SPECIALE SHALOM GIUGNO 2014. “Curare l’anima, come si cura il corpo” ed “educare ogni bambino”, sono le azioni che hanno guidato il movimento Chabad, fino a consentire una straordinaria rinascita dell’ebraismo dopo la Shoah.
Pierpaolo Pinhas Punturello
Se analizzassimo il lavoro del Rebbe Menachem Mendel Schneerson zl come se egli fosse stato un dirigente d’azienda o il direttore di un qualsiasi dipartimento culturale dovremmo solo apprezzare i lunghi anni nei quali il Rebbe zl ha di fatto cambiato il volto dell’ebraismo mondiale. Che si abbiano o meno simpatie o affinità con il mondo chassidico Lubavitch, non si può negare che la visione e la progettualità ebraica del Rebbe siano state la più grande rivoluzione educativa della nostra generazione. Il concetto di shlichut, di invio di emissari, nelle realtà ebraiche più diverse e disparate ha fatto in modo che ovunque ci fosse un Beit Chabad, un ebreo potesse trovare un pasto caldo, una casa, un abbraccio (reale o politico che fosse) e chiacchiere di Torà. Il metodo educativo del Rebbe zl è stato imitato e fatto proprio da molte altre organizzazioni ebraiche e molti altri movimenti ortodossi non chassidici. La grande novità concettuale che il Rebbe zl ha donato e sviluppato nel mondo è stata l’abbattimento delle invisibili mura che separavano il mondo religioso osservante da quello laico secolare.
Ponendo al centro dell’attenzione educativa l’ebreo in quanto tale, il Rebbe zl ha lanciato, anno dopo anno, campagne di impegno e di azioni utopiche che hanno cambiato il mondo. “L’uomo non potrà mai essere felice se non si prende cura della sua anima nella stessa maniera in cui si prende cura del corpo” e “non dobbiamo darci pace fino a quando ogni bambino, maschio e femmina, non avrà ricevuto una educazione morale adeguata”, queste due frasi, due motti, detti dal Rebbe negli anni dopo il secondo conflitto mondiale e diretti ad un’Europa e ad un Mondo, occidentale ed orientale post comunista, sono stati i valori ispiratori di un vero e proprio “piano Marshall” spirituale ebraico rivolto ad intere comunità colpite dalla Shoà, dall’assimilazione, dal comunismo e quindi lontane dalla tradizione ebraica. Il Rebbe zl, come il segretario di Stato statunitense George Marshall, predispose ed organizzò una sorta di piano ideologico ed educativo per risollevare il destino ebraico delle Comunità che erano socialmente, economicamente, ma sopra ogni cosa culturalmente e spiritualmente in pericolo.
Gli shlichim del Rebbe partivano, preparati e culturalmente pronti ad affrontare le realtà locali che avrebbero incontrato, che erano luoghi ben lontani da Crown Heights a Brooklin: negli anni ’50 e ’60 le mete della shlichut chabad sono state i paesi dell’Europa occidentale, tra i quali ovviamente anche la nostra Italia, seguirono poi i paesi dell’ex blocco sovietico, poi Israele ed in contemporanea tutta la provincia americana e canadese, il vasto mondo lontano dai bagels di New York o Boston, fino all’Alaska ed oggi anche l’estremo Oriente ed il Giappone. Non esiste quasi nessun luogo al mondo dove non ci sia una Chabad House, un luogo dove un ebreo possa dire di essere quantomeno in una sorta di ambasciata diplomatica dell’Ebraismo visto e vissuto secondo i principi Chabad. Dalla città dell’amore, Lubavitch (da Ljuba, amore in russo), il Rebbe zl ha saputo superare le difficoltà delle persecuzioni comuniste prima e nazifasciste poi per approdare negli Stati Uniti e creare una fonte inesauribile di sollecitazioni identitarie per tutti gli ebrei del mondo. Sono circa 3600 le istituzioni affiliate ai chabad, sparse in più di mille città per circa 70 paesi con un numero di aderenti al movimento che potrebbe arrivare anche alle 200.000 persone e si calcola che il numero di ebrei che studiano o pregano almeno una volta l’anno in un centro Chabad superi il milione. Numeri impressionanti che vanno al di là degli investimenti economici che il piano Marshall ha dedicato all’Europa fino al 1951.
Le Chabad House, o Beit Chabad, sono luoghi ispirati pienamente agli insegnamenti del Rebbe zl che incitava ogni ebreo a fare in modo che la propria “casa diventasse una luce che illumina completamente la strada e la comunità”. Una luce per il mondo, oltre che per se stessi, cosa non semplice da dire e da attuare per un Rebbe di una corte chassidica, una delle tante nate dal movimento del Baal Shem Tov ed una delle poche scampate alla tragedia della Shoà. Sono solo luci le caratteristiche del movimento Chabad? Dobbiamo ammettere che dopo la morte del Rebbe zl tensioni e vere e proprie decisioni halachiche in contrasto con il movimento Chabad sono diventate oggetto di discussione di molto mondo ebraico ortodosso e persino chassidico.
Testi contro le presunte dichiarazioni del Rebbe come Mashiach, prese di posizioni halachiche ed a volte azioni pubbliche simili a scomuniche hanno caratterizzato alcuni approcci del mondo ortodosso non chabad verso il mondo chabad. Se la morte del Rebbe ha quindi fatto esplodere la questione messianica all’esterno del mondo chabad, anche all’interno possiamo rintracciare una diversa caratteristica tra gli shlichim inviati nel mondo alla presenza in vita del Rebbe e quelli cresciuti dopo la sua dipartita avvenuta nel 1994. In realtà già negli anni del 1980 alcuni sostenitori chabad della corrente meshichista pubblicarono testi e pamphlet che dichiaravano il rebbe Mashiach, rendendo poi il concetto popolare e musicale attraverso i versi della canzone che celebravano e celebrano il Rebbe come Melech Mashiach, Re Messia. Negli anni tra il 1998 ed il 2004 fu pubblicata una dichiarazione firmata da 100 rabbini che affermavano la messianicità del Rebbe, tutto questo mentre il rabbinato israeliano rifiutava questo stesso documento e tutto il resto del mondo charedi ed ortodosso da rav Aharon Kotler, fino a rav Kaminetsky e Rav Shach, passando per rav Ahron Soloveichik e rav Lamm, affiliati al mondo modern orthodox, condannava e condanna pesantemente la deriva messianica di alcuni esponenti chabad. Sembra quindi che la nostra generazione, lontana ormai vent’anni dalla scomparsa del Rebbe zl, possa cominciare ad analizzare con onestà l’operato suo e dei suoi shlichim, nel rispetto della grandiosità del lavoro e della presenza spirituale che è stato ed è per milioni di ebrei. Come la storiografia ha analizzato il piano Marshall nel contesto storico e nella sua realtà, al di là di ogni possibile celebrazione politica, anche noi dovremmo e sicuramente oggi possiamo guardare alla shilichut chabad apprezzandone le enormi luci e individuando le poche o molte ombre che ci possono essere, senza però assumere posizioni politiche nutrite di pregiudizi.
L’ebraismo europeo non avrebbe avuto slanci di ripresa se non ci fosse stato il movimento chabad a sostenerlo e promuoverlo, così come oggi, se esistono servizi religiosi, sedarim per Pesach e fonti di identità anche in luoghi sperduti del mondo questo lo dobbiamo al mondo chabad. La pericolosità di un’identità cristallizzata, sia da parte chabad che non chabad, cosa ben lontana dalle idee del Rebbe, oggi può creare e sta creando in alcuni casi lontananze enormi tra lo shaliach chabad locale e la specifica comunità, in Italia come all’estero, sebbene questa non sia una regola ma una spiacevole eccezione. Il muro che il Rebbe zl seppe far abbattere tra chassidim, non chassidim, ortodossi e laici non deve essere ricostruito da noi e non deve diventare una costante nei rapporti tra mondo chabad e mondo non chabad. Insegna il Rebbe zl: “Viviamo in uno stato di emergenza in cui le fiamme della confusione divampano scatenate. Di fronte ad un incendio, tutti hanno la responsabilità di aiutare il prossimo”.
Shalom – Giugno 2014
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