“Questa è la norma che riguarda un uomo che sia morto dentro una tenda…” (Numeri 19:14).
Il testo in questione si occupa dell’impurità che una persona riceve, o che gli oggetti ricevono, quando si trovano nella tenda in cui c’è un morto. Tuttavia, i maestri del Talmud si spostano su un piano allegorico e affermano che il versetto alluda al fatto che “le parole della Torà si mantengono grazie a chi uccide se stesso su di loro” (Berakhot 63 b).
Studiare Torà è un po’ come morire. Affermazione che appare paradossale ma il senso sarebbe che dobbiamo “morire” per “salvare” del tempo da dedicare allo studio. Così la pensa Yisrael Meir Poupko (Kagan), meglio noto con l’appellativo Chafetz Chayym (“Che desidera la vita”, 1839-1931) il quale, per sottolineare il valore educativo di questa affermazione, racconta la storia di un grande commerciante i cui affari lo avevano portato a non pregare mai in sinagoga con il pubblico e a non studiare quotidianamente la Torà. Ma quando le sue forze cominciarono a diminuire, i capelli e la barba ad imbiancarsi, a sentire che la fine dei suoi giorni poteva essere vicina, capì che doveva cambiare le priorità delle sue giornate. Iniziò ad andare a pregare al mattino in sinagoga e rimanere dopo la preghiera a studiare per almeno due ore e poi andare al lavoro. Alla moglie che gli domandò dei ritardi, rispose che si stava dedicando ad un affare molto importante che lo impegnava molto.
I ritardi si fecero continui e sempre più lunghi tanto che la moglie del commerciante un giorno uscì dal negozio per andarlo a cercare. Dalle informazioni che ottenne chiedendo in giro, con grande stupore, scoprì il motivo per cui il marito ritardava ogni giorno. Andò quindi alla sinagoga e vide dalla finestra il marito, seduto ad un tavolo ricurvo sui libri, a studiare intensamente Torà. Entrò dentro e si rivolse al marito con grande impeto:
“Sei diventato matto? Il negozio è pieno di clienti e tu stai seduto qui a studiare? Non ti importa del danno economico che ci stai procurando?
A queste domande il commerciante rispose:
“Per favore, ascoltami bene compagnia mia. Se una mattina fosse venuto da te l’angelo della morte per dirti che era arrivato il tuo momento di lasciare questo mondo, cosa avresti risposto? Che non eri libera di andare perché il negozio era pieno di clienti?
Così non avresti mai potuto rispondere e allora, da ora in poi, nelle ore in cui non sono presente al negozio, pensa che sono stato preso dall’angelo della morte. Quello che ti deve interessare è che dopo un paio d’ore risorgerò e verrò ad aiutarti in negozio.” Questo è il concetto espresso dal detto talmudico “le parole della Torà si mantengono grazie a chi uccide sé stesso su di loro”.
Ognuno di noi dovrebbe pensare a sé stesso come se fosse “morto” così da rendere innocui tutti quegli ostacoli e tutti quei motivi, involontari ma anche voluti, che ci impediscono lo studio e la corretta osservanza della Torà.
Shabbat Shalom!