La crisi del coronavirus ha scatenato una “accusa del sangue” contro gli ebrei ortodossi, da Brooklyn a Bene Berak. E sono gli ebrei liberal ad averla iniziata
Avi Shafran*
Quando i tassi più elevati di infezione e di malattia da coronavirus sono stati segnalati per la prima volta nelle città e nei quartieri charedi, molti di noi charedim sapevano che cosa stava arrivando. Quando la peste bubbonica devastò l’Europa nel 1300, infatti erano le persone identificabili come ebrei a esser viste come le meno propense a contrarre l’infezione, probabilmente grazie al loro comandamento religioso di lavarsi frequentemente le mani. La più grande parte della popolazione, però, concluse che gli ebrei stavano avvelenando pozzi in cui i cristiani bevevano. Così arrivò un’ondata di brutali torture, confessioni forzate e massacri che decimarono intere comunità ebraiche.
Ironia della sorte, oggi, i charedim sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia del coronavirus e sono stati accusati ancora una volta. Questa volta però non per aver causato la peste contemporanea (anche se è stato detto anche questo sui social media e negli scontri pubblici; l’odio contro ebreo non conosce logica). Ora le accuse contro gli ebrei religiosi riguardano diversi altri presunti crimini: non agire abbastanza rapidamente per chiudere scuole e sinagoghe, disprezzare le conoscenze e i consigli medici e seguire ciecamente dei leader che non possono essere affidabili nelle loro scelte. Ed è così spuntata, come ci aspettavamo, una nuova “stagione di caccia” contro i charedim.
Sì, alcune comunità charedi non hanno riconosciuto la viralità del virus con la rapidità con cui ora si sarebbe voluto. Ma sinagoghe e yeshivot occupano un posto unico in tali comunità e la loro chiusura è stata traumatica. Il “senno del poi”, notoriamente, è impeccabile. Molte altre parti della società – tra cui festaioli, bagnanti sulla spiaggia e leader politici – in un primo momento hanno sottovalutato il grado di minaccia che il virus ha posto, alcuni ben oltre il momento in cui Bene Berak e Brooklyn avevano già acconsentito a tutte le precauzioni necessarie. Ci sono stati infatti charedim che hanno violato le corrette regole dell’autorità sanitaria, ma per ogni funerale di Bene Berak o Brooklyn che attirava una folla di persone in lutto sconvolte, ci sono stati decine di “ultimi saluti” nella stessa e in altre comunità charedi, tra cui quello del Novominsker Rebbe, che hanno avuto luogo con presenti solo una manciata di membri della famiglia e tutti ben distanti l’uno dall’altro. Giudicare un’intera popolazione sulla base di “anomalie recalcitranti” è l’essenza del bigottismo.
Per quanto riguarda il disprezzo per la conoscenza o la guida della medicina, ci sono pochi gruppi più rispettosi della medicina o più dedicati a preservare la vita dei charedim. In Israele, molti charedim, giustamente o no, nutrono una sfiducia verso il governo. Ma una volta che è stato correttamente e sensibilmente comunicato al settore charedi che la distanza sociale e altre misure erano necessarie per evitare di contrarre o diffondere il virus, i charedim israeliani, come i loro omologhi negli Stati Uniti, hanno prontamente rispettato le regole.
Ed è anche illuminante la risposta charedi alle richieste delle autorità mediche per le donazioni di plasma da parte di persone sopravvissute all’infezione. Nel giro di poche ore dalla pubblicazione di avvisi sulla necessità della donazione del sangue per condurre ricerche sugli anticorpi, le strutture di New York sono state inondate da migliaia di aspiranti donatori di sangue. La scena si ripeteva in luoghi come Baltimora, Maryland, Lakewood, New Jersey, che ospitano importanti comunità haredi. Più della metà dei donatori di plasma del Mount Sinai Hospital di New York erano identificabili come ebrei ortodossi. Questo è il disprezzo per la scienza e la medicina?
Ma la diffamazione più comune – e più eclatante – lanciata al mondo charedi nelle ultime settimane si è concentrata sui suoi leader spirituali. Tipico esempio delle esagerazioni su come charedim considerino i loro capi religiosi è stata l’affermazione di Anshel Pfeffer, un eterno critico dei charedim, che i nostri rabbini siano “infallibili”. Allo stesso modo nel Jewish Journal di Los Angeles, il rabbino Yitz Greenberg descrive “i leader charedi sono guidati da… un pensiero teologico insulare”.
Il signor Pfeffer ritiene infallibile il più rispettato medico in un determinato campo? Sicuramente no. Questo fatto in qualche modo preclude la ricerca del consiglio del medico? E il rabbino Greenberg non riconosce che l’essenza stessa e il potere dell’ebraismo è una guida basata sulla Torà, cioè un “pensiero teologico insulare”?
Un esempio di tale pensiero è stata la resistenza dei leader charedi nel chiudere le scuole della comunità quando le scuole pubbliche israeliane stavano chiudendo le porte. Quei dirigenti sono stati ridicolizzati per aver preso sul serio l’insegnamento del Talmud che il “respiro dei bambini” nel loro studio della Torà sostiene veramente il mondo. Ma a questa cosa – ed è una cosa molto importante – noi charedim crediamo davvero. È strano che gli ebrei di mentalità liberale tendano a tollerare agli altri le loro credenze particolaristiche, quando gli altri seguono una miriade di credenze. Ma non lo tollerano se si tratta dei loro compagni ebrei che credono in quello che è stato chiamato l’ebraismo per millenni.
Per ogni decisione sulla chiusura di qualcosa durante l’inizio della crisi coronavirus, c’è stata la valutazione delle esigenze e dei costi. E per questa ragione fino a adesso, i servizi essenziali, come mantenere operative le reti elettriche e l’acqua corrente, non sono mai stati spenti.
Per un leader charedi, chiudere le scuole è più vicino a questi esempi, che alla chiusura di imprese e luoghi di intrattenimento. Potete essere in disaccordo, critici, se lo si desiderate, ma per favore non denigrate o odiate i charedim per le loro sincere convinzioni. Tanto rancore nel Klal Yisrael (Comunità di Israele, n.d.t.) è dovuto al rifiuto degli ebrei di immaginare le cose dal punto di vista di altri ebrei. Sì, noi charedim crediamo davvero che la Torà che i bambini imparano mantenga il mondo. Sì, crediamo sinceramente che lo studio della Torà protegga gli ebrei non meno del servizio militare. Sì, crediamo pienamente che lo shabbat sia un dono, non un peso.
E sì, esorto anche i miei compagni charedim, a cercare di mettersi nei panni di coloro che si oppongono a loro, per cercare di capire meglio le ragioni per cui gli altri provano risentimento. Nei miei sogni più felici, entrambi i campi fanno proprio questo e il mondo ebraico è un luogo molto più piacevole e sano.
* Rav Avi Shafran è blogger e autore, e serve come direttore degli affari pubblici di Agudath Israel.
Traduzione di Davide Levy