Rav Alberto Somekh – Rabbino capo della Comunità ebraica di Torino
Sono stato sollecitato ad intervenire sulla questione del Mashiach. Vorrei introdurre questo mio scritto con le parole del Rambam: “Ad ogni modo questo argomento non è fra i fondamenti della religione ed è opportuno astenersi dal trattare i Midrashim su questo argomento e simili, perché non portano né al Timore, né all’Amore (di D.)” (Hil. Melakhim 12, 2). Premetto inoltre di non essere un possèq, né di voler decidere per altri. Nella mia analisi cercherò di attenermi il più possibile a tre criteri: evidenza delle fonti, evidenza dei fatti e uso della logica.
Il Dott. Grosser ha fornito fonti rilevanti sul legame del Mashiach con Eretz Israel. Esse sono contraddette solo in apparenza da due ulteriori elementi: a) il Meirì a Ketubbòt 110b afferma che dovunque vi sia chokhmah e yir’at chet è da considerarsi come Eretz Israel, sia pure fuori di essa; b) il Ràmbam stesso, dopo aver affermato che fra i compiti del Mashiach vi sono la riunione degli esili e la ricostruzione del Bet ha-Miqdash (Hil. Melakhim 11,1), scrive testualmente: “e se si ergerà un re della Casa di David che studia Torah e si occupa delle mitzwòt come David suo padre, secondo la Torah scritta e la Torah orale, e obblighi tutto Israel a procedere in essa e a ristabilirla, e combatta le guerre di H., questi si troverà nella presunzione di essere il Mashiach (be-chezqat she-hu mashiach). Se opererà con successo, ricostruirà il Bet ha-Miqdash e radunerà i dispersi d’Israel, sarà un Mashiach accertato (Mashiach wadday – ibid.,4)”.
Dando per scontata l’ascendenza genealogica con il re David, evidentemente sulla base di una tradizione acquisita, notiamo che il Rambam fornisce un duplice livello per l’identificazione del Mashiach: il Mashiach presunto e il Mashiach accertato. Il livello più alto è quello del Mashiach wadday, il Mashiach accertato attraverso l’opera del Binyan bet ha-miqdash e del Qibbutz galuyyot. E’ evidente da ciò che egli si manifesterà soltanto nell’Eretz Israel fisica escludendo completamente, su questo piano, la chiave di lettura offerta dal Meirì.
Resta a questo punto come sola possibilità quella intermedia del Mashiach presunto: in questo caso il Rambam non parla di un legame necessario con Eretz Israel. Il concetto di chazaqah (“presunzione”: per cui se c’è accordo fra le persone sul fatto che un certo individuo è in una certa condizione, noi affermiamo che questa è la verità) ha un posto molto forte nel diritto ebraico. Secondo alcuni posseqim si può arrivare addirittura a comminare la pena di morte sulla base di una semplice chazaqah, “come se la cosa fosse stata investigata e accertata dal tribunale… perché se questa è l’opinione comune e il comportamento abitualmente accettato dalle persone del luogo, essa va considerata come verità senza dubbio alla stregua di una testimonianza completa” (‘edut ghemurah: Chazon Ish a Even ha’Ezer 8,2, cit. in Entziqlopedyah Talmudit, vol. 13, col. 724, n.116-117) (i).
Ma è altrettanto vero e logico che una chazaqah ha valore finché non si manifesta evidenza in contrario, attraverso testimonianze o fatti. In questo caso assistiamo alla hakhchashah (“smentita”) della chazaqah, che non sussiste più. Appare evidente dalla lettura del Rambam che anche il Mashiach presunto resta tale finché non si chiarisce la sua chazaqah (‘ad sheyitbarèr chezqatò). Egli si conferma al grado di Mashiach wadday nel momento in cui si trova in Eretz Israel e opera la ricostruzione del Tempio e il raduno degli esuli. Se viceversa muore prima che tutto ciò si compia, logica vorrebbe che la morte stessa del soggetto costituisse hakhchashah della chazaqah precedente.
Di fronte a tale evidenza si pongono tre alternative. La prima consiste nell’affermare che la persona continua a vivere nonostante la morte. Anche qui si può far valere l’interpretazione metaforica derivante da frasi del tipo “i giusti sono chiamati viventi anche dopo la morte” (Berakhòt 18a.). Personalmente sono disposto a capire che i discepoli considerino il Maestro talmente presente nei loro cuori da figurarselo per certi aspetti ancora vivo, o che vogliano dare al Mashiach il nome del loro Maestro (cfr. Sanhedrin 98b; che è cosa comunque diversa dal considerarlo Mashiach tout court). Ma la metafora e l’astrazione anche in questo caso non possono superare la logica. Le funzioni e prerogative che la Halakhah assegna al Mashiach possono essere di fatto assolte soltanto da un uomo fisicamente in vita.
A questo punto, volendo escludere come assurda l’ipotesi della resurrezione (se mai qualcuno ci avesse pensato, la Halakhah respinge un’ipotesi del genere come criterio scientificamente probante, per esempio in medicina, fino all’acharìt hayamim: cfr. Rav M. Hershler, Halakhah u-Refuah 4, p. 87-89 (ii); e se, sempre per assurdo, qualcuno sostenesse che l’acharit hayamim è già arrivato, gli suggerirei la lettura di “Morale ebraica e Morale cristiana” del Rav Benamozegh perché non ricada in certi errori! (iii)), l’unica alternativa ragionevole è provare a cercare degli eredi viventi di quella personalità di tzaddik geniale che è stato, comunque lo si veda, Rav M. Schneerson (iv).
Nel frattempo, visti e considerati i notevoli meriti e i risultati largamente positivi raggiunti per altri versi dal movimento Lubavitch in tanti anni di iniziative su scala mondiale, credo che le uniche due cose serie da fare siano in buona sostanza le seguenti: cogliere il bene che ciascuno può dare e, per il resto, sperare che fra tutti i membri del movimento vi siano persone disposte ad accantonare il meshichismo. Francamente, vorrei esserne convinto, nell’interesse di tutti.
Rav Alberto Moshe Somekh – Torino, Tu be- Av 5762
(i) La fonte è ancora nel Rambam, Hil. Issurè Biah 1,20: “Chi ha la chazaqah di essere consanguineo (della persona con cui ha avuto rapporti sessuali) viene giudicato in base alla chazaqah: anche se non si possiede alcuna prova certa della parentela lo si condanna alla fustigazione ed eventualmente a morte in base alla chazaqah. E’ per esempio il caso in cui vi sia chazaqah che essa sia sua sorella, o sua figlia, o sua madre e vi sono testimoni del rapporto sessuale: egli viene condannato anche se non v’è prova certa di tali parentele, sulla sola base della chazaqah. Accadde una volta che una donna venne a Yerushalaim portando un bimbo sulle spalle: essa lo allevò nella chazaqah che fosse suo figlio e quando giacque con lei fu portata al Tribunale e condannata. La prova biblica di tale regola ci viene dal fatto che la Torah condanna a morte colui che maledice o percuote suo padre (Es. 21): chi ci garantisce una prova certa che egli sia veramente suo padre? Soltanto la chazaqah. Così anche le altre parentele sono trattate in base alla chazaqah”.
(ii) Secondo la shitah tradizionale che identifica nel cuore la sede della vitalità dell’individuo, il trapianto di cuore è proibito perché nel momento dell’espianto di fatto si uccide il donatore. Nulla cambia sotto questo rispetto anche se il cuore aveva nel frattempo cessato di funzionare nel corpo del donatore: dal momento che riprende a battere nel corpo del ricevente si dimostra che non era mai morto, appunto perché non presumiamo avvenuta alcuna resurrezione.
(iii) Una delle contraddizioni che stanno alla base del cristianesimo, secondo Rav Benamozegh, è l’aver voluto far coincidere l’era messianica con l’epoca della resurrezione e aver anticipato il tutto nell’epoca presente, con una buona dose di finzione. La conseguenza fu l’abolizione della Legge, effettivamente già prevista in alcune fonti nostre per l’epoca della resurrezione: ma dal momento che di fatto la tanto attesa rigenerazione del mondo non era nel frattempo avvenuta, “questa contraddizione, eretta a sistema, tra l’esistenza di diritto e l’esistenza di fatto, tra la resurrezione in ipotesi e la vita in tesi” fu causa “d’incertezza, di decadimento nella morale del cristianesimo” (Ed. Carucci, Assisi/Roma, 1977, p. 37).
(iv) Cfr. Ramchal, Derekh Hashem, 2,3,10.