Appunti lezione tenuta al liceo Steiner (Torino)
Nella società occidentale quando si parla di pace si innesca un’equazione che ci porta a considerarla semplicemente un’assenza di guerra. In ebraico il termine Shalom deriva da una radice sh-l-m, che indica la completezza. Quando questo termine viene utilizzato nella Bibbia viene riferito essenzialmente ad aspetti materiali. Infatti spiega il Malbim[1] il termine per indicare gli aspetti interiori è Shalvà. Rabbì Yosef Gigatilla[2] paragona la pace ad un recipiente intero, che finché è in tale condizione mantiene al suo interno i liquidi, e quando perde la sua integrità li lascia cadere.
Nell’ideale profetico l’aspirazione alla pace è un principio fondamentale, riservato alla fine dei giorni della storia umana, come leggiamo nel secondo capitolo del libro di Isaia. Su questo punto la cultura ebraica si pone in contrasto con quella greca, secondo la quale la guerra è la radice di tutte le cose, e la pace prolungata costituisce un intralcio al progresso umano. Nella visione ebraica invece la pace è il presupposto per il progresso, tanto da essere paragonata al lievito per un impasto[3]. Nel Talmud[4] la creazione di un unico uomo viene vista come un incoraggiamento al perseguimento della pace, di modo tale che nessuno potesse dire “mio padre è più grande del tuo”. L’incitamento alla pace risulta ancora più netto se si pensa al Santuario di Yerushalaim: David, che desiderava ardentemente costruire una casa per il Signore, non ebbe questa opportunità perché aveva versato molto sangue nella sua vita, e questo privilegio sarebbe spettato invece a suo figlio Shelomò[5]. Nella costruzione dell’altare possiamo individuare la medesima idea: secondo la regola biblica le pietre che lo componevano non potevano essere lavorate con strumenti metallici, e se questo va applicato a elementi inanimati come le pietre certamente gli uomini che si adopereranno per la promozione della pace, nell’ambito familiare sociale e nazionale godranno della benevolenza divina[6].
Pace e giustizia sono valori morali e politici, che trovano applicazione nell’ambito interpersonale e sociale. Se voglio essere giusto devo pagare i miei debiti, per essere giusto uno stato deve trattare equamente i suoi cittadini. Politicamente la pace è un obiettivo, perché è desiderabile eliminare i conflitti all’interno della società. Nella storia del pensiero occidentale, ed è sufficiente aprire un manuale di storia della filosofia per capirlo, è stata dedicata molta più attenzione alla giustizia che alla pace. E’ possibile asserire che questo derivi dalla considerazione della pace come una conseguenza della giustizia ad essa subordinata[7]. Nelle società occidentali il patto sociale prevede che lo stato debba assicurare giustizia ai cittadini. Quando risulta evidente che lo stato commette delle ingiustizie, il popolo si sente giustificato ad intraprendere azioni violente, sino ad arrivare alla rivoluzione, per ristabilire un ordine. Nella tradizione ebraica la questione ha una prospettiva differente. Nel Talmud spesse volte viene sottolineata la grandezza della pace.
Nel libro dei Proverbi[8] è scritto che tutti i sentieri della Toràh sono shalom. Shalom è uno dei Nomi divini[9]. Secondo la tradizione mistica vi sono degli aspetti che identificano la Toràh con il creatore, e quindi la Toràh, che è una sua espressione, in tutti i suoi precetti persegue l’ideale della pace[10]. Come si dice al termine del Qaddish, Dio è “Colui che fa la pace nelle Sue altezze”, e chiediamo di fare altrettanto per noi. Allo stesso modo la richiesta di pace suggella le tre preghiere quotidiane e chiude la birkat ha-mazon. La pace viene considerata dai Maestri un valore sia a livello sociale che individuale. Nella tradizione rabbinica abbondano le lodi per il sacerdote Aharon, che “amava la pace e perseguiva la pace”, dedicando ad essa grandi sforzi per ristabilire i rapporti fra gli individui, mentre chi incita le discussioni viene biasimato. Alcuni individui non provano soddisfazione se quanto ottengono non è il frutto di una disputa. Il modello biblico di questo atteggiamento è Qorach. Tuttavia non sempre la pace si concilia con la giustizia. Nelle Massime dei Padri R. Shim’on ben Gamliel afferma che il mondo si regge su tre cose: sulla giustizia, sulla verità e sulla pace[11]. Ma nel Talmud troviamo un’idea differente, che prende le mosse dal profeta Zaccaria, che dice “verità e giustizia di pace giudicherai nelle tue porte”. Però dove c’è giustizia non c’è pace, e dove c’è pace non c’è giustizia. Ma allora quale tipo di giustizia è compatibile con la pace? E’ la giustizia del compromesso. Sappiamo bene che la maggior parte dei processi non terminano con il ristabilimento della pace. Spesso chi esce sconfitto serba rancore per il suo contendente, anche più di prima.
Quando si arriva ad un compromesso nessuna delle parti ottiene tutto quello che richiedeva, ma parzialmente ottiene soddisfazione. Questo modo di procedere non è ispirato dalla giustizia. Il diritto ebraico preferisce la procedura dell’arbitrato alla stretta applicazione della legge, perché l’arbitrato ha maggiori probabilità di ristabilire la pace. Anche nell’ambito giudizio nelle Massime dei Padri si invita i giudici alla moderazione[12]. Sempre nelle Massime dei Padri troviamo l’obbligo di “pregare per la pace del regno, perché se non fosse per il timore che desta, ciascuno inghiottirebbe l’altro vivo[13]”. Non c’è una richiesta di giustizia, ma di pace. L’assenza di pace incoraggia le inclinazioni selvagge degli uomini e pertanto, anche a costo di sopportare qualche ingiustizia, è giusto pregare per la pace. Il popolo ebraico nella sua storia si è trovato spesso ad affrontare situazioni del genere, in modo particolare quando venivano imposte delle tassazioni speciali alla popolazione ebraica, ma gli ebrei della diaspora non hanno mai considerato l’opzione della rivolta violenta. Questo non significa però dover essere sempre buoni a tutti i costi: i malvagi possono solo trarre vantaggio da una condotta troppo compassionevole. Dicono i Maestri: “Chi è compassionevole con il crudele, alla fine sarà crudele con chi è degno di compassione[14]”. La salvaguardia della pace è ostacolata da un’eccessiva compassione. Il re Saul nel libro dei Re risparmiò, contrariamente al comandamento divino, Agag, il re degli Amaleciti, e la conseguenza di ciò fu che Haman, discendente di Agag, perseguitò il popolo ebraico.
Anche il confronto fra la verità e la pace favorisce quest’ultima: la tradizione rabbinica ammette in alcuni casi di mentire a fin di bene per preservare la pace[15]. Questo non significa però voler mettere a tacere tutte le voci dissenzienti: la discussione, animata da fini superiori, è lodata dai Maestri della Mishnàh, che affermavano che ogni disputa in nome del Cielo finisce con l’avere valore; non così invece le discussioni non in nome del Cielo[16].
Il valore della pace non investe naturalmente solo i rapporti all’interno del popolo ebraico, ma anche quelli fra i popoli. Il Talmud[17] afferma che “si sostentano i poveri non ebrei assieme ai poveri ebrei, si visitano i malati non ebrei assieme ai malati ebrei, si seppelliscono i morti non ebrei e gli ebrei per via della pace”.
[1] Malbim, Beur ha-milot su Salmi 122,8.
[2] Y. Gigatilla, Sefer ha-meshalim, cap. 79.
[3] Derekh Eretz Zutàh.
[4] TB Sanhedrin 37a.
[5] 1Cronache 22,8.
[6] Torat Kohanim Qedoshim 20.
[7] S. Roth, The status of peace as a moral value, Tradition 41,2, p. 155.
[8] Proverbi 3.
[9] TB Shabbat 10b.
[10] TB, Ghittin 59b.
[11] Avot I, 12.
[12] Avot 1,1.
[13] Avot III, 2.
[14] Midrash Tanchumà, parashat Metzorà, I.
[15] TB Yevamot 65b.
[16] S. Sierra, Il messaggio di pace dell’ebraismo, RMI 36,1 p. 10.
[17] Ghittin 61a.