Durante il lock-down noi giudichiamo gli ultraortodossi per aver messo in pratica quello che altri ebrei in realtà predicano
Shaul Magid
Ad una conferenza accademica alcuni anni fa ho ascoltato la seguente barzelletta raccontata dal filosofo Slavoj Zizek: Uno studente andò a casa del suo professore di filosofia per una visita. Mentre bussava alla porta d’ingresso, notò che c’era un ferro di cavallo appeso sopra il frontespizio. Quando il professore andò ad aprire, lo studente gli disse: “Caro professore, perché ha un ferro di cavallo appeso sopra la sua porta? Tutto ciò che ci ha insegnato sembra intendere che credere in queste cose sia senza senso.” Il professore rispose: “Oh sì, di certo non credo in nulla di simile. Ma pare che funzioni anche se non ci credi.“
Ho pensato a questa barzelletta mentre leggevo i numerosi saggi relativi alle reazioni al coronavirus degli ebrei charedi, od ultra-ortodossi. Sono stati fatti molti tentativi per cercare di capire, e spesso criticare, la mancanza di senso pratico da parte della comunità charedi nel chiudere le yeshivot, mettere in atto il distanziamento tra persone e prestare ascolto ai consigli medici. Sono state fornite molte ragioni per cui ciò sia avvenuto, alcune più convincenti di altre. Alcuni attribuiscono le loro azioni a sottese credenze nel carattere protettivo dello studio della Torà, altri alla forte propensione al culto religioso collettivo. Spesso troviamo commenti, spesso provenienti da ambienti modern orthodox, che queste credenze siano così radicate nel mondo charedi al punto da avere minato la loro capacità di tener conto della scienza. Altri sostengono che la mancanza di educazione scientifica degli charedim li ha resi impreparati a comprendere cosa fosse in gioco.
Un certo atteggiamento cinico è alla base di alcune di queste accuse, come a voler suggerire che gli ebrei charedi abbiano in qualche modo mal interpretato o frainteso l’ebraismo normativo in modi che li hanno condotti a mettere in pericolo le loro comunità. Ma ciò che trovo più convincente come spiegazione è una innata sfiducia nella capacità delle autorità civili di valutare quando un pericolo sia così estremo da obbligare a interrompere le attività religiose. Gli charedim sono certamente consapevoli che il pericolo richiede prevenzione e distanziamento. Ecco un esempio. Il rabbino Moshe Schick (1807-1879), noto come MaHaRaM Shick, fu una delle più venerate autorità halachiche charedi della sua generazione. Nel mezzo di un lungo responsum ha scritto:
... anche relativamente alle cose legate al corpo (שייך לגוף), è vietato andare sotto un ponte instabile o un muro sbilenco, ed a maggior ragione così in qualsiasi luogo pericoloso per quanto riguarda l’anima (שייך לנפש), come insegna la Torà, “Proteggi te stesso e proteggi la tua anima.” (Deuteronomio 4: 9)[1]. Poiché la legge proibisce di andare in un posto che potrebbe mettere in pericolo il proprio corpo, scopriamo anche che è vietato andare in qualsiasi luogo in cui vi sia pericolo [più in generale], poiché la Torà non insegna forse: “Non si trovi sangue nella tua casa[2].” (Deuteronomio 22: 8) …
Gli charedim sono certamente consci di dover evitare il pericolo. La questione riguarda piuttosto l’autorità: chi abbia titolo per determinare il pericolo e chi per decidere quali attività devono cessare in base a ciò.
Ma ciò che è stato meno esaminato è più in generale in che misura questa terribile situazione metta a nudo alcune spaccature esistenti nelle moderne versioni dell’ebraismo. Essa rende evidente ciò che tutti sapevamo, e cioè che molti ebrei che rivendicano fedeltà alla legge e alla pratica ebraica, così come esse sono radicate nella tradizione testuale, hanno anche assimilato completamente l’idea dell’Illuminismo che la scienza o la conoscenza scientifica costituiscano la rappresentazione più accurata della realtà – persino, o soprattutto, quando è in conflitto con le credenze religiose. È certamente vero che i leader charedi hanno giudicato male questa pandemia ed i membri delle loro comunità hanno pagato un prezzo elevato. Tuttavia, gli charedim sono stati “negligenti” in parte perché in realtà hanno preso sul serio le credenze religiose che molti ebrei tradizionali sostengono di avere. In altre parole: loro ci credono per davvero!
La nozione di reciprocità pattuale, secondo cui le nostre azioni sono una risposta a un comandamento divino che evocherà la misericordia divina, scorre lungo la spina dorsale dell’intera tradizione. Non suggerisce che le mitzvot ci proteggeranno sempre come se fossero una formula magica; sappiamo che non è così, come insegnano, in qualche modo cinicamente, i saggi: “non ci sono premi per le mitzvot in questo mondo“. Ma questa equazione è probabilmente il sistema operativo stesso dell’ebraismo. Altre comunità ebraiche che si impegnano ad essere fedeli alla tradizione sono ben consapevoli di questi precetti rabbinici e di questa idea. Ma in realtà non ci credono davvero, non quando messe di fronte all’evidenza contraria scientifica. E cosa dice esattamente ciò a proposito della “fede” dell’ebreo moderno?
Ora è certamente vero che il precetto rabbinico relativo una situazione pericolosa per la vita (Pikuach Nefesh) annulla tutti gli obblighi, e gli charedim lo sanno tanto quanto gli ebrei non charedi. Ma quando esattamente la pandemia abbia reso il pikuah nefesh halachicamente obbligatorio è una questione sulla quale ci può ben essere dibattito. Pikuah nefesh non è una categoria halachica facilmente utilizzabile su di un’intera popolazione e gli effetti di ciò sono di vasta portata. In uno stato di Pikuah Nefesh, si può mangiare cibo non kasher, profanare lo Sabbath e mangiare a Yom Kippur. C’è la famosa storia del rabbino Israel Salanter (1809-1883), il fondatore del moderno movimento Musar che fece il Kiddush in sinagoga a Yom Kippur durante un’epidemia di colera (la storia è raccontata da Baruch Epstein, in Mekor Baruch 2:11). C’è qualche dubbio sul fatto che abbia effettivamente fatto il Kiddush nella sua sinagoga, ma il fatto che abbia mangiato in pubblico per incoraggiare i membri della sua comunità a fare lo stesso è ampiamente riconosciuto. Ma questo ragionamento non è certamente applicabile alla situazione attuale del lock-down.
Per l’ebreo che professa fede nella tradizione e anche nella scienza secolare, la minaccia del coronavirus ha contribuito a illuminare esattamente dove si pone il suo accento. In un recente saggio su questo argomento: “Il Corona Virus è un campanello d’allarme per ebrei ultra-ortodossi“, il rabbino-eroe modern orthodox Irving “Yitz” Greenberg afferma che la “teologia [degli charedim] è confutata dai fatti“. Ma come fanno i “fatti” a confutare una teologia? O a supportarla? Continua: “La seconda grave errata interpretazione nella teologia charedi è di vedere la malattia e le catastrofi naturali come punizione divina per i peccati invece che come fenomeni naturali“. Naturalmente, quella “teologia” non è esclusivamente “charedi”, ma scorre attraverso la maggior parte della tradizione canonica, compresa la nostra liturgia (ad esempio, “a causa dei nostri peccati, siamo stati esiliati“).
Inoltre, Greenberg attribuisce l’inerzia charedi alla credenza nella “magia”. Scrive: “La magia afferma che attraverso certe parole o azioni – in questo caso, la fede / i comportamenti religiosi – Dio è ‘costretto’ a fare ciò che il praticante vuole. … La Torà considera la magia come disgustosa.” Questo è vero, ma non è esattamente quanto era in questione con gli charedim. Quando si dice che lo studio della Torà protegge l’ebreo, non si sta dicendo che “costringe” Dio a proteggerli dai pericoli. Piuttosto, suggerisce che fare la volontà di Dio serve a rafforzare un legame di alleanza tra Dio e Israele che merita protezione divina. Questa supposizione può essere trovata in migliaia di fonti canoniche. Non c’è nulla di intrinsecamente mistico o magico al riguardo. Greenberg accusa la comunità charedi di impegnarsi in ciò che lui chiama “magia” tramite il fatto di credere (letteralmente), ed agire di conseguenza, sulla base di ciò che i saggi hanno detto a proposito della natura protettiva del mitzvot.
Considerate che gli ebrei recitano spesso i Salmi in tempi di pericolo. È solo per calmare i nostri nervi o crediamo che possa essere, in qualche modo reale, efficace? Se il caso fosse quest’ultimo, sarebbe “magia”? Il fatto che le moderne comunità ortodosse e altre comunità ebraiche abbiano cessato rapidamente di studiare la Torà in forma pubblica, abbiano chiuse le scuole ed invece si siano riparati è stato davvero intelligente e corretto. Ma il fatto che non ci sia stata molta considerazione, per quanto ne so, sull’insegnamento rabbinico e sull’efficacia del mitzvot dice anche qualcosa sui modi con i quali queste comunità navigano tra tradizione e modernità. Sembra chiaro che, quando la scienza batte la pratica religiosa, crediamo che nella scienza. Non c’è nient’altro da dire. Gli charedim, d’altra parte, credono veramente a questi precetti religiosi e quindi sono stati più lenti a concedere in questa circostanza – con risultati tragici.
Ma forse noi scartiamo la risposta charedi troppo in fretta. Cosa dice tutto ciò sulla nostra relazione con la tradizione?
Se si trattasse solo del fatto che comunità ebraiche moderne tengono conto della loro fiducia nella scienza prima che nella religione, qui non ci sarebbe nulla di così nuovo o interessante. Ma la storia non finisce qui. La complessità di modernità ed ebraismo, e religione in generale, è composta di un altro importante strato. Le moderne comunità tradizionali spesso selezionano e scelgono cosa credere e cosa non credere, cosa prendere sul serio e cosa scartare, a volte in modi molto più vicini alla “magia” di quanto non lo sia la convinzione che lo studio della Torà ti protegga dal pericolo.
Ad esempio, quando un noto cabalista israeliano di nome Ben Tov, che sosteneva di essere in grado di vedere la radice dell’anima di chiunque leggendo la sua mezuzà, visitò New York all’inizio degli anni 2000, dozzine, persino centinaia, di ebrei modern orthodox si misero in coda nell’Upper West Side, a Manhattan, mezuzot alla mano. E quando una moderna coppia ortodossa che conosco ha avuto un incendio in casa, la prima cosa che hanno fatto in seguito è stata quella di controllare le proprie mezuzot. Volevano vedere se mezuzot non kasher potessero spiegare la loro sventura.
Per l’ebreo che professa fede nella tradizione e anche nella scienza secolare, la minaccia del coronavirus ha contribuito a illuminare dove si concentri la sua enfasi.
La mezuzà è un buon esempio, perché il grande codificatore legale Maimonide chiarisce abbastanza bene quanto facilmente la mezuzà possa essere trattata dal suo proprietario come un amuleto, cioè qualcosa che proteggerà la tua casa dai danni. Dopotutto, una fonte offerta come appoggio testuale per la mezuzà è il sangue sugli stipiti delle case Israelite in Egitto per proteggerli dalla morte dei primogeniti. Per Maimonide, tuttavia, l’unico scopo della mezuzà è di essere un promemoria della presenza divina. Qualsiasi altra cosa rasenta la “magia”. Ma, naturalmente, gran parte della tradizione successiva, certamente influenzata dalla Cabbala, sostiene che la mezuzà ha, in effetti, un potere protettivo (“magico”) e quindi dovrebbe essere controllata se calamità colpisce. Non sono certo solo gli charedim a crederlo (vedi “Le leggi dell’idolatria” di Maimonide 11:12 e Guida dei perplessi 1:61).
Inoltre, quanti ebrei ortodossi moderni viaggiano per ricevere una benedizione da un cabalista in Israele o hanno ricevuto un dollaro dal rebbe Lubavitcher, che è stato poi salvato come amuleto (segulà)? Ricordo molti dei miei amici in Israele, religiosi e laici, che avevano una bottiglia d’acqua benedetta dal famoso cabalista israeliano Yitzhak Kaduri (1898-2006) nascosto nel loro frigorifero con l’etichetta “non bere”. Quanti fanno il viaggio verso la tomba del saggio del I secolo Yonatan ben Uziel, ad Amuka in Galilea, per pregare per un’anima gemella? O infilano biglietti nelle crepe del Kotel? Sebbene non ci sia nulla di male in questo comportamento, è un ebraismo del tipo “non può far male”, o forse un ebraismo popolare. Forse questi ebrei non credono davvero che sarà efficace ma, come il “professore” di Zizek, forse pensano che funzioni anche se non ci credi.
Ma che succede se ci credi davvero?
Il mio punto è che mentre gli charedim possono essere esemplari di ciò che lo studioso di religione Bruce Lincoln chiama massimalismo religioso, altri ebrei tradizionali possono essere esemplari di minimalismo religioso. Tale minimalismo, tuttavia, non è coerente: include una incredulità di tipo “non può far male”, quello che possiamo forse chiamare “ferro di cavallo di Zizek”. Se abbiamo un disturbo, andiamo da un medico e poi, a volte, potremmo ricevere una benedizione da un cabalista. Il primo è necessario e la seconda è una specie di “hai-visto-mai-ismo”.
Per l’ebreo charedi, tuttavia, entrambi potrebbero essere necessari, forse in misura uguale. Molti ebrei tradizionali moderni studiano passaggi talmudici che sostengono la posizione degli charedi, ma quando il mondo secolare – in questo caso, la scienza – interviene, quelle visioni cedono il passo rapidamente. Perché? Bene, in parte perché sanno che quegli insegnamenti non dovrebbero essere presi alla lettera. Ma allora come possiamo determinare cosa dovremmo prendere alla lettera e cosa non dovremmo?
Questo potrebbe essere un momento adatto per esaminare il nostro minimalismo religioso. Molti di noi professano fedeltà a una tradizione che ci insegna cose in cui semplicemente non crediamo, ma non siamo ancora pronti ad ammetterlo. Quando William James chiese a uno scolaretto di Cambridge, nel Massachusetts, se sapeva cosa fosse la religione, il ragazzo rispose: “Certo, credere in qualcosa che sai non essere vero.” Quando la scienza interviene nella nostra orbita religiosa, scegliamo senza bisogno di rifletterci la scienza senza pensare molto a ciò che rappresenta quella scelta. Di fronte a COVID-19, ovviamente, questa era la scelta giusta, ma non dovrebbe anche dirci qualcosa sulla nostra fede? Lo scolaro di Cambridge aveva ragione?
Penso che la tesi di Peter Berger nel suo The Sacred Canopy possa essere illuminante su questo punto. Sulla secolarizzazione e sul problema della plausibilità, Berger scrive:
Detto in altri termini, la secolarizzazione ha provocato un crollo diffuso della plausibilità delle definizioni religiose tradizionali della realtà … In altre parole, il fenomeno chiamato “pluralismo” è un correlato strutturale sociale della secolarizzazione della coscienza … diversi strati della società moderna sono stati influenzati dalla secolarizzazione in modo diverso in termini di vicinanza o distanza da questi processi.
Per molti di noi, le nostre vite religiose esistono sotto il baldacchino del secolare, una visione della realtà che ha in qualche modo minato la plausibilità della religione intesa come cornice di come definiamo il mondo. Come diceva Krister Stendahl, professore della Harvard Divinity School e vescovo di Stoccolma, “La religione è una cosa molto pericolosa“. Soprattutto se ci credi. E così, quando le cose sono in gioco, scegliamo la scienza e denigriamo chiunque rifiuta, o è lento, di seguire l’esempio.
L’ambiguità, il dubbio o lo scetticismo sono al centro dell’esperienza religiosa moderna più in generale e dell’esperienza ebraica moderna in particolare. Ciò non riguarda solo la fede (ad esempio: “credo davvero nei principi che la tradizione impone come vera?“), ma nella natura stessa dell’interpretazione dei testi canonici. Su questo, il filosofo David Tracy scrive, in Plurality and ambiguity: “come hanno sempre riconosciuto i grandi interpreti, i classici non saranno facilmente domati. Potremmo rischiare di identificarci con loro solo al prezzo di trovare la nostra attuale identità di sé annullata.” Ciò può risalire ai dibattiti sul “fatto contro la virtù” nel primo Illuminismo. Cosa possiamo veramente sapere della religione in relazione alla verità?
Ci sono pochi tradizionalisti contemporanei che hanno capito la profondità dell’ambiguità e dello scetticismo nel giudaismo meglio di Joseph Soloveitchik, pioniere dell’ortodossia moderna. Tuttavia, mentre il suo ebraismo rimane influente, il motore interno di ambiguità, dubbi e scetticismo che sta alla sua base sembra essere in gran parte scomparso. Un amico ed una volta studente di Soloveitchik, Fred Sommers, una volta mi disse di aver detto a Soloveitchik a metà degli anni ’40, “Ho dei dubbi sull’esistenza di Dio“, a cui Soloveitchik, mettendo il braccio attorno al suo giovane studente, rispose: “Fred, intellettualmente è circa 50-50 … Ma noi dobbiamo crederci.” Fred lasciò l’Ortodossia negli anni ’50 per diventare un famoso filosofo analitico. Soloveitchik evitò in gran parte di soccombere all’attrazione delle irrazionalità che ai suoi tempi erano già diventate piuttosto normative, anche nella sua comunità. C’è una storia in cui uno studente una volta gli si avvicinò e gli disse: “Rabbi Soloveitchik, vorrei che tu mi dessi una benedizione“, a cui il Rav rispose: “Perché, sei una mela?“
Gli charedim, o almeno alcuni di essi, vivono in un’orbita spirituale diversa. Prendono i saggi alla lettera. Ricevono benedizioni perché credono che funzionino. Studiano la Torà perché credono che funzioni. Quando discutono in Israele che lo studio della Torà protegge Israele e quindi dovrebbero essere esentati dal servizio militare, noi guardiamo con aria interrogativa. Siamo cinici. Non crediamo che almeno alcuni di loro lo credano davvero. E c’è un modo qualunque con il quale possiamo davvero dimostrare che si sbagliano?
Molti di noi considerano gli charedim come antiquati, ingenui, disinformati, in un’era precedente avremmo potuto definirli “incivili”. Ma disinformato su cosa esattamente? Che lo studio della Torà non li proteggerà come insegnano i saggi? Che le mitzvot producano una ricompensa o, come insegna la Torà, “producano frutta nella sua stagione?” Gli ebrei tradizionali lo recitano due volte al giorno nella liturgia dello Shema. Sono allora gli charedim colpevoli di “magia” perché credono a queste cose? Difficilmente. Possono essere colpevoli del massimalismo religioso e di non avere sufficiente discernimento in tali questioni. Ma è diverso.
Molti ebrei moderni vivono come se avessimo risolto il paradosso della religione e della modernità, se avessimo trovato la grande sintesi, la formula segreta che ci consente di essere sia religiosi che moderni. Ma questo è uno inganno. Quel paradosso non è mai risolto e non può essere risolto. Spesso siamo costretti a scegliere e, quando siamo costretti a scegliere, scegliamo principalmente la scienza. Perché? Perché ci crediamo più di quanto crediamo nella tradizione. Qui è dove ci separiamo dagli charedim. Anche loro credono nella scienza in una certa misura, cercano cure mediche quando necessario, ma credono di più nella tradizione. E così quando la scienza impone comportamenti che limitano la tradizione, sono più lenti a rispondere.
Possiamo ricorrere al modello di Maimonide che ci ha offerto un ebraismo razionale. E questo va bene. Ma il punto di vista di Maimonide sul razionale non è il nostro. Noi viviamo sotto il baldacchino della secolarizzazione moderna. Inoltre, molti di noi fanno anche molte cose che Maimonide troverebbe disgustose, come controllare le nostre mezuzot se le cose non vanno bene o aspettare in coda che un cabalista ci dica i segreti della nostra anima e come curare la nostra nonna malata. Il tradizionalismo moderno non è maimonideo. È una strana e spesso contraddittoria miscela di insegnamento rabbinico, Maimonide, Cabbala, strade popolari e secolarismo. Gli charedim sono credenti in modi in cui non lo siamo. In questo caso ciò ha ucciso molti di loro. Ma chi sia tra noi e loro a vivere in una stretta fedeltà con la tradizione resta da vedere. Crediamo di meno, ed in questo caso ciò ci ha aiutato a sopravvivere. Ma per quanto valga la pena di censurare la loro convinzione massimalista, vale la pena contemplarne la nostra mancanza.
Shaul Magid, redattore collaboratore di Tablet, è il Distinguished Fellow of Jewish Studies presso il Dartmouth College e Kogod Senior Research Fellow presso lo Shalom Hartman Institute of North America. I suoi ultimi libri sono Pietà e ribellione: Saggi in chassidismo e La Bibbia, il Talmud e il Nuovo Testamento: il commento ai Vangeli di Elijah Zvi Soloveitchik.
Traduzione di Roberto Maggioncalda Sacerdote
[1] רַ֡ק הִשָּׁ֣מֶר לְךָ֩ וּשְׁמֹ֨ר נַפְשְׁךָ֜
[2] וְלֹֽא־תָשִׂ֤ים דָּמִים֙ בְּבֵיתֶ֔ךָ
https://www.tabletmag.com/sections/belief/articles/covid-haredi-magical-thinking