Uno dei luoghi comuni più diffusi e imbarazzanti è che gli ebrei siano tutti intelligenti. Noi ebrei, che ci conosciamo, sappiamo bene che non è così. Così scrive Joseph Roth: “E qui si può infine comprendere come l’opinione che gli ebrei siano più intelligenti degli altri popoli sia errata. Già, non solo non sono più intelligenti, qualche volta sono persino più stupidi” (A passeggio per Berlino, Passigli ed., 2012, p. 86; in questo capitolo, intitolato Il Muro del Pianto, lo stesso Roth non brilla per acume storico).
Ma da dove nasce questa idea? Forse da quanto scrive la Torah: “Questa grande nazione è certamente un popolo saggio (chakhàm) e intelligente (navòn)” (Deut. 4:6, tr. di rav Elio Toaff, Giuntina ed.). La radice ch-kh-m, da cui le parole chokhmah (saggezza), chakham/a (saggio/a) e chakhamim/ot (saggi/e), compare nella Torah la prima volta in contesto non ebraico, in bocca al Faraone, quando questi cerca persone sapienti per interpretare i suoi oscuri sogni (Gen. 41:8). Qualche tempo dopo, è sempre il Faraone che usa il verbo lehitchakkem (agire con astuzia) per tentare di ostacolare l’ascesa del popolo d’Israele (Es. 1:10). Solo successivamente la parola chokhmah compare in ambito ebraico, quando l’architetto Betzalel viene scelto per presiedere alla costruzione del Tabernacolo, per cui era richiesta “saggezza, intelligenza e conoscenza” (Es. 31:3). Da qui in poi, chokhmah e chakhamim occorrono innumerevoli volte, in particolare – come è ovvio – nei libri cosiddetti sapienziali, ossia Proverbi, Qohelet/Ecclesiaste e Giobbe. Tre citazioni per tutte. “La sua bocca ha aperto con saggezza” (Prov. 31:26, riferito alla donna di valore); “il saggio ha gli occhi nella testa” (Qohelet 2:14, ossia il sapiente vede lontano); “la Sapienza val più delle perle” (Giobbe 28:18, tr. di Amos Luzzatto, Feltrinelli 1991).
Il titolo rabbinico rilasciato dal Collegio Rabbinico Italiano era tradizionalmente quello di chakhàm ha-shalèm, saggio completo. Fu rav David Prato, rabbino capo di Roma e Direttore del Collegio nella prima metà del Novecento, a togliere molto opportunamente l’appellativo di shalèm: non si è mai completamente saggi. Nella letteratura rabbinica, il termine chokhmah è usato per indicare a volte la filosofia e la scienza (come quella yevanìt, greca) e a volte la dottrina segreta (chokhmàt hanistàr), ossia la Qabbalah. E la chokhmah, nella Bibbia, è spesso abbinata alla binah (gioco di parole intenzionale). Chi “ha occhi nella testa” capirà dove andremo a parare.