oriola, parlava con entusiasmo delle “profezie” che riguardavano la venuta la venuta del Messia, e anche dell’emigrazione a Napoli, per praticare l’ebraismo completamente,. Liminyana stesso, dopo il suo arrivo a Valencia, divnne presto un associato di un circolo di giudaizzanti capeggiati da Miguel Vives e da sua madre Castellana. Questa descrive suo figlio Miguel come un secondo Abraham “per conoscere così tanto la “legge di Mosé” senza aver ricevuto un’istruzione formale, e se stessa come la Divina Esther, per la sua capacità di comando”.
Miguel usava il libro dei salmi per dimostrare a Liminyana che il Messia non era ancora venuto, e che Dio stava per “redimere il popolo di Israele”. Chiaramente Liminyana e Vives, come molti degli altri conversos con sui Limiyana rifletteva sulle “profezie messianiche”, guardava a se stesso come una pare di questo “popolo”.
Liminyana ammonisce le figlie del converso Gabriel Vives, di non rimanere romanticamente coinvolte o sposarsi con corteggiatori vecchio-cristiani, poiché se si sposassero con vecchio cristiani, mescolerebbero il loro sangue con quello di coloro che erano contrari alla legge di Mosé, e questo sarebbe molto spiaciuto al nostro Signore Dio”.
Come la famiglia Cifuentes, Liminyana e i suoi seguaci percepivano coloro che non avevano sangue ebraico e probabilmente quei conversos che non condividevano le loro credenze ebraiche come impuri e nemici di Dio.
Ebrei e conversos avevano quindi interpretato la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi come parte dello sconvolgimento che avrebbe preceduto il Messia.Con la creazione dell’inquisizione e l’espulsione del 1492 comunque i conversos e gli ebrei videro se stessi come i principali sofferenti, parte di quelle tribolazioni che avrebbero accompagnato l’era messianica. I conversos valenziani poi si rallegrarono nel vedere confermate le proprie supposizioni.
Il Salmo 44 con la sua descrizione delle sofferenze degli ebrei e speranze della redenzione divina, era importantissimo per comprendere le afflizioni del popolo ebraico. Quando leggeva qualche salmo ai conversos Liminyana mostrava loro che il Salmo 44 permetteva a quelle donne di capire che lì vi erano contenute tutte le tribolazioni dei conversos. Egli lo cita anche quando spiega a due conversas perché dovevano emigrare a Napoli: «Là … loro avrebbero potuto fare riposare le loro teste, lontano dal pericolo dell’inquisizione ed non essere come pecore per il massacratore, proprio come dice il Salmo 44».
Se la persecuzione dell’inquisizione non era abbastanza, l’espulsione degli ebrei convinse i conversos che il tempo che Dio aveva loro promesso, si stava avvicinando. Il tintore converso Rafael Simò, grande biblista, secondo Liminyana, pensava che «consideriamo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e con quanta lealtà e sicurezza hanno desiderato morire nel mare per servire Dio.. e non vediamo la strada che loro prendono per la nostra salvezza».
Coloro che erano rimasti a Valencia, diceva Liminyana, erano stati battezzati. Molti conversos erano convinti anche che i recenti avvenimenti in Spagna, la guerra con la Francia e la ribellione dei mussulmani preannunciavano l’avvento del Messia.[83] Il Re Ferdinando poi sarebbe stato punito per la conversione di Liminyana ed altri conversos e per aver perseguitato gli Ebrei.
Come la famiglia dei Cifuentes, anche Liminyana e molti altri vedevano nelle vittorie degli ottomani sulla cristianità parte del piano divino per la redenzione del popolo ebraico. Liminyana riporta come tre conversos andarono a Valencia per degli scambi commerciali, cercando notizie relative ai turchi. Questi dissero che Venezia e Roma erano state distrutte dai turchi e che la salvezza stava per arrivare per ebrei e giudaizzanti.
Anche sei i Turchi non erano riusciti a distruggere le capitali europee della cristianità e preparare quindi il periodo in cui sarebbe venuto il Messia, i conversos erano sicuri che avrebbero dato il benvenuto a ebrei e conversos.
Liminyana diceva che dovevano emigrare per praticare l’ebraismo e servire bene Dio. Quando Francesco Cascalla e sua moglie gli dissero che “non erano obbligati a lasciare la Spagna, perché Dio, avendo posto gli ebrei in schiavitù, aveva promesso di riunirli dalle quattro parte del mondo e dare loro una grande felicità-.
Liminyana rispose che i loro antenati vivevano in Spagna come ebrei, non come cristiani ed loro erano stati costretti a essere cristiani contro la loro volontà e quindi erano obbligati ad andarsene con ogni mezzo possibile, per cercare un luogo dove poter servire Dio, osservare il Sabato ed i suoi comandamenti.
Per lui la conversione forzata aveva creato nuove circostanze e creato nuove domande ai convertiti ed ai loro discendenti, in particolare perché la fine dei giorni stava per arrivare. I conversos erano molto simili agli stessi ebrei che Dio aveva disperso nella Diaspora; molti si identificavano con loro ma osservare l’ebraismo in segreto non era abbastanza. Il ritorno all’ebraismo più attivo alla libera pratica delle leggi ebraiche erano elementi essenziali per dare inizio all’era messianica e alla redenzione di Israele. Gli ebrei battezzati con la forza non dovevano più negare la loro alleanza religiosa. Le linee di combattimento nel Mediterraneo erano adesso chiaramente definite fra le forze musulmane capeggiate dai turchi ottomani, e la cristianità rappresentata dai re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona. I conversos dovevano prendere il loro posto fra gli ebrei. La persecuzione degli inquisitori verso i giudaizzanti e l’espulsione degli ebrei ala Spagna erano segni ulteriori del processo iniziato dai turchi ottomani nel 1453, del movimento dei conversos verso est per tornare all’ebraismo e aspettare la venuta del Messia.
Il processo del 1464contro la famiglia Cifuentes non conduce a una conclusione radicale sull’esperienza dei conversos nelXV secolo. Secondo gli inquisitori i conversos a Valencia erano circa 3.000, 10% dei quali aveva lasciato Valencia per ritornare all’ebraismo a Valona [84] .
Ebrei e Conversos nel mondo atlantico.
Le relazioni familiari, l’attiva collaborazione commerciale, l’affinità religiosa, contribuì a creare una struttura di un’interdipendenza durevole e un’ interazione fra gli ebrei e i cripto ebrei. Nel mondo dell’atlantico occidentale notevole e superiore ad altre diaspore è stata la loro capacità di sormontare barriere e collegare Imperi rivali, sistemi commerciali, blocchi dovuti alla religione.
Questa capacità di collegare imperi marittimi, di passare oltre le divisioni fra cattolici e protestanti era unica: un fenomeno di tipo sociale non puramente commerciale ma anche interculturale e politico. La grande capacità di interazione si estese anche oltre la barriera cattolico–protestante e giocò un grande ruolo per centinaia di anni nell’area del Marocco atlantico, il resto del Nord Africa e l’Africa occidentale.
Legami profondi anche secondo una prospettiva politica si tessero fra protestanti, cattolici, mondo musulmano. Dal punto di vista politico i sefarditierano forse deboli rispetto alla società in cui vivevano, ma la stessa situazione era vissuta da altre diaspore che cercavano di penetrare nell’orbita economica di stati rivali.
Alla fine del XVII secolo c’erano sei o sette Imperi marittimi europei transatlantici, spagnolo, portoghese, britannico, francese, olandese e danese, in cui i Sefarditi si distinsero notevolmente, divenendo la sola diaspora che abbia penetrato e sia rimasta attiva per lunghi periodi, anche se a livelli diversi in ciascuno di essi.
L’interazione poi avvenuta fra ebrei di origine spagnola e il mondo islamico fu lontana dall’essere marginale riguardo al complesso processo di transizione e adattamento che rese i discendenti degli ebrei che fuggirono dalla Spagna nel periodo precedente al 1492 – persone non orientate verso il commercio perpetrato su lunghe distanze o attività marittime – capaci di sviluppare con successo forti reti commerciali nel transatlantico durante il secolo XVI. Questo è vero specialmente durante le prime fasi della formazione della diaspora sefardita nell’occidente.
Alla fine del XV secolo, dopo la caduta di Costantinopoli in mano dei Turchi nel 1453 le reti commerciali di Venezia, Firenze, Genova nell’area sotto controllo turco, come il fiorire della diaspora greca e armena, erano per molti versi verosimilmente più adatte a prendere in mano il commercio di lunga distanza dell’Impero ottomano con l’Occidente, la Persia e oltre. Il fatto che i sefarditi, riuscissero dove gli altri non l’avevano fatto, fu in parte il risultato della politica dello stato iraniano e ottomano.
La parte ottomana, mossa dal sospetto politico verso cristiani greci e italiani, fu di ostacolo nel percorso dei domini italiani, costringendoli ad avere un intermediario locale sotto il controllo ottomano. Nel caso dell’Iran, sostiene Jonathan Israel :
The Shah sought to draw the main Armenian trade networks eastward and away from the Ottoman Sphere of influence. But the unique role of the Sephardim was also partly the result of cultural factors. [85]
Gli ebrei che avevano lasciato la Spagna e il Portogallo si stabilirono in numero considerevole a Salonicco, Costantinopoli, e in luoghi meno importanti lungo la Grecia e i Balcani, poiché conoscevano il mediterraneo occidentale, parlavano spagnolo ed erano capaci di apprendere facilmente l’italiano; capendo l’alfabeto latino erano più dotati per formare contatti commerciali durevoli in occidente di quanto lo fossero i Greci e gli Armeni, stabilitisi nell’area da lungo tempo.
Formare tali legami fu compito di un misto di sefarditie cripto ebreiche operavano in particolare a Ferrara, Ancona, Firenze, Anversa e dall’inizio del XVII secolo in maniera predominante a Venezia, Livorno ed Amsterdam. Emerse allora un nuovo tipo di diaspora commerciale focalizzata nell’importare ed esportare attraverso Salonicco, Costantinopoli, e i porti dalmati come Valona, Ragusa e poi Spalato.
Furono creati accordi e contratti con diversi Principi italiani e dal 1580 anche con la Repubblica di Venezia. Mentre si tessevano tenui ma regolari contatti con i cripto ebrei in Spagna e Portogallo, fu sviluppata l’intricata combinazione di collegamenti politici, religiosi, familiari, accordi commerciali che rese possibile la successiva rimarcabile evoluzione di una durevole diaspora sefardita dedita al commercio transatlantico.
Psicologicamente, religiosamente, e culturalmente, la più delicata parte di questo complesso processo di vasti legami di differenti religioni, zone politiche e culturali nel XVI secolo, converse principalmente in Italia. Notevoli cambiamenti si verificarono però quando nella metà del XVI secolo la Penisola entrò in una fase di intolleranza e fu introdotta l’inquisizione. Furono intensificati allora i controlli contro “l’eresia” del cripto–giudaismo praticato da uomini che erano i discendenti di coloro che battezzati a forza o non, in Spagna e Portogallo.
Nonostante questo l’Italia era alla fine del XVI e inizio XVII secolo, il solo punto di convergenza dove i nuovi cristiani, che vivevano privatamente come cripto ebrei, anche se solo sporadicamente, e gli ebrei sefarditi di nome e di fatto, che parlavano la stessa lingua, e spesso avendo legami familiari, potevano rinnovare ed intensificare la loro interazione sociale e la loro collaborazione commerciale.
Lo stesso processo di interdipendenza delle due diaspore in espansione, evidente in Italia nel corso del XVI secolo, si sviluppò anche nei porti della Francia occidentale dove i conversos spagnoli si erano stabiliti, in particolare Bordeaux e Bayonne, e anche nei Paesi Bassi, nei porti francesi sull’atlantico e ad Amsterdam.
Il processo del ritorno alle pratiche ebraiche dei conversos fu molto complesso dal punto di vista religioso, psicologico e culturali e fu condotto parzialmente da persone che provenivano da comunità sefardite ben organizzate nella diaspora, le quali fornivano rabbini, cantori, insegnanti, guide e modelli per la vita comunitaria.
Influenze di culture esterne erano comunque presenti in coloro che non avevano potuto praticare la propria fede.
Durante il XVI secolo la comunità portoghese ad Anversa ebbe al suo interno dei “nuovi cristiani”ebrei che erano stati fedeli alla religione cattolica dopo la conversione ed ebrei che al contrario solo esteriormente avevano accettato il cristianesimo, persone che erano rimaste isolate da qualsiasi tipo di vita ebraica organizzata. Una volta che ad Amsterdam come ad Amburgo la comunità sefardita crebbe, circa dal 1590, una stretta interazione tra i cripto ebrei di Anversa e gli ebrei sefarditi olandesi divenne un importante legame nel complesso quadro che si stava formando nella diaspora.
In Spagna il cripto giudaismo sopravvisse, con l’eccezione di Maiorca, [86] per i primi decenni del XVI secolo, dove gli ebrei si erano assimilati alla società spagnola cattolica.
Dopo il 1530, solo in Portogallo rimase un relativo ampio numero di conversos. Questa comunità era costituita da circa 30,000-50.000 persone, 3% della popolazione totale del Portogallo, la maggior parte dei quali erano discendenti di ebrei che avevano lasciato la Spagna nel 1492 ed erano stati battezzati a forza nel 1497.
Queste persone non erano affatto mercanti; la nuova attività legata al commercio marittimo fu creata alla fine del xv secolo dalla Corona portoghese, e i contatti erano con i mercanti non ebrei, spesso fiamminghi o italiani, che risiedevano a Lisbona.
Il cambiamento che permise ai conversos di trasferire l’attività di commercio marittimo dal vecchio mondo al nuovo fu dovuto alla diffusione delle piantagioni di zucchero create originariamente nelle isole atlantiche di Sao Tomé, la colonia portoghese sulla costa dell’Africa, e dal 1560 in Brasile su vasta scala. Fu decisamente l’avvento dello zucchero brasiliano dopo il 1560, il fattore che permise la formazione di un’ampia comunità di conversos portoghese che si occupava del commercio marittimo.
Dal 1550 al 1560 la loro partecipazione in questa attività entrò infatti in una nuova fase, e nuove opportunità vennero offerte da questo tipo di coltivazione: lo zucchero era una merce sfusa che richiedeva molte più risorse per quanto riguarda il capitale da investire, l’organizzazione, il trasporto, il lavoro, il deposito e capacità di quanto lo fosse il commercio delle spezie, oro e gioielli. Prima i veneziani lo importavano in Europa dall’Egitto e Cipro; dalla metà’ del XVI secolo la canna da zucchero divenne un successo a Sao Tome, dove emerse come maggior risorsa per il mercato europeo. Presto la produzione dello zucchero iniziò anche in Brasile dove, dal 1560 la coltivazione si sviluppò rapidamente. Questo provocò una crescita dell’immigrazione dei conversos e la una crescita di nuovi cristiani portoghesi ad Anversa; dopo il 1560 un’altra conseguenza dovuta a questa coltivazione fu la crescita delle relazioni fra conversos portoghesi ed il Brasile, da cui conseguì una relativa larga classe di mercanti portoghesi “nuovi cristiani”, orientati verso il commercio transatlantico. Nello stesso tempo aumentarono anche le piantagioni brasiliane dello zucchero che provocò l’aumento su larga scala del traffico di schiavi.[87]
Questo sviluppo cementò la relazione tra “nuovi cristiani”, che vivevano nel vecchio mondo o in Brasile, e la diaspora sefardita. Il traffico brasiliano dette vita a un relativo ampio gruppo di cripto ebrei e mercanti sefarditiimpegnati e orientati verso il commercio transatlantico. Nel frattempo un sostanzioso numero di “nuovi cristiani”portoghesi fece ritorno in Marocco e tornò a osservare l’ebraismo normativo durante il XVI secolo.
Un complesso notevole di interazioni si creò durante questo periodo fra ebrei di origine spagnola che abitavano in Nord Africa, le comunità di ebrei sefarditi permesse dalla Corona spagnola e portoghese nelle loro enclavi nel Nord Africa come a Orano, Ceuta, Tangeri e Melilla, e i mercanti “nuovo cristiani”attivi nelle enclavi rimaste cattoliche. Gli ebrei giocarono una parte abbastanza preminente nella politica e nel commercio del Marocco nel XVI e XVII secolo, e fu lì come nell’Impero ottomano che rimasero prima coinvolti nei meandri delle politiche per e contro la Spagna.
Dall’inizio del secolo XVII, anche l’influenza olandese divenne significativa in Marocco e gli ebrei di nuovo giocarono il ruolo chiave di mediatori sia nel commercio che nella politica. Un esempio è dato dalla storia dei corsari Salé che ebbero un impatto considerevole nelle linee marittime della parte atlantica e mediterranea dello stretto di Gibilterra. Questi corsari, che nel secolo XVII erano particolarmente ostili alla Spagna, ricevettero le loro armi, munizioni e polvere da sparo principalmente dagli ebrei sefarditi di Amsterdam. Inizialmente, in quello che fino al 1570 rimaneva principalmente un sistema portoghese transatlantico, i conversos portoghesi che vivevano in Portogallo e Brasile, giocarono un ruolo predominante, mentre apparentemente gli ebrei sefarditi, che vivevano principalmente a Venezia, Pisa, Amsterdam, Amburgo e Livorno, ebbero una crescente parte supplementare, specialmente nell’importazione dello zucchero brasiliano in Italia e nel Nord Europa. Questa realtà si trasformò sistema transatlantico molto più ampio, in cui i cripto- ebrei e i sefarditioccidentali, interagirono attraverso un contesto più grande, come risultato dell’unione delle Corone di Spagna e Portogallo, con Filippo II nel 1580.
Nonostante che i “Nuovi Cristiani” portoghesi nei vicereami spagnoli in America, fossero già abbastanza numerosi prima del 1580, dopo questa data ne arrivarono molti di più, mentre un numero importante si stabilì , vivendo però come cattolici, nella Spagna stessa, in particolare a Madrid, Siviglia e alcune città andaluse. Fu in particolare questa realtà che rese i mercanti ebrei portoghesi adatti a entrare nel traffico fra la Spagna e l’America spagnola, su scala importante.
Dal 1580 i mercanti cripto-ebrei erano radicati nei principali centri economici, nei viceregni spagnoli in America, specialmente nella città messicane di Lima, Veracruz, Puebla, Guadalajara, e Cartagena de Indias, e divennero la presenza più grande a Potosì. Dal 1580 iniziò il traffico di contrabbando, introdotto dai “nuovi cristiani”portoghesi, che legò il Perù, via Tucumàn (ora nel Nord Argentina) e River Plateroute con Buenos Aires e gli avamposti portoghesi nel sud del Brasile.
Per quanto riguarda la supremazia spagnola nell’Atlantico, essa fu compromessa seriamente alla fine del secolo XVI: l’Impero spagnolo iniziò a indebolirsi progressivamente dopo il 1600, e di conseguenza il commercio di Madrid, città del Mexico, Lima e Siviglia. L’espansione del commercio olandese, inglese, francese e la colonizzazione dell’area dei Caraibi, la Guiana E il Nord Brasile (1624-1645), creò nuove possibilità per l’interazione commerciale nel nuovo mondo, fra le reti dei cripto ebrei portoghesi radicati nel mondo nuovo e le comunità ebraiche sefardite in Europa.[88] Sia nel Nuovo Mondo che in Spagna le autorità spagnole erano consapevoli di questa crescente cooperazione e sospettavano”nuovi cristiani” portoghesi fossero eretici ma adesso temevano anche un sovversione politica poiché non solo erano sempre di più coloro che migravano dal Portogallo e Spagna in Olanda, Amburgo, Francia e Italia, dove tornavano a osservare le pratiche ebraiche, ma anche un numero considerevole di giudaizzanti sefarditi rientravano nell’Impero spagnolo per rinforzare le tendenze verso l’ebraismo dei cripto-ebrei nei vicereami spagnoli, un processo che è stato documentato per il Messico.
L’Inquisizione esagerava talvolta nell’accusare i “nuovi cristiani” portoghesi di collusione con l’Olanda, ma a volte ci sono pochi dubbi che qualche mercante converso nella Nuova Spagna e Cartagena abbia avuto legami diretti con l’Olanda e con la Compagnia olandese delle indie occidentali.
Fra il 1620 e il 1650 l’industria olandese si era concentrata in particolare nel Nord del Brasile dove, a Recife, la prima comunità sefardita nel nuovo mondo si era formata nel 1630 e dove i “nuovi cristiani” erano tornati a osservare la legge ebraica. Nello stesso tempo però l’Inquisizione nel 1630 in Perù e nella Nuova Granada nel 1640, aveva tanto colpito le reti dei cripto-ebrei nell’America Spagnola, che la bilancia dell’importanza commerciale cambiò considerevolmente e in maniera irreversibile verso le comunità sefardite nel nuovo mondo, tanto che nel 1640 cominciò ad allargarsi anche nelle Barbados e altre parte dei Caraibi.
Nello stesso tempo, la secessione politica del Portogallo dall’Impero spagnolo nel 1640, fu seguita da quella del Brasile un anno più tardi, come afferma Jonathan Israel:
The long and bitter war between Spain and Portugal which ensued, lasting down to 1668, caused the fragmentation of the hitherto relatively coherent network of Portuguese converso links extending across the Atlantic world. In particular, the Portuguese secession (which was immediately followed by a ban imposed by the Spanish crown on the entry of Portuguese shipping into Spanish and Spanish American ports) badly disrupts ties between the Portuguese New christian merchants resident in Portugal and Brazil and the Portuguese crypto-Jewish networks in New Spain, new Granada, Venezuela, and Perù . [89]
Il riemergere del Portogallo nella scena Atlantica, divise le comunità dei conversos del mondo iberico in due gruppi che avevano alleanze politiche opposte, tensioni con i diversi gruppi di famiglie sefardite e persone che commerciavano con Spagna e Portogallo che risiedevano in Olanda e a Amburgo. Questa situazione si complicò ulteriormente quando la repubblica olandese, che verso il 1640 si era allineata con il Portogallo ed era rimasta ostile alla Spagna, cambiò completamente direzione in seguito alla grande rivolta dei piantatori cattolico portoghesi nel nord del Brasile contro Olanda e gli ebrei olandesi nel 1645 e la pace olandese spagnola del 1648.
Il Portogallo dal 1650 in poi strinse sempre di più relazioni politiche ed economiche con l’Inghilterra. La rapida espansione di questo Paese nel commercio marittimo durante il periodo di Cromwell e l’aumento della comunità sefardita a Londra, la spedizione parlamentare del 1651[90], che eliminò molto l’influenza dell’Olanda, con cui combattevano i realisti inglesi delle Barbados, certamente mise in grado l’Inghilterra e i sefarditi di Londra, di creare una seconda rete di connessioni che fu un formidabile rivale per il sistema commerciale olandese e sefardita olandese ad Amsterdam, Curacao, e la fragile compagna olandese nell’India occidentale. Il rapido crescere a questo punto del commercio inglese con il Portogallo, Brasile, i Caraibi e l’Africa occidentale, e dal 1660 dei Caraibi francesi, alterò il carattere del mondo atlantico, anche di quelle parti del sistema atlantico spagnolo divennero parti del crescente dominio inglese. Riguardo agli ebrei osserva Kagan:
this shift in the balance of maritime and economic power in an area where the active participation of both the crypto-Jewish and Sephardic diasporas as intermediaries remained important was the commerce of the Canary Islands. .[91]
Nelle isole canarie la principale esportazione nel XVII secolo era il vino, il cui mercato principale era l’Inghilterra. Sebbene i mercanti nuovi cristiani portoghesi residenti nelle isole canarie e attivi nel commercio del vino avessero legami commerciali e anche osservassero in segreto la stessa fede dei sefarditi in Olanda, dopo la guerra anglo -inglese (1652-54) erano sempre più orientati verso Londra.
[1] HaSifriah HaVirtuali Shel Matach;
http://lib.cet.ac.il/pages/item.asp?item=15548 (consultato 10/1/2016)-.
[2] David Nirenberg, Mass Conversion and Genealogical Mentalities: Jews and Christians in Fifteenth -Century, in: «Past & Present», No. 174 (Feb. 2002),p. 3-41. http://www.jstor.org/stable/3600715 (consultato il 17/12/2015)
[3] Vincente Ferrier. Frate dell’ordine dei dominicani, nato nel 1350 vicino a Valencia e morto nel 1419 a Vannes. Era un predicatore persuasivo ed efficace. Predicò costantemente davanti a folle di cristiani in Spagna, in Linguadoca, a Vannes dove morì. Di madre lingua catalana, predicava anche in castigliano nel 1411-12 in Castiglia, a Segovia, Aillon, Valladolid, Salamanca. I suoi sermoni erano
profondamente antiebraici.
[4] Shlomo Alami scrisse Iggeret Musar, che indirizza in forma di lettera a un suo talmid nel 1415
[5] Jonathan Ray, After expulsion: 1492 and the making of Sephardic Jewry, New York University 2013.
[6] Benjamin Gampel esamina la lettera nel suo contesto storico in: A letter to a wayward teacher: transformation of sephardic culture in Christian Iberia, in David Biale (Ed.), Cultures of the Jews: A New History, New York, Schocken books 2002, pp. 389-447
[7] Igheret Yehoshua HaLorki,
http://www.daat.ac.il/daat/mahshevt/natsrut/igeret1-2.htm (consultato il 4/11/2015)
[8] Yacob ben Asher (1269-1343), conosciuto anche come Yakov ben Raash (Rabbenu Asher). Nato in Germania visse la maggior parte della sua vita in Spagna. Famoso per aver composto Arba’ah Turim, su cui Yosef Caro baserà lo Shulchan Aruch. Abraham Zacuto dice nel Sefer Yuhasin (ed. London. p. 223) che Yacob era successo a suo padre come rav della comunità di Toledo, ma sembra invece che sia stato fratello Yehudà ben Asher a farlo. Secondo la comunità sefardita di Chios, visse per molti anni in povertà. Si recò in diversi Paesi, dove osservò I diversi costumi religiosi. Forse morì e fu seppellito a Chios.
[9] Abraham Zacuto, Sefer Yuhasin HaShalem, Tzvi Hirsche Filipowski (Ed.), London, Hevrat Meorerei Yeshenim 1857, p. 223b- 224a. Pdf: The Complete Yuchsin Book, third edition (5723), http://hebrewbooks.org/5900, p. 285-286 (consultato il 12/04/2016).
[10] Per una bibliografia di Abraham Zacuto vedere: José Chabás and Bernard R. Goldstein, Astronomy in the Iberian Peninsula: Abraham Zacut and the Transition from Manuscript to Print, Philadelphia, American Philosophical Society 2000; Jonathan Kirsch, The Sephardic Jews of Spain and Portugal : survival of an imperiled culture in the fifteenth and sixteenth centuries: Jefferson, N.C., McFarland & Co. 2009; Yoval Liberman, Reshimat Chakhamei Yamey Ha-Bynayim Be’Sefer Yuchasin LeRav Abraham Zacuto, Jerusalem, 2001; Mariano Gómez Aranda; Miguel García-Posada, Ibn ezra, Maimónides, Zacuto, sefarad científica : la visión judia de la ciencia en la edad media, Madrid, Nivola 2003.
[11] Abraham Zacuto, Sefer Yuhasin HaShalem, Tzvi Hirsch Filipowski (Ed.), cit. Pdf: The Complete Yuchsin Book, third edition (5723), http://hebrewbooks.org/5900, p. 225a (consultato il 12/04/2016).
[12] Yosef H. Yerushalmi, Exile and Expulsion in Jewish History, in B. R. Gampel (Ed.) Crisis and Creativity in the Sephardic World, 1391–1648, New York 1997, p.19., p.19.
[13] Yitzhak Baer, History of Jews in Christian Spain, Tel Aviv, Am Oved 1945, nuova edizione rivista 1959, p. 433.
[14] Cfr. fra gli altri autori: Alan T. Levenson, The wiley-blackwell history of Jews and Judaism, Malden, Wiley-blackwell 2012.
[15] Luis Suárez Fernández , nato nel 1924, professore all’Università di Vallalolid e all’ Autónoma de Madrid. Si è occupato dell’epoca medievale e dei Re cattolici in particolare. Sulla storia degli ebrei in Spagna ha scritto: Documentos acerca de la expulsión de los judíos,Valladolid, Aldecoa 1964 ; Los Trastámaras de Castilla en el siglo XV (1404-1474), Madrid, Espasa-Calpe , 1993 1964; Judíos españoles en la Edad Media, Madrid, Ediciones Rialp Sa, 1980; Los judíos, Barcelona, Ariel, 2005.
[16] Miguel Angel Labero Quesana , autore di: La Espana de los Reyes catolicos, Alianza Editorial, 2008; De nuevo Sobre los Judios Granadinos al tiempo de su expulsion, “La Espana Medieval“, 30(2007);
[17] Yitzhak Baer (1888-1980), storico ebreo tedesco, nato in Germania. Autore di: Studien zur Geschichte der Juden im Konigreich Aragonien: wahrend des 13. und 14. Jahrhunderts/ von Fritz Baer, Berlin, E. Ebering 1913 ; History of Jews in Christian Spain, Tel Aviv, Am Oved 1945, nuova edizione rivista 1959.
[18] Secondo Jane S.Gerber nel 1492 10.000 ebrei andarono in Italia con Isaac Abravanel.Jane S. Gerber, The Jews of Spain: A History of the Sephardic Experience. New York, Free Press 1992.
[19] Cfr. anche: “Ebrei in Spagna”, in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi con la collaborazione di Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, 4 voll., Edizioni della Normale, Pisa 2010, vol. II, pp. 527-529.
[20] Giacomo I d’Aragona, detto il Conquistatore, ( Montpellier 1208 – Valencia1276 ). Re di Aragona e conte di Barcellona (1213-1276), re di Valencia (1238-1276) e di Maiorca (1230-1276), signore di Montpellier.
[21] Yitzchak Baer, History of Jews in Christian Spain. Tel Aviv: Am Oved 1945. Nuova edizione rivista e accresciuta 1959.
[22] Benzion Netanyahu (1910 – 2012). Storico israeliano nato in Polonia. Autore di: Don Isaac Abravanel. Statesman and philosopher, Ithaca 1997; The Marranos of Spain. From the late XIVth to the early XVIth Century, Ithaca, 1966, 1999; The origins of the Inquisition. In fifteenth Century Spain. New York, Random House 1995
[23] Salo W. Baron, The Social and Religious History of the Jews, New York (1952–80), volumi 9-10.
[24] Haim Beinart (1917-2010). Storico israeliano nato in Russia.Fra le sue opere: Atlas of Medieval Jewish History, New York, 1992; The expulsion of the Jews from Spain, Oxford, Portland, Or., Littman Library of Jewish Civilization 2002, pp. 284-290.
[25] La moneta del Portogallo durante questo periodo è diviso in due unità secondo la riforma del Re Giovanni II nel 1485: la moneta d’oro conosciuta come il justo (pl. justos) e il cruzado (pl. cruzados) e due monete d’argento conosciute come il vintém (pl. vinténs) e il real (pl. reais).
Il valore di queste diverse monete era il seguente:
1 Justo = 2 cruzados.
1 cruzado= 390 reais
1 vintém0 20 reais
La moneta in Castiglia durante lo stesso periodo era diviso in due monete d’oro conosciute come doba (o excelente) e la moneta d’argento il real.
[26] Yohanan Aharoni [et al.], Historical atlas of the Jewish people, Shmuel Ahituv (ed.), New York, Continuum International Publishing Group 2003.
[27] Jonathan I. Israel, European Jewry in the Age of Mercantilism 1550–1750, New York, Clarendon Press –Oxford 1985, p. 7.
[28] Yosef Hayim Yerushalmi, Exile and Expulsion in Jewish History, in: Crisis and Creativity in the Sephardic World, 1391-1648, Benjamin R. Gampel (Ed.), New York, Colombia University Press 1997. pp. 3-22
[29] Levi ben Gershon, (Bagnols-sur-Cèze, 1288 – Perpignano, 1344), è stato un filosofo, astronomo e matematico francese, figlio di Gerson ben Solomon Catalan, uno degli ultimi e più importanti Rishonim vissuti nel Medioevo.
[30] Ricordiamo brevemente le espulsioni precedenti:gli ebrei furono espulsi dal Regno Francese nel 1182 da Filippo Augusto. Vi ritornarono nel 1198. Nel 1290 espulsione dall’Inghilterra. Nel 1306 al più largo Regno di Francia. Nel 1315 e nel 1322 e poi definitivamente nel 1394 dalla Francia. Nel corso del XIV e XV espulsi dalle maggiori città europee.
[31] Abraham ben Salomon Ardutiel o Torrutiel, visse in Spagna alla fine del secolo XV. Lasciò la Spagna nel 1492. Negli ultimi anni della sua vita scrisse un’appendice al Sefer ha-Qabbalà, l’opera storica di Abraham ibn Daud, dove continua il racconto della storia degli ebrei dagli anni in cui Abraham ibn Daud era morto, nel 1180, fino al 1525.
[32] rav Hayatt fondò un luogo rifugio nel Sultanato di Fez , in Marocco
[33] Solomon ibn Verga, 1460-1554. Esule spagnolo rifugiatosi in Portogallo. Dopo la conquista di Malaga nel 1487 da parte di Ferdinando e Isabella, Ibn Verga fu inviato dalle comunità spagnole a raccogliere fondi per liberare gli ebrei prigionieri nella città. Quando gli ebrei furono espulsi dalla Spagna, si stabilì a Lisbona. Dal 1497 visse in Portogallo qualche tempo come converso. Quando nel 1506 ai conversos fu permesso di lasciare il Portogallo, andò a vivere in Italia, forse a Roma. Scrisse Shevet Yehudà, pubblicato per la prima volta in Turchia nel 1550 circa e da allora ristampato molte volte. L’opera è stata tradotta in yiddish a Cracovia nel 1591, in spagnolo da Meïr de Leon, ad Amsterdam nel 1640, in latino da Gentius nel 1651, in tedesco da Wiener a Hannover 1856.
[34] Yosef ben Yehoshua HaCohen , Storico e medico. Nato ad Avignone nel 1496, morto a Genova nel 1575. Era originario di Cuenca, Spagna. Nel 1492 si stabilì ad Avignone. Nella città di Genova esercitò il mestiere di medico per 12 anni. Dal 1550 lui, come altri ebrei furono costretti ad andarsene a causa della rivalità con altri medici. Vi tornò nel 1571. Conosciuto soprattutto per due opere: Dibre ha-Yamim le-Malke Tzarfat we-Ottoman, terminato nel 1533 ,e Emeq ha-Bakah, 1563.
[35] Alisa Meyuhas Ginio, Between sepharad and Jerusalem: history, identity and Memory of the Sephardim, Leiden- Boston, Brill 2014
[36] Citazione di Eleazar Gutwirth, “Historians in Context: Jewish historiography in the Fifteenth and Sixteenth Centuries”, Frankfurter Judaistischer Beitrage 30 (2003): 147-68. In: J. Ray, After expulsion, cit., p. 37.
[37] J. Ray, After expulsion, cit., p. 37. Il Ray commenta anche che tesi famosa di Yitzhak Baer secondo il quale l’inclinazione filosofica dell’elite intellettuale rese l’intera comunità’ ebraica incline a convertirsi, non è più considerata valida.
[38] Cfr. Simon ben Zmach Duran, Sefer ha-Tashbets, She’elot we-Teshuvot, I:62, III:59.
[39] Documentos acerca de la expulsion de los judios, ed. anotada y preparada por Luis
Suárez Fernández Valladolid , Aldecoa 1964, p. 328; Miguel Ángel Ladero Quesada, Dos Temas de la Granada Nazari, «Cuadernos de Historia» 3, (1969), p. 321-345. Vedere appendice.
[40] Ladero Quesada, De nuevo sobre los judios granadinos al tiempo de su expulsion, «La Espana Medieval», 30 (2007), p. 285.
[41] Don Vidal Haim Benveniste de la Cavalleria era forse nipote di Abraham Benveniste (m. 1450, uomo di stato e rabbino in Castiglia durante di il Regno di Giovanni II), visse nella seconda parte del secolo XV. Nel 1492 egli e suo fratello Abraham negoziarono con il Re del Portogallo un accordo per far entrare per un periodo di sei mesi in Portogallo circa 120,000 ebrei spagnoli. Questi ebrei avrebbero dovuto pagare un ducato a persona, e un quarto di ducato per le loro mercanzie.
[42] J. Ray, After expulsion, cit., p.38-39.
[43] Anonimo, citato in David T. Raphael (Ed.), Expulsion 1492 Chronicles: An Anthology of Medieval Chronicles Relating to the Expulsion of the Jews from Spain and Portugal, North Hollywood, Carmi House Press 1992, p. 131.
[44] Vedi in basso il Racconto di Eliahu Capsali, che afferma che Señor si era convertito a causa di un accordo con la Regina, la quale in caso di un suo rifiuto della conversione, avrebbe fatto un bagno di sangue nelle comunità ebraiche.
[45] Vedi in basso il racconto di rav Eliahu Capsali.
[46] Marc Saperstein, The quality of rabbinic leadership in the generation of the expulsion: el Caracter del liderazgo rabinico en la generazion de la expulsion, «Anuari de Estudios Medievales», 42,1 (Gennaio-Giugno 2012), pp. 95-118.
[47] I libri ebraici pubblicati in Spagna erano testi religiosi, non di scrittori contemporanei.
[48] Don Isaac Abravanel (1437-1508). Nacque in una ricca famiglia in Portogallo. Successe a suo padre Yehudà diventando come lui tesoriere e un grande favorito di Alfonso V. Usò la sua grande influenza per aiutare le comunità ebraiche; quando ad esempio Alfonso V catturò la città di Arzilla, in Marocco, fra i prigionieri c’erano 250 ebrei, Abravanel raccolse fondi per riscattarli e lui stesso dette molto denaro. Quando Alfonso V morì e don Giovanni II successe al trono, Abravanel preferì andare a vivere a Toledo, in Spagna. Il Re confiscò allora i beni della sua famiglia. Ferdinando, Re di Spagna, lo nominò tesoriere di Stato, negli stessi anni in cui Torquemada si occupava dell’inquisizione. Quando il decreto di espulsione divenne noto, Abravanel con la sua famiglia fuggì a Napoli.
Abravanel ricorda anche le espulsioni precedenti a quella spagnola nel Perush AlHaTorah, Sefer Devarim, Parashah Ki-Tavò, cap. 28.
Molto vasta è la bibliografia su Abravanel, cfr. fra gli altri: Eric Lawee, Isaac Abarbanel’s stance toward tradition: defense, dissent, and dialogue, Albany, N.Y, State University of New York Press 2001; Ben Zion Netanyahu, Don Isaac Abravanel: Statesman & Philosopher, 5a ed. Cornell University Press, 1999. Vedere bibliografia.
[49] Isaac Abravanel , Ateret Zeqenim, p. 12b.
[50] Albarracin, una città spagnola vicina Teruel in Aragona, aveva una comunità ebraica a partire dal secolo XII. Dopo i massacri del 1391 i cancelli del quartiere ebraico furono chiusi. Fra il 1484 e il 1486 un tribunale dell’inquisizione operò nella città, ma la maggior parte dei processi si svolse a Teruel. L’espulsione degli ebrei fu decisa nel 1486. Agli ebrei furono dati tre mesi per andarsene. Nello stesso Luglio il Re disse a Torquemada di garantire ancora sei mesi di tempo. Nel 1492 comunque rimanevano ancora degli ebrei a Albarracin, e il vecchio Rabbino Solomon esortò la sua comunità ad accettare l’esilio piuttosto che la conversione al cristianesimo.
[51] Abraham Saba (1440 -1508), nato in Castiglia, Talmid di rav Itzhak de Leon. Nel 1492 lasciò la Spagna per andare a vivere a Guimarayes, vicino a Porto, in Portogallo, con la sua comunità. Nel 1497 gli furono sottratti i figli e convertiti con la forza. rav Saba riuscì invece a fuggire a Fez, in Marocco. Morì su una nave, mentre stava raggiungendo l’Italia. La sua tomba si trova nel cimitero ebraico di Verona. Nel libro Tzror ha-Mor racconta di essere stato in prigione con altri Rabbini come rav Shimon Mimi, morto in prigione. Ne era uscito dopo dei mesi e con altri compagni era stato inviato via mare ad Arzilla, nel Nord Africa, dominata dal Portogallo. Gli era stato consentito poi di andare a Fez, a quel tempo in mano dei musulmani.
[52] Abraham Saba, Tzror ha-Mor, Parashat Vaishlah, Warsha, 1879, pdf.
http://www.hebrewbooks.org/30801, p. 50 e 99.
[53] Isaac Aboab di Castiglia, (1433-1493). Conosciuto anche come Isaac Aboab II, era un Posek, commentatore della Torah. Era nato a Toledo, considerato uno dei Gaonim della Castiglia. Era uno dei più importanti talmudisti della sua generazione, discepolo di Isaac Canpontoni,.Con altre 30 persone andò in Portogallo, dopo l’editto del 1492, per negoziare l’entrata degli ebrei espulsi con il Re Giovanni II del Portogallo. Morì pochi mesi dopo. Suo discepolo fu Abraham Zacuto. Nel 1538 fu stampata a Costantinopoli una collezione dei suoi sermoni, Nehar Pischon.
[54] Abraham Zacuto, Sefer Yuhasin, edizione Filipowski p. 226a, cit., The Complete Yuchsin Book, third edition (5723), pdf p. 289.
[55] Per la figura di Levi ben Shem Tov, vedi Marc Saperstein, Jewish Preaching, p. 85, n. 12; Rabbi Solomon di Albarracin, Y. Baer, A History of the Jews, vol. II, cit., p. 436 cita A. Floriano, La aljama de judios de Teruel, p. 17f; A. Saba, Tzror ha-Mor, Genesi, fine di Va-Yishlah, p. 50a; cf. Esodo. p. 29b, Deut. p. 6d;. i sermoni di Yosef Yabetz non sono stati preservati; J. Yabetz, Hasdei Ha-Shem, pp. 22-23; l’opera fu scritta dopo un anno dall’espulsione. I testi citati in: Saperstein Marc, The quality of rabbinic, cit., p.103.
[56] Aboab, Isaac, Nehar Pishon (Sermons), British Library MS Or.10701 (Gaster 1398), p. 23c. Pdf: http://www.hebrewbooks.org/19482, p. 42.
« l’anima che non aderisce al corpo non sente quando la separano dal corpo, perché sta avvicinandosi a Dio. Questo è perché l’uomo è stato comparato a un albero capovolto con le radici sopra. Una persona potrebbe quindi aderire a Dio, aderire alla sua vera radice, e allora non sentirà questo anche quando prenderanno la sua vita»
Cfr. Cfr. Moshe Idel, Cabbalà. Nuove prospettive, Firenze, Giuntina 1996.
[57] Per quanto riguarda questo soggetto Cfr. Gershom Scholem, Chaqirot chadashot al rav Abraham ben Eliezer ha-Levi: igheret mi-rabbi Abraham ha-Levi … Pe’raqim leToledot Sifruti ha-Qabbalà, in «Kiryat Sefer» 7, (1930-1931), pp. 149- 165 e 440-456.
Abraham ha-Levi ben Eliezer ha-Zakhen, era un cabalista vissuto nella prima parte del secolo XVI. Cognato di Abraham Zacuto, era fuggito dalla Spagna. Visse per un breve periodo in Egitto e Costantinopoli, per poi stabilirsi a Safed e Gerusalemme. Scrisse Mashrè Kitrin, pubblicato a Costantinoli nel 1510, un commento sulla profezia di Daniele; Tikkunè Shabbat, riflessioni mistiche sul Sabato, pubblicato a Venezia, Amsterdam, Basel etc.; Masoret ha-chokhmà, sulle 10 Sefirot e la Megillat Amraphel, sui meriti di una vita ascetica.
[58] L’idea che il martire non sente dolore è attribuita a Meir di Rothenburg dal suo discepolo nel Sefer Tashbetz.
[59] Oxford MS. f. 20a; Marc Saperstein, Your Voice Like a Ram’s Horn”. Themes and Texts in Traditional Jewish Preaching, Cincinnati, HUC Press 1996, p. 325.
[60] rav Levi Shem Tov si rifugiò in Portogallo, dove si convertì al cattolicesimo e divenne consigliere del Re, a cui consigliò di battezzare i bambini ebrei minori di 13 anni. Cfr: Yom Tov Assis, Moshe Orpali, Portuguese jewry at the stake, Jerusalem, Magnes Press 2009. (Hebrew). http://moreshet-morocco.com/ (consultato il 16/7/2016) e Cfr. Norman Roth, Conversos, Inquisition, and the expulsion of the Jews from Spain, Madison, University of Wisconsin Press 2002.. p. 255
[61] J. Ray, After expulsion, cit., p.41
[62] Ibn Hayyat, citato in David T. Raphael (Ed.), Expulsion 1492 Chronicle, cit., p. 113
[63] Yehudà ben Yacob Hayyat era un cabalista; nella prefazione del suo libro Minhat Yehudà, descrisse le sue sofferenze. Su richiesta di Yosef Yabetz di Mantova, scrisse un commento al libro Maareket Ha-Elohut, un sistema cabalistico attribuito a Peretz ben Isaac, pubblicato a Ferrara nel 1557 con il titolo di Minchat Yehudà, nella cui prefazione sono narrati gli eventi della sua vita e viene glorificata la Qabbalà.
[64] Jane S. Gerber, The Jews of Spain, cit.
[65] Jonathan Ray, Jew in the Text: What Christian Charters Tell Us about Medieval Jewish Society, «Medieval Encounters », 16 (2010), pp. 243–67.
[66] La protezione del Re poteva essere perduta per disinteresse, come vediamo nella risposta di Giovanni I di Aragona alle rivolte del 1391, o a causa del desiderio di avere un supporto popolare, come nel caso di Enrico di Trastamara , nel periodo in cui si candidò al trono della Castiglia. Dopo essere stato coronato infatti Enrico mise fine alla richiesta del popolo di bandire gli ebrei dalla corte castigliana e il loro status tornò a essere quello di prima.
[67] Yosef Hayi Yerushalmi, «Servitori di re e non servitori di servitori»: Alcuni aspetti della storia politica degli ebrei, Firenze, Giuntina 2013.pp. 40-41
[68] Yosef Hayi Yerushalmi, «Servitori di re e non servitori di servitori», cit., p. 42
[69] Id., p. 44
[70] Id., p. 46
[71] J. Ray, After expulsion, cit.
[72] J. Ray, After expulsion, cit., p. 27
[73] Ram Ben-Shalom, The Innocent Converso: Identity and Rhetoric in the Igeret Orhit Genre Following the Persecution of 1391, in Yom Tov Assis, Aldina Quintana Rodríguez, Raquel Ibáñez-Sperber, Ram Ben-Shalom (a cura di), Between Edom and Kedar: Studies in Memory of Yom Tov Assis, «Hispania Judaica Bulletin» The Mandel Institute of Jewish Studies, The Hebrew University of Jerusalem, Ben-Zvi Institute for the Study of Jewish Communities in the East, Part I, Volume 10, (2014), pp 55-75. https://www.academia.edu/9534426/The_Innocent_Converso_Identity_and_Rhetoric_in_the_Igeret_Orhit_Genre_Following_the_Persecution_of_1391?auto=download.(consultato il 1/2/2016)
[74] Yermihau, 48:11: וְלֹא-הוּרַק מִכְּלִי אֶל-כֶּלִי, וּבַגּוֹלָה לֹא הָלָךְ; עַל-כֵּן, עָמַד טַעְמוֹ בּוֹ, וְרֵיחוֹ, לֹא נָמָר
[75] Henrik Brody, Beitrage zu Salomo Da-Piera’s Leben und Wirken, Berlin, 1893, lettera 4, p. 22. In: Ben-Shalom Ram, The Innocent Converso, cit..
[76] A Fifteenth–Century Hebrew Formulary from Spain, in Chapters in Judeo-Spanish History, vol. 1, Yerushalayim, Hotzat Sefarim1998, (Hebrew). Lettera 36, p. 104.
[77] Re 2: 4-39 וַיֵּצֵא אֶחָד אֶל-הַשָּׂדֶה, לְלַקֵּט אֹרֹת
[78] Levitico 26:37 וְכָשְׁלוּ אִישׁ–בְּאָחִיו כְּמִפְּנֵי–חֶרֶב
[79] Tehilim 109:23, כְּצֵל-כִּנְטוֹתוֹ נֶהֱלָכְתִּי; נִנְעַרְתִּי, כָּאַרְבֶּה
[80] Beinart Haim, A Fifteenth –Century Hebrew Formulary from Spain , cit. Lettera 16, p. 83.
[81] Adesso Vlore, Albania.
[82] I mamluks erano una classe militare che governò in Egitto dal 1250 al 1517 e in Siria dal 1260 al 1516
[83] Gli avvenimenti storici però erano diversi da quello che lui immaginava, la Francia era soprattutto sconfitta in Italia e le ribellioni musulmane stavano per essere domate.
[84] Meyerson Mark D, Seeking the Messia: converso messianism in post 1453 Valencia, in: Ingram Kevin, the conversos and moriscos in late medieval Spain and beyond, Leiden-Boston, Brill 2009, pp. 55-82.
[85] Jonathan Israel, Jews and Crypto-Jews in the Atlantic World System, 1500-1800, in Atlantic diasporas: Jews, conversos, and crypto-Jews in the age of mercantilism, 1500-1800, Richard L. Kagan and Philip D. Morgan (Eds), John Hopkins University Press, Baltimore 2009, p.5.
[86] Gli ebrei e i conversos a Maiorca ebbero una grande importanza e furono elementi attivi nella organizzazione commerciale dell’isola. A Santamaria dicevano che «los juidios venian siendo el alma de la negociacion mallorquina en Berberia, el mercado numero uno del intercambio mercantil de la isla».
[87] Jonathan I. Israel, Diasporas within a Diaspora: Jews, Crypto-Jews and the world Maritime Empires (1540-1740), Leiden – Boston -Koln, Brill 2002, p 16-17.
[88] Jonathan Israel, Jews and Crypto-Jews in the Atlantic World System, 1500-1800, in Richard L. Kagan and Philip D. Morgan (Eds.), Jews, Conversos, and Crypto-Jews, cit., p.12.
[89] Kagan, Richard L. , Morgan, Philip , Atlantic diasporas, Cit. p. 13
[90] Durante il periodo della guerra civile inglese, 1642-1651,i possedimenti marittimi della Gran Bretagna furono fortemente coinvolti. Il parlamento assemblò una flotta per invadere le colonie del Re, ma molte delle isole inglesi nei Caraibi furono conquistate dall’Olanda e Francia nel 1651 durante la seconda guerra Anglo-Olandese
[91] J.Israel, Jews and Crypto-Jews , cit. p. 14-15