Dalla rubrica “Parole”, Pagine Ebraiche, aprile 2012
Gianfranco Di Segni
La tzeniut, di cui abbiamo parlato il mese scorso, è una virtù ebraica valevole in tutti i tempi e luoghi, ma è particolarmente coltivata presso i charedim, coloro che nel linguaggio giornalistico (non solo italiano) sono definiti come ultra-ortodossi. Una premessa sulla traslitterazione: il ch iniziale corrisponde alla lettera ebraica chet che si pronuncia come una c molto aspirata (come in Chanukà o in Bach). L’articolo determinativo deve quindi essere i (e non gli). Molti, soprattutto fra gli anglofoni e i francofoni, usano traslitterare la parola con haredim; infatti, il ch potrebbe essere pronunciato come in Chicago o in Chagall (forse qualcuno si ricorda un film di Woody Allen, in cui un rabbino di nome Chaim partecipa a una trasmissione televisiva e viene presentato come Ciaim, con suo grande imbarazzo). In italiano, però, l’acca è muta e il risultato è che molti pronunciano haredim come se fosse scritto aredim, anteponendo l’articolo gli invece che i (lo stesso succede per chasidim/hasidim, una parola che affronteremo prossimamente).
Charedìm deriva dalla radice verbale charàd, che si può tradurre con temere, tremare, trepidare, preoccuparsi, affrettarsi. I charedim sono quindi coloro che sono timorosi, timorati, scrupolosi, da cui per estensione il senso attuale di religiosi, pii, ortodossi. La prima volta che la radice compare nella Torà è riferita a Isacco, quando Giacobbe carpisce la benedizione paterna ai danni di quello che Isacco pensava fosse il primogenito, Esaù: “Un tremito violento assalì Isacco” (Genesi 27:33, tr. di rav A.S. Toaff; S.D. Luzzatto traduce: “Isacco fu colpito da uno sbalordimento grande oltremodo”).
Più avanti si trova lo stesso verbo (va-yecheràd) riferito al popolo e al monte Sinai: “E tutto il popolo fu preso da grande spavento […] e la montagna si scuoteva violentemente” (Esodo 19:16 e 18, tr. di rav Dario Disegni). Con un senso più vicino a quello attuale troviamo il termine charedim nell’ultimo capitolo di Isaia (66:5): “Ascoltate la parola del Signore, o solleciti al Suo comando (ha-charedìm el devarò)” (tr. di rav Ermanno Friedenthal). Negli Agiografi, in uno degli ultimi libri della Bibbia, leggiamo: “… di quelli che tremano (ha-charedìm) al comando di Dio” (Ezrà 10:3; tr. di rav Samuele Avisar; rav Moisé Levi Ehrenreich traduce con “premurosi”). I capitoli 9 e 10 del libro di Ezrà parlano del problema dei matrimoni misti.
Molti ebrei, durante i 70 anni dell’esilio babilonese, avevano infatti sposato donne non ebree. Ezrà si strappò gli abiti, pianse e digiunò. Un gruppo di persone, che la Bibbia chiama charedim, si mise subito dalla sua parte. Insieme a loro Ezrà riuscì a convincere la popolazione che tale situazione non era ammissibile e fece ordine. “Le vostre figlie non date in moglie ai loro figli né fate sposare le loro figlie ai vostri figli” (Ezrà 9:12). A quanto pare, i problemi di 2500 anni fa sono gli stessi che abbiamo oggi. Meno male che ci sono i charedim che ogni tanto ce lo ricordano.