Capitolo 9 – La memoria ebraica: le Cronache
La generazione degli autori ebrei che visse nel periodo intorno al 1492 tentò di dare un senso ai tragici avvenimenti che la popolazione ebraica stava vivendo, intrecciandoli alla lunga storia dei dolori sofferti nel passato. Alcuni autori dopo l’espulsione del 1492 videro le tragedie come parte di una generale catena della storia ebraica, altri la videro come un evento unico, comparabile solo all’esilio dalla Terra d’Israele; molti scrissero memorie di ebrei che avevano perduto la vita, di sofferenze dovute a malattie, fame, sete, di comunità scomparse, elaborarono preghiere che furono inserite nei giorni di digiuno dell’anno ebraico.[1] HaCohen scrive nell’introduzione al libro:
Indicativa è la prefazione del libro Emek HaBakà, “la valle delle lacrime”, di Yosef HaCohen, in cui le risposte del rav agli eventi in questione sono tipiche di una lunga tradizione ebraica riguardo al peccato, penitenza e redenzione.
Nell’ampia letteratura in cui si narravano le tragedie dei massacri e delle conversioni di massa, veniva sottolineato il fatto che il popolo ebraico osservava ormai la propria legge con leggerezza, si dedicava troppo agli studi filosofici, non aiutava il prossimo, dimostrava di interessarsi ai costumi dei gentili in maniera non appropriata. Lo vediamo negli scritti di Eliahu Capsali, che considerò le tragedie dell’espulsione e della conversione come risultato dell’abbandono della Torah per gli studi secolari. [3]
Numerosi sono però anche gli autori che parlano di Kiddush Hashem, come Abraham ben Zacuto che nellibro Sefer Yuhasin Ha-Shalem, fa notare che in periodi di grandi catastrofi è un atto non solo permesso ma anche santo prendere la propria vita e quella dei figli per salvarli dall’essere forzati ad abbandonare la fede ebraica :[4]
Un altro rav, Yosef Yavetz,[6] esalta la pietà di coloro che preferirono la morte alla conversione, addebitando alle donne della comunità il merito di questo atto di fede. Nel libro Or HaChaim afferma che le donne avevano persuaso i loro mariti a compiere il martirio si se stessi, mentre le persone che si vantavano della fede nelle scienze filosofiche, avevano perduto il loro onore nei giorni tristi:
Ci furono poi autori che trovarono che quegli eventi terribili fossero i segnali della prossimità del tempo messianico, come lo erano stati la conquista turca di Costantinopoli del 1453 ed il viaggio di Colombo. Il tema del messianesimo divenne popolare fra gli ebrei in particolare dopo le catastrofi del 1391 e 1492, come lo era stato nel passato durante periodi di forti persecuzioni. La ricerca di spiegazioni in un quadro di questo tipo si trova non sono in opere qabbalistiche, dove si parla molto concretamente del Messia e della fine dei giorni, ma anche negli scritti di molti ebrei e conversos. Nel 1464 ad esempioJuan de Baena scriveva:
Se Dio ci favorirà noi conversos, il turco sarà in Castiglia in un anno e mezzo. Il turco è chiamato il distruttore della cristianità e il difensore della fede ebraica. [8]
Molti autori del tempo giudicarono comunque molto importante la riuscita degli ebrei spagnoli nella diaspora, riuscita da cui dipendeva di fatto la formazione di nuove comunità ebraiche.
Una traccia di come gli ebrei percepirono i riferimenti messianici può essere vista negli scritti di Isaac Abraham Akrish,[9] un ebreo spagnolo rifugiatosi a Napoli, che viaggiò per molto tempo nel mediterraneo:
Nonostante io abbia visto la lettera del Prete Gianni [10] e i viaggi di Beniamino di Tudela, e il libro di Eldad il Vanita, che sono stati stampati e il racconto del rubenita narrato nelle cronache di rav Yosef HaCohen, possiamo dire che queste sono solo invenzioni costruite per fortificare i cuori depressi [11].
Esisteva comunque fra gli autori il timore che le cronache dei terribili eventi potessero costituire opera di intrattenimento, leggère, tali da poter togliere del tempo a occupazioni migliori e più sante. Le discussioni del tempo sull’espulsione degli ebrei dalla Spagna mettono in luce che scrivere cronache era considerata cosa leggera e comuni in queste opere sono le scuse per non essersi dedicati allo studio dei testi sacri. Una spiegazione simile la dà rav Eliahu Capsali per aver scritto simili testi, invece di essersi dedicato ad attività più pie. Capsali riteneva l’ascesa degli ottomani un miracolo divino, e quindi un segno della prossima era messianica e presentava i sultani ottomani e i loro bisogni come parte del dramma storicamente umano del tempo.
Importate sottolineare il fatto che i mercanti ebrei di cui era costituita la maggior parte della comunità e a cui mancava uno studio approfondito della legge ebraica, erano più propensi a leggere opere popolari come le cronache, che i trattati del Talmud. Coloro poi che erano stati conversos avevano poca dimestichezza con tali studi, loro preclusi al tempo in cui erano vissuti nelle terre dell’inquisizione, e cercavano letture più facili. L’introduzione al libro Sefer Yosippon,[12] suggerisce che il libro avrà come lettori quei mercanti che erano immersi in un successo temporaneo, e che non erano tornati a osservare la Torah. In maniera simile, Solomon Ibn Verga nota che la sua decisione di scrivere una cronaca ebraica e della storia generale del mondo era stata ispirata dal costume cristiano di cercare di conoscere gli eventi per trarne beneficio, e per il loro chiarimento; le cronache dovevano servire come fonte di consiglio e memoria per le comunità scomparse.
I vari racconti relativi all’espulsione che circolavano nel XVI secolo dovevano aiutare quindi ad affrontare l’esilio dalla Spagna.
Il contesto generale della “Valle delle lacrime” di Yosef HaCohen, che aveva sperimentato l’espulsione in prima persona, parla dell’esilio degli ebrei dalla terra di Israele, ma il primo fine è quello di parlare del problema degli ebrei assediati nel secolo XVI. Quando HaCohen arrivò a Genova da Avignone, dovette fuggire ben presto a Novi, nel 1516, poiché gli ebrei erano stati espulsi dalla città ligure; era stato testimone di attacchi violenti contro la sua famiglia e per questo riusciva a dare consigli per tempi così difficili. Egli vedeva la chiave della sopravvivenza del popolo ebraico nel sostegno di un Re giusto, un gentile, e sosteneva apertamente il pronto arrivo della redenzione messianica, pensando che per sopravvivere gli ebrei dovessero confidare negli ebrei di corte e nelle autorità centrali che essi servivano. La vita nell’esilio era una lotta quotidiana e nella “Valle delle lacrime” vengono portati due esempi: uno riguarda gli ebrei della Savoia, che un medico ebreo aveva salvato dall’espulsione negoziando con il Duca; un altro esempio è la storia di un medico che aveva salvato la comunità ebraica di Venezia:
Notiamo che nelle cronache della fine dei secoli XV e XVI si intersecano due separati tempi di identità: la personale e la collettiva. Tipico esempio è costituito dagli scritti di Samuel Usque, [14] un converso che una volta stabilitosi a Ferrara, tornò a osservare la fede ebraica. Nel 1553 pubblicò la “consolazione per le tribù d’Israele”, dove parlava di consolazione ai conversos, e cercava di convincerli a osservare nuovamente le pratiche religiose ebraiche.
Nelle brevi elegie come nelle lunghe cronache composte in questo periodo, la storia del popolo ebraico e i molti dolori sopportati sono mescolati a tempi di sofferenza più personali. É la scelta di Abraham Ardutiel [15] che aggiunse la sua storia personale al libro di Abraham Ibn Daud, Sefer Ha-Qabbalà, scritto nel 1161, che nel secolo XV divenne un classico della letteratura ebraica spagnola. [16]
Letture sull’espulsione e tragedie personali le vediamo anche in una famosa lettera scritta da Yehuda Abravanel nel 1503, indirizzata a suo figlio di 12 anni, Isaac, che viveva in Portogallo.[17] Nella lettera Isaac ammonisce suo figlio e lo prega di vivere secondo le tradizioni della famiglia; non è dato sapere cosa sia successo dopo, se padre e figlio si riunissero, forse Isaac lasciò il Portogallo nel 1507.[18]
Cronache: rav Eliahu Capsali e l’opera Seder Eliyahu Zuta
Elijah Capsali (c. 1485–1555) nacque a Candia (adesso Iraklion), capitale di Creta. Dopo la quarta crociata, nel 1204, l’isola fu incorporata nell’Impero Veneziano, e conquistata nel 1669 dagli ottomani. Nel tempo di Capsali, Candia era il cuore prosperoso del commercio veneziano nel mediterraneo dell’Est. Gli ebrei erano segregati in un quartiere della città chiamato Giudecca e obbligati a metter un segno giallo in pubblico ma malgrado queste restrizioni discriminatorie, avevano un vantaggio rispetto ad altre comunità locali nelle colonie veneziane: le loro organizzazioni comunitarie, le istituzioni ed il capo civile della comunità ebraica di Candia, erano stati approvati dalla Repubblica Veneziana; la ragione di tale stato di cose era dovuta al fatto che i rappresentati della comunità erano responsabili per il pagamento delle tasse collettive.
Fino al 1541, la legislazione veneziana ufficialmente escludeva gli ebrei dalla partecipazione al commercio internazionale, poiché il commercio con il Levante era considerato prerogativa dei patrizi veneziani.
Nel 1541 fu garantito agli ebrei mercanti, soggetti dell’impero ottomano, il diritto di risiedere a Venezia, e gli ebrei della comunità di Creta ebbero la possibilità di partecipare al commercio regionale che non era considerato di esclusivo dominio dei cittadini veneziani. Le molte lingue parlate dagli ebrei di Creta, la conoscenza del greco, italiano, ebraico, li rese ideali per divenire gli intermediatori nel commercio con il Mediterraneo dell’Est. Le relazioni erano particolarmente strette con gli ebrei mercanti che vivevano nell’Impero Ottomano.
Capsali era venuto in contatto con la cultura italiana quando Candia era governata dai veneziani, e suo padre, Rabbi Elkanah Capsali, era stato condestabulo, rappresentante civile. Rav Elijah aveva radici greche, ma tramite la madre era legato agli Ashkenaziti Delmenigo, che malgrado risiedessero a Candia, mantenevano stretti legami con l’Italia ed erano conosciuti per la loro grande erudizione, sia negli studi talmudici che filosofici.
Nella casa di suo padre vide arrivare una parte di ebrei nel 1492-1493 subito dopo l’espulsione, ed altri dopo molteplici peregrinazioni, nel 1520.
Nel 1508 lasciò Candia per andare a Padova, dove studiò nella famosa Yeshivah di Yehuda Minz. Andato nella vicina Venezia per 8 giorni incontrò il rav Yosef Yerushalmi che cercò senza successo di convincerlo a seguirlo nella Yeshivà di Brescia. Era quello il tempo delle guerre d’Italia, che incideranno pesantemente sulla dispersione degli esiliati nel Paese e di cui Capsali parlerà in diverse opere.
All’età di 33 anni, nel 1518, divenne rav a Candia e fu nominato molte volte Condestabulo, degli ebrei per le autorità veneziane, come lo era stato il padre.
Durante la peste del 1523 dovette osservare la quarantena, le autorità gli imposero di rimanere nella sua casa per tre mesi, periodo durante il quale scrisse le cronache ottomane.
Scrittore fecondo, pubblicò fra il 1517 e 1549 diverse opere:
- Le Taqanot Qandia we-Zikhronoteia, dove deplorando la negligenza dei rabbini precedenti, classifica e raggruppa le regole della legge ebraica redatte dopo il secolo XIII. Capsali aggiunge a questa raccolta le sue decisioni, qualcuno dei suoi Responsa, diversi articoli e introduce un poema acrostico di 18 versi.[19]
Quando Capsali iniziò l’opera non è dato sapere, dato che nell’introduzione non è scritta la data, ma nell’ultima parte è scritto ottobre 1519.
- Me’ah she’arim: Prakhim be’Chinuch ha-Banim, “le cento porte”, testo sul Khavod verso i genitori e i Morim, commenti e trattati di morale, composto di 100 capitoli. Sono inseriti anche elementi autobiografici[20]
- Il libro Hasdei Ha-Shem, fra le più importanti delle sue opere storiche. Questa cronaca degli ebrei di Candia comprende 52 capitoli e copre gli anni dal 1517 al 1547. Meno conosciuta dell’opera con lo stesso nome che fa parte del Seder Eliahu Zuta, tratta della salvezza degli ebrei in Egitto.
- Ayelet Ahavim, e un certo numero di composizioni in occasione degli eventi che avevano colpito le vite degli ebrei di Candia, compreso un lamento sulle vittime della peste a Creta nel 1523.
Hebel habalim , “Vanità delle vanità”, sui beni illusori di questo mondo.[21]
- Il Zeveim Torfim Et Benyamin, weI Teshuvat Rabbi Eliahu Capsali ha-Nikret Noam wechobalim Al Chiburò shel Rabbi David Vital ‘Hatzlat ha-Roè miYad ha-Zeev’: sheBo bikhesh Laasor Le Rabbi Benyamin Bar Matatyhu mi-Arta Leorot Din, , responsum di Capsali a rav David Vital,[22] autore dell’opera Hatzlat ha-Roè miYad ha-Zeev nella quale Vital domanda che sia proibito a rav Mattatyahu di Arta [23] di insegnare la legge.[24]
Nella discussione Benyamin Ben Matatyhu mi-Artamenziona molte fonti, spiega che le donne non potevano confondere il bagno per lavarsi, con quello rituale, anche se il Miqwè era caldo:
«וכיון דעברה החששא עבר הטעם»
e avverte che le donne comunque non avrebbero dato ascolto alla proibizione. Al centro della discussione c’era David Vital, che scrisse nel libro hatzlat ha-Roè mi-Yad a-Zeev, materiale andato perduto, di proibire a rav Benyamin Bar Matatyhu mi-Arta להורות דין[25]
Eliahu Capsali appoggiò rav Mattatyahu e scrisse il libro Noam wechobalim.[26] Due erano i soggetti al centro della discussione riguardo alla Techuvà di Benyamin ben Mattatyahu: il suo basarsi su rav Hannanel contro le opinioni degli altri Poskhim e l’aver detto che se l’acqua non fosse stata calda ci sarebbe stato מכשלה גדולה אף יותר.
Capsali dà una lunga risposta al riguardo: rav Benyamin, dice, non ha detto niente che non sia nel Talmud, e ha dato la sua risposta basandosi sulle basi della legge. Contro coloro che si erano opposti a rav Benyamin quando aveva detto che rendere più severa la legge avrebbe pregiudicato le Banot Israel e le avrebbe rese meno capaci di concepire, Capsali dice:
באמת… »
באת לידי מדה זו שלא תתיר להן להשליך מים חמים במקוה, אתו לאימנועי
ממצוה ולפרוש מבעליהן לא יום ולא יומים ולא חמשה ימים ולא עשרה ימים
ולא עשרים יום אלא ימים רבים כהנה וכהנה
[…]
או יורו התר לעצמן לרחוץ בבתיהן ותאמרן לבעליהן שטבלו
במקוה… ואין לך חי נפשי יצר הרע רק רע כל היום יותר מהמקום הזה. ואין לנו
[27] «.להאריך במפורסמות
Capsali inoltre aveva visto che in molte Kheillot, l’acqua del Miqwè era scaldata con altri metodi: con pietre calde, con גחלים o con l’introduzione di acqua calda.[28]
- Kitzhat mi-Sippurei Malkhat Venezia.[29] Scritto nel 1517, Capsali analizza le ragioni per le quali gli ebrei sono andati a vivere in Italia, hanno lasciato le terre ashkenazite; racconta del modo diverso di studiare la Torà nelle comunità ebraiche.
Impressionato dalla coesistenza del mondo religioso ebraico in Italia, Capsali nell’introduzione sottolinea che intende sviluppare due soggetti: la grandezza del Regno di Venezia, le sue magnifiche cerimonie e tradizioni, la vita definita “splendida” degli ebrei ashkenaziti e la loro cultura. Descrive la vita degli ebrei nel Nord Italia e in particolare in Veneto. In maniera dettagliata illustra l’organizzazione della Yeshivà di
Yehuda Minz a Padova, la sua morte e l’elezione di Abraham Minz. Si interessa in particolare alla politica estera di Venezia, e alle sue campagne militari.Analizza le decisioni politiche e i fattori determinanti che sono stati la causa dell’ordinamento socio-politico, esamina le cause della guerra iniziata da Venezia. [30]
- Liqutim Schonim mi-Sefer debè Eliahu.
Capsali analizza le ragioni per le quali gli ebrei sono venuti in Italia, hanno lasciato le terre ashkenazite; racconta poi del modo diverso che hanno gli ebrei di studiare la Torà.[31]
La più importante delle sue opere è senza dubbio Seder Eliahu Zuta,[32] una storia dell’Impero ottomano, con referenze particolari alla storia ebraica del tempo. Nell’opera vengono anche inserite le vicende degli ebrei che lasciarono la Spagna ed il Portogallo e le loro grandi sofferenze. Il testo conta 620 pagine nella prima edizione, curata sotto la direzione del professore Meir Benayahu.[33]
I manoscritti esistenti erano in cattive condizioni e la pagina del titolo era assente, il titolo dell’opera sembrava essere stato deciso dall’autore una volta finito il lavoro. All’interno però egli dice di aver scritto Igheret Divrè ha-Yamim , “questa cronaca”, come aveva chiamato altri suoi libri, appellativo dunque di tipo generale.
Autori contemporanei del Capsali o a lui posteriori, continuarono a citare l’opera con il titolo Seder Divrè ha-Yamim, o Debè Eliahu.
La cronaca è composta da quattro libri più uno. Il primo libro, di 36 capitoli, parte dalla creazione del mondo ed arriva fino alla morte del sultano ottomano Mohamed II.
Il secondo contiene 56 capitoli: l’autore continua la storia dei sultani ottomani, in particolare quella del Regno di Bajazet II; è trattata la parte che riguarda la Spagna a partire dall’epoca precristiana, l’invasione del paese da parte degli Arabi, la simbiosi culturale e l’armonia, relativa, che c’era fra le tre religioni sotto la dominazione musulmana. I capitoli sono consacrati ai grandi nomi della letteratura e del pensiero ebraico, come Ramban, Ramban, Rashba, ed i notabili, come don Samuel Ha-Lévy. Si parla anche dell’ascendenza ebraica di Ferdinando di Aragona e del suo matrimonio orchestrato dai notabili ebrei. Seguono i capitoli dove è esaminata l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo e la loro dispersione attraverso i Paesi della costa del Mediterraneo.
Il terzo libro comprende 53 capitoli nei quali sono esposte le peripezie del Regno di Sélim e le sue guerre vittoriose, la conquista della Persia, dell’Egitto, della Siria, del Kurdistan e dell’Alta Mesopotamia. Si conclude con la morte del sultano nel 1520.
Il quarto libro è diviso in diciannove capitoli. Si racconta l’avvento di Solimano il Magnifico, le sue guerre contro l’Ungheria (1521), contro Rodi, l’occupazione dell’Azerbadjan e di Bagdad (1534), di Coron, Tunisi, Djerba e Nizza da parte dei suoi corsari .
Segue poi una serie di racconti allegorici che hanno un titolo e un numero:
- Capitolo 162: Chatan we-Khallà,”Lo sposo e la sposa, allegoria su Rodi
- Capitolo 163: Rabot banot, “Numerose sono le tue figlie”, parabola sulle dodici isole di Rodi in rivolta contro il loro governatore
- Capitolo 164: Mi wa-mi ha-Holekhim, “chi sono coloro che partono”, sulla caduta di Rodi.
- Capitolo 165 e 166, sulla contaminazione e la propagazione dell’epidemia di peste a Candia.
Il quinto libro comprende due opere minori, un’elegia e la Cronaca di Venezia.
La prima opera ha come titolo Koah ha-Shem, “La potenza di Dio”, e solleva, fra gli altri, il problema della punizione del giusto.[34]
Capsali nell’opera parla della salvezza degli ebrei in Egitto. Il soggetto gli sembra ampio e torna a trattarlo in Hasdei Hashem. In Egitto Ahmad Pasha aveva iniziato nel 1523 la rivolta contro il Sultano Soliman e le comunità ebraiche soffrivano per le persecuzioni.
Capsali scrive che Ahmad tentò di estorcere una somma enorme ad Abraham Castro, il capo degli ebrei in Egitto e direttore della zecca locale. Ahmad fu ucciso e gli ebrei non ebbero a soffrire per le vessazioni: essi ricordano nel mese di Adar 5284 gli eventi e in loro memoria fu anche scritta la Megillà Mizraym.[35]
La seconda opera, Hasdei ha-Shem, “i benefici di Dio”, è un inno di ringraziamento all’Eterno, seguito da un’eulogia di cui ogni paragrafo comincia e finisce con l’aggettivo, Tov, buono.
Segue un’elegia su quattro grandi saggi deceduti durante l’epidemia di peste a Candia, nel 1523:
Mi Kamokha, elegia e ringraziamento a Dio per la salvezza miracolosa degli ebrei di Candia il 18 Tamuz 5299 [luglio 1539].
Il poema all’origine, non si trovava se non nel manoscritto G della collezione Gaster, oggi conservato nella collezione Gaster a Londra.
Il libro La Cronaca di Venezia, è inclusa dall’autore, tranne che nel manoscritto Oxford, nel Seder Eliahu Zuta.[36] Differisce da quest’ultimo in due punti: è redatto come un diario e non è suddiviso in capitoli. Fu scritto fra il 1517 e il 1523, poiché sono citati due dogi, Antonio Grimini (1521-1523) e Andrea Gritti (a partire dal 1523), che si sono succeduti a Venezia.
I tre ricercatori, Arieh Shmuelovitz, Shlomo Simonshohn e Meir Benayahu per la loro opera hanno preso come base il manoscritto di Milano (M) della biblioteca Ambrosiana,[37] la versione essi scrivono più completa, perfetta e la più antica; la scrittura, di tipo candiota, sembra della mano di un allievo del Capsali; fu trovato nella biblioteca del Talmud Torah di Venezia da rav Abraham Lattes.
I seguenti manoscritti del Seder Eliahu Zuta, sono serviti ai tre professori per completare l’opera:
– Il manoscritto della British Library (B) di Londra,[38] per completare i
passaggi mancanti nel manoscritto di Milano.
– Il manoscritto di Oxford (A), della Bodleian Library. [39]
– Il manoscritto della collezione Gaster (G) della British Library. [40]
Il due manoscritti A e G sono serviti per permettere la correzione degli errori e l’aggiunta di frasi e parole, errori dei copiatori o passaggi lasciati in bianco. Dall’autore che riconosce di aver dimenticano il nome o il luogo di una determinata persona.
Nella Prefazione fatta dal Capsali del Seder Eliahu Zuta, possiamo leggere le motivazioni principali che lo hanno spinto a scrivere una tale opera:
– perché l’uomo possa acquisire la conoscenza e l’intelligenza ascoltando i racconti dei Re cristiani e turchi e che apprenda in particolare la saggezza del grande sultano Sélim, che non ebbe paragoni fra i re dei gentili.
– perché tutti i popoli della terra riconoscano che Dio è l’Eterno e che c’è una Divinità che esercita la giustizia sulla terra. Quando il lettore vedrà i miei racconti […] accetterà l’autorità del Regno divino e questo popolo [gli ebrei] comprenderà che gli sguardi dell’Eterno percorrono la terra, sono dappertutto, osservando i malvagi e d i buoni per retribuire ciascuno secondo le sue vie e i suoi atti […] . Vedete come l’Eterno con la sua saggezza e la sua intelligenza, ha benedetto le opere di questo popolo, i Turchi e il suo gregge. L’ha sparso sulla terra […] e l’ha benedetto. Il Turco è il bastone della sua collera, è lo strumento della sua ira vendicativa. Punirà attraverso di lui le nazioni ed i popoli. [41]
L’autore aggiunge che non avrebbe mai scritto una storia senza averne prima verificato le fonti o essersi assicurato dell’autenticità. Il racconto relativo ai sultani ottomani l’aveva raccolto dalla stessa bocca di vecchi turchi ben informati dei fatti, la storia di Costantinopoli per tre volte l’aveva sentita raccontare da suo padre che aveva vissuto nella città per molto tempo, gli eventi accaduti in Spagna l’aveva udita dagli ebrei che ne erano fuggiti ed erano stati ospitati dalla famiglia Capsali e avevano raccontato le terribili storie dell’espulsione. Aveva avuto anche un’altra fonte: un foglio su cui erano scritti la data dell’espulsione, il nome del Re e della Regina, la versione del decreto e altre informazioni. Per quanto riguarda l’Andalusia, il Signore aveva messo sul suo cammino un uomo saggio e intelligente, della nobiltà di quella terra, si trattava del rispettabile rav Yosef Ha-Levy Hakim, i cui parenti frequentavano la corte reale.
Nella prefazione Capsali scrive anche perché aveva compreso nell’opera la “saggezza straniera” (hokhmot nokhriyot), e dice che la prima ratio (Sibà) è che l’uomo che studia la saggezza e capisce le storie, ascoltando simili resoconti, guadagnerà in saggezza.
Nello spirito della storiografia medievale, sia cristiana che ebraica, l’autore pensava che lo storico dovesse insegnare ai suoi lettori ad aver timore di Dio e rafforzare la fede nella divina provvidenza (Hasgahà). Secondo Capsali la storia dei popoli non ebrei, i loro governi e guerre, erano la prova della verità dell’affermazione «c’è una giustizia divina sulla terra». Credeva che la caduta e l’ascesa degli imperi, la migrazione dei turchi e la costruzione di un impero fossero parte del disegno divino di rendere più potenti i turchi per punire la cristianità, e che gli ottomani avessero una specifica missione storica di cui Dio li aveva investiti. Questa teoria ha il suo precedente in Abraham Ibn Ezra che diceva che la cristianità (Malkhut Hedim) era il penultimo impero e che l’ultimo regno della storia del mondo sarebbe stato l’Impero islamico (Malkhut Yishmael).[42]
Negli anni in cui Capsali completò la sua opera in effetti l’Impero ottomano sembrava molto potente: aveva conquistato la maggior parte del mondo islamico e si stava espandendo nell’Europa centrale e sud orientale. Capsali però va ancora oltre quello che diceva Ibn Ezra, che aveva semplicemente identificato Malkhut Yishmael con il “quarto Regno”, senza entrare nei dettagli, poiché aveva completato il disegno sino alla redenzione messianica. rav Eliahu la campagna di Selim contro i Mamluk la vede come un preludio della riunione degli esiliati e la venuta del Messia. Facendo una connessione fra la conquista ottomana della Siria–Palestina e il Gherush Sefarad, interpreta l’espansione del potere ottomano in Medio Oriente come la pavimentazione della strada per il rimpatrio degli ebrei nella Terra di Israele.
Nei capitoli relativi al regno di Bayazid II (1481-1512), contemporaneo dell’espulsione dalla Spagna, nella parte che riguarda la storia degli ebrei iberici, Capsali afferma di avere una copia dell’originale editto di espulsione, firmato dal Re Ferdinando di Aragona e dalla Regina Isabella di Castiglia. Il testo riportato dal Capsali è però così diverso dalla versione originale spagnola conosciuta da ritenere che non abbia avuto accesso a qualsiasi documento ufficiale. L’informazione in suo possesso è probabilmente basata in parte sulle opere di Abravanel, e in parte sulle storie orali dei rifugiati che aveva conosciuto e ai quali aveva prestato aiuto.[43]
Inserendo questa storia all’interno della descrizione del Regno di Bayazid II, egli crea l’impressione che espulsione e Regno ottomano siano direttamente legati l’una all’altra.[44] Il collegamento fra espulsione e Regno di Bayazid II, è esteso anche alla conquista della Siria-Palestina da parte di Selim I, fatto che favorì il ritorno degli ebrei nella terra di Israele.[45]
La lingua del Seder Eliyahu Zuta, è l’ebraico classico, con innumerevoli riferimenti biblici e alla letteratura rabbinica, apparentemente quindi il suo lettore doveva essere un ebreo osservante.
[1] La prefazione di Emek HaBakà , è letta a voce alta nel giorno Tisha Be’Av
[2] Yosef HaCohen, Emek HaBakà: Historia Persecutionum Judeorum, Cravovie, Verlag v. Faust’s Buchlandlung 1895, p. 10. Pdf, http://www.hebrewbooks.org/46696, p. 16.
[3] Anche Solomon Ibn Verga mise in evidenza la mancanza di solidarietà e l’egoismo di coloro che si preoccupavano solo del proprio dolore e non vedevano quello degli altri.
[4] A. Zacuto, Sefer Yuhasin Ha-Shalem, 51a-b.
[5] Id., 51a-b.
[6] rav Yosef Yavetz nacque a Lisbona, in Portogallo, intorno al 1439, e morì nel 1507. Fuggì in Italia nel 1492, dopo Napoli e Ferrara, si stabilì a Mantova. Tra le sue opere Or HaChaim.
[7] Yosef Yavetz, Or HaChaim Zhovkva, S. Meyerhoffer 1848, p. 93.
http://www.hebrewbooks.org/37068 (consultato il 13/7/2016)
[8] Yitzhak Baer, Die Juden im christilichen Spanien, vol 2, no. 399, the trial of Juan Pineda (alias Juan de Baena). In: J. Ray, After expulsion, cit.
[9] Isaac B. Abraham Akrish, nacque in Spagna nel 1489 circa e morì dopo il 1578. Si stabilì a Napoli dopo il 1492 ma fu costretto a fuggire nel 1495. Si interessò in particolare a salvare i manoscritti dalla distruzione. Nel 1548 in Egitto fu assunto da David ben Solomon ibn Abi Zimra, a capo degli ebrei egiziani. Nel 1554 mentre era in viaggio per Candia, i suoi libri furono confiscati dalle autorità veneziane a causa del recente editto contro il Talmud. Una volta riuscito a salvare i suoi libri andò a Costantinopoli e nel 1562 tornò in Egitto. Anni dopo tornò a Costantinopoli, dove Don Yosef ha-Nasi lo assunse come scriba per copiare i manoscritti. Nel 1569 un incendio distrusse la maggior parte dei suoi libri. Lasciò Costantinopoli per Kastoria dove per anni visse in povertà. Tre delle sue opere furono pubblicati a Costantinopoli fra il 1575 e il 1578. Parte dei suoi scritti: Akrish Izchak ben Abraham, Maasè bet David be’Yamè malkhut Paras, Kraków, 1595; Qol Mevaser, Saloniki, tip. Sa’adi ha-Leṿi Ashkenazi, 1851:Il libro parla del Regno ebraico durante l’esilio, contiene la corrispondenza di Chasdai ben-Isaac con Yusuf, il re Dei Khuzari.
[10] Leggendario monarca dell’Oriente cristiano che appare nelle tradizioni storico-geografiche del Medioevo. Il suo nome ha varie forme: in latino Presbyter Iohannes, Prester Iohannes; in italiano Prete Gianni. Nella tradizione medievale le sue caratteristiche sono: la professione della religione cristiana (pur non essendo cattolico desidera studiare la dottrina della Chiesa Romana), la sua grande ricchezza, il fatto che il suo paese si trovi agli estremi del mondo, l’inimicizia con i musulmani. Il Prete Gianni divenne molto popolare durante il medioevo, tanto che, secondo i poemi del ciclo bretone, il Santo Graal sarebbe stato trasportato proprio nel suo regno. La lettera, pervenuta nella seconda parte del secolo XII in occidente, raccontava come nel lontano est, al di là delle regioni occupate dai musulmani, al di là di quelle terre che i crociati avevano cercato di sottrarre al dominio degli infedeli, ma che al loro dominio erano tornate, fioriva un regno cristiano, governato da un favoloso Prete Gianni, o Presbyter Johannes, re potentia et virtute dei et domini nostri Iesu Christi.
Tradotta e parafrasata più volte nel corso dei secoli seguenti, sino al Seicento, e in varie lingue e versioni, la lettera ha avuto una importanza decisiva per l’espansione dell’Occidente cristiano verso Oriente Per la lettera al Prete Gianni Cfr.: http://www.accademiajr.it/bibvirt/giannitxt.html (consultato il 5/7/2016).
[11] Abraham Gross, The Ten Tribes and the Kingdom of Prester John: rumors and Investigations, before and after the Expulsion from Spain, [in Hebrew], «Pe’amim» 48 (1991), p. 5-41. In Ray J, After expulsion, cit. P. 147
[12] Sefer Yosippon, di un autore anonimo. Opera storico-cronachistica che descrive le genealogie dei popoli della terra a partire da Adamo, le storie di Roma , della Grecia, di Babilonia e la storia del popolo d’Israele dal 539 a.e.v., fino alla distruzione del secondo Tempio. Probabilmente scritto nell’Italia meridionale, l’autore ha adattato in chiave midrashica i motivi della cronachistica latina medievale al genere storiografico-cronologico giù attestato nella Bibbia, nell’antina Grecia e diffuso nell’impero d’Oriente. Cfr. D. Flusser (a cura di), The Jossippon, Mosad Bialik, Jerusalem 1980-1981; Alfredo Toaff, Cronaca ebraica del Sepher Yosephon , Barulli, Roma 1969. Il libro finisce con la narrazione della caduta di Masada.
[13] rav Yosef ben Yehoshua HaCohen, Les chroniques juives, cit, pp. 163-164. Nella versione ebraica: Yosef benYehoshua HaCohen, Emek HaBakà, cit., pp. 153-154. Reperibile on-line:
http://www.hebrewbooks.org/46696, Pdf. pp. 160-161.
[14] Samuel Usque,( Lisbona 1500 c-1555, morto in Italia o nella terra di Israele). Era un converso che dopo diversi viaggi si stabilì a Ferrara, tornando a osservare la fede ebraica. Nel 1553 terminò l’opera “Consolazione per le tribolazioni di Israele”,scritta in lingua portoghese. Usque faceva parte di una famiglia che dalla Spagna si era rifugiata in Portogallo nel 1492. Il messaggio che voleva dare nel libro era di consolare gli ebrei ricordando che nonostante tutti i dolori sopportati per secoli, essi erano ancora ancorati alla propria fede e aspettavano la redenzione.
[15] Abraham ben Salomon Ardutiel o Torrutiel, vedere nota precedente.
[16] Ibn Daud, Abraham ben David Halevi, conosciuto come Rabad I;astronomo, storico e filosofo. Nato a Cordova, Spagna, intorno al 1110, morto a Toledo, come martire, nel 1180. Nel 1161 scrisse Sefer ha-Qabbalà, in cui attacca i Caraiti, e giustifica l’ebraismo rabbinico.
[17] Yehudà Abravanel, noto come Leone Ebreo. Nato a Lisbona nel 1460 e morto a Napoli nel 1530 circa. Filosofo, poeta. Famosa la sua opera, scritta in ebraica, Dialoghi d’Amore, pubblicati a Roma nel 1535.
[18] Ray Jonathan, After expulsion, cit..
[19] Eliahu Capsali, Takhanot Kandia We-Zikhroboteia [Statuta iudaeorum candiae: eorumque memorabilia], Elia Samuel Artom, Umberto Cassuto (a cura di), Yerushalaym, Mekhtzè Nirdamim, 1943. Reperibile on-line: http://hebrewbooks.org/37010.
[20] Eliahu Capsali, Me’ah she’arim: Prakhim be’Chinuch ha-Banim, Shoshana Braham ben Zevulum (Ed.), Wickliffe, Oh, 2015.
[21] Cfr. L. Weinberger, Jewish Poets in Crete, Cincinnati, OH, 1985, pp. 176-8. (Hebrew)
[22] David ben Solomon Vital, chiamato ha-Rofé, anche se non era un medico. Nato prima del 1492 a Toledo oppure nel Sud Italia in Calabria, ma originario della Spagna. Si stabilì nella città greca di Patras, ma nel 1532 andò a vivere ad Arta con la maggior parte degli ebrei perché durante la guerra turco-veneziana (1532), la comunità di Patras era stata seriamente colpita, la casa di Vital distrutta e la sua biblioteca perduta completamente. Nel 1534 firmò, con i rabbini locali, delle takhanot per conservare l’ordine e la modestia nella città. Morì forse nel 1536.
[23] Rabbi Benyamin ben Matityahu , conosciuto con il nome di Rabbi Benyamin Zeev mi-Arta (ca.1475 ca.- 1539), era un rav Turco-greco, posekh Halachà conosciuto nel suo tempo soprattutto per il libro di Shu“t Benyamin Zeev.
Probabilmente nacque in Grecia, ad Arta nel 1475. Ebbe un legame speciale con le comunità ebraiche in Italia e per un certo periodo visse a Venezia. In diversi casi, dove altri Posikhim decidevano di proibire, lui permetteva, per questo molti Chakhamim chiesero di proibirgli decisioni riguardo la Halachà.
Quando fu severamente criticato dai Rabbini perché era stato troppo permissivo nei confronti di una decisione relativa ad una agunà, scrisse la sua replica nel libro Binyamin Zeev, che contiene 450 decisioni e responsa, completato a Venezia nel 1534 e pubblicato 5 anni dopo. L’opera è una fonte importante per la conoscenza dlele condizioni religiose ed economiche degli ebrei che vivevano in Grecia, Turchia e Asia Minore. Benyamin Zeev ben Mattathias di Arta, Sefer Sheelot we-Teshovot Benyamin Zeev, Yerushalayim, Yosef Dov Steizberg 1959
[24] Eliahu Capsali, Zeveim Torfim Et Benyamin, weI Teshuvat Rabbi Eliahu Capsali ha-Nikret Noam wechobalim Al Chiburò shel Rabbi David Vital ‘Hatzlat ha-Roè miYad ha-Zeev’: sheBo bikhesh Laasor Le Rabbi Benyamin Bar Matatyhu mi-Arta Leorot Din, Meir Benayahu (Ed.), Tel Aviv, ha-Makhon le-chekher ha-Tefutzot, Univerisitat Tel Aviv 1990. Reperibile on-line: http://www.otzar.org/wotzar/book.aspx?84107
[25] Cfr. sulla comunità di Arta Leah Borenstein Makobetzki, Haim we-Chevrà be’Qeillat Arata be’Meò ha-Shes-Esrè, «Paamin» 45 (1991), pp. 126-155.
[26] Nel libro Eliahu Capsali, Zeveim Torfim Et Benyamin […] Benayahu (Ed.), cit., l’argomento è trattato nelle pagine 26-32 e 120-145.
[27] Id. pp. 140-141.
[28] Cfr. Evyatar Marienberg, Women, Men, and Cold Water:The Debate over the Heating of Jewish Ritual Baths from the Middle Ages to Our Own Time, JSIJ, 12 (2013), pp. 1-37,(Hebrew). L’articolo è reperibile anche on-line: http://www.biu.ac.il/JS/JSIJ/12-2013/Marienberg.pdf
[29] Eliahu Capsali, Kitzhat mi-Sippurei Malkhat Venezia, London, British Library Or. 10713, Gaster 926, secolo XVI, (Manoscritto).
[30] La Lega di Cambrai,, un’alleanza stretta nel 1508 fra l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Luigi XII di Francia, papa Giulio II e Ferdinando il Cattolico re d’Aragona per contrastare le mire espansionistiche di Venezia. Il dominio dei Veneziani, dopo vane trattative, colpiti dal papa con interdetto e scomunica e sconfitti dai Francesi ad Agnadello, parve crollare. Ma Giulio II, riavute le sue terre e timoroso di un’espansione francese, pose fine alla Lega di C., formando con Venezia e Spagna la Lega Santa (1511).
[31] Eliahu Capsali, Liqutim Schonim mi-Sefer debè Eliahu. Moses Lattes (a cura di), Padova, Crescini tip.1869.
Altra Edizione: Eliahu Capsali, Liqutim Schonim mi-Sefer debè Eliahu. Moses Lattes (a cura di), Yerushalayim 1968.
[32] Letteralmente il titolo significa: cronologia di Elyahu il piccolo.
[33] L’opera è stata pubblicata in due volumi, il primo conta 409 pagine, il secondo è stato trascritto da parte di Arieh Shmuelovitz, mentre i commenti che riguardano l’impero Ottomano, e il racconto degli ebrei in Spagna e a Venezia sono di Shlomo Simonshohn e di Meir Benayahu. L’edizione è dell’Istituto Yad Ben Zvi, dell’Università di Gerusalemme e di quella di Tel Aviv; il primo volume è stato pubblicato nel 1975, il secondo nel 1977. Un terzo volume che contiene l’esame dettagliato del Seder Eliahu Zuta, curato da tutti e tre gli autori, è stato pubblicato nel 1983
[34] Eliahu Capsali Khoach Hashem, The British Library London England Or. 10713, Moses Gaster 926, London, secolo XVI (Manoscritto).
Koach Hashem è inserito nell’edizione Shmuelevitz, Aryeh; Simonsohn, Shlomo ; Benayahu, Meir.
[35] Durante il regno di Solimano il Magnifico, nel 1523 Ahmed Pasha divenne viceré d’Egitto. Nel 1524 dichiarò se stesso sultano e costruì un’armata privata; per finanziare la rivolta, furono confiscate a ebrei e cristiani molte proprietà. Ahmad aveva chiesto che le monete locali avessero il suo nome al posto di quello del Sultano. Abraham de Castro, capo della zecca, a cui era pervenuto l’ordine, chiese che fosse messo per iscritto, e portò la richiesta a Costantinopoli per mostrarla al sultano Suleiman. Compreso di esser stato denunciato, Ahmed decise di vendicarsi di Castro e della comunità ebraica in generale. Ordinò dunque agli ebrei del Cairo di raccogliere un’enorme somma di denaro e nel caso di mancata consegna avrebbe ucciso gli ebrei. Essi decisero di digiunare e portarono al segretario una somma inferiore a quella richiesta. Questi rispose che il denaro era insufficiente e che Ahmed Pasha non avrebbe avuto altra scelta se non quella di punire gli ebrei. In quel momento Ahmed uscì dal bagno e fu attaccato da un gruppo di soldati, riuscì a salvarsi ma fu catturato e decapitato.
[36] London, British Museum, Add. 19.971.
[37] Milano, Biblioteca Ambrosiana, X 110 sup.
[38] London, British Museum, Add. 19.971 (G. Margoliouth. Catalogue of the Hebrew and Samaritan Manuscripts in the British Museum (London, 1915), part 3, no.1059).
[39] Oxford, Bodleian Library, Opp. Add.
[40] London, British Museum, Gaster Collection, Ms. Or. 10.713.
[41] Vedere Seder Eliahu Zuta, I volume, prefazione, p. 10
[42] La successione dei quattro Regni è prevista in Daniele e adattata ai tempi moderni. Nel capitolo II Daniele scioglie l’enigma del sogno di Nabuccodonosor, rappresentato dalla celebre statua con il capo d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi di ferro e argilla.
Daniel 2:43.
די (וְדִי) חֲזַיְתָ, פַּרְזְלָא מְעָרַב בַּחֲסַף טִינָא—מִתְעָרְבִין לֶהֱוֹן בִּזְרַע אֲנָשָׁא, וְלָא–לֶהֱוֹן דָּבְקִין דְּנָה עִם–דְּנָה; הֵא–כְדִי פַרְזְלָא, לָא מִתְעָרַב עִם–חַסְפָּא
וּבְיוֹמֵיהוֹן דִּי מַלְכַיָּא אִנּוּן, יְקִים אֱלָהּ שְׁמַיָּא מַלְכוּ דִּי לְעָלְמִין לָא תִתְחַבַּל, וּמַלְכוּתָה, לְעַם אָחֳרָן לָא תִשְׁתְּבִק; תַּדִּק וְתָסֵיף כָּל–אִלֵּין מַלְכְוָתָא, וְהִיא תְּקוּם לְעָלְמַיָּא
כָּל–קֳבֵל דִּי–חֲזַיְתָ דִּי מִטּוּרָא אִתְגְּזֶרֶת אֶבֶן דִּי–לָא בִידַיִן, וְהַדֵּקֶת פַּרְזְלָא נְחָשָׁא חַסְפָּא כַּסְפָּא וְדַהֲבָא—אֱלָהּ רַב הוֹדַע לְמַלְכָּא, מָה דִּי לֶהֱוֵא אַחֲרֵי דְנָה; וְיַצִּיב חֶלְמָא, וּמְהֵימַן פִּשְׁרֵהּ
[43] Cfr. Charles Berlin , A Sixteenth-Century Hebrew Chronicle of the Ottoman Empire: The Seder Eliyahu Zuta of Elijah Capsali and Its Message, in Studies in Jewish Bibliography, History and Literature in Honor of I. Edward Kiev, Charles Berlin (Ed.), New York, 1971, pp. 21-44.
[44] L’autore afferma che Bayazid II esplicitamente invitava ebrei a insediarsi nel suo Regno, ma non ci sono arrivati documenti che lo provino.
[45] Jacobs Martin, Exposed to All the Currents of the Mediterranean: a Sixteenth -Century Venetian Rabbi on Muslim History, «AJS Review» 29, (2005), pp. 33-60.
http://journals.cambridge.org/abstract_S0364009405000024 (consultato il 4/11/2015).