David Gianfranco Di Segni
Collegio Rabbinico Italiano – Istituto di Biologia Cellulare, CNR
Che hanno a che fare le cellule staminali con la bioetica e la halakhà (legge ebraica)? Quando si parla di eutanasia o di aborto, è evidente a tutti che questi sono problemi eticamente sensibili: si tratta di vita e di morte. Ma già quando si passa a discutere di inseminazione artificiale, fecondazione in vitro ecc., a molti è poco chiaro perché tutto ciò debba essere oggetto di considerazioni etiche, più di quanto lo sia un qualsiasi altro trattamento medico. Se l’argomento è poi la ricerca sulle cellule staminali, pochi sapranno dire perché essa debba interessare la bioetica. Spieghiamo dunque dove è il problema.
Ogni essere umano (come la maggior parte degli animali e delle piante) deriva dall’unione di due cellule: la cellula-uovo femminile e il seme maschile. Ognuna di queste cellule apporta metà del patrimonio genetico. La cellula-uovo fecondata dal seme (detta zigote) inizia quindi a moltiplicarsi per produrre 2, 4, 8, 16 cellule e così via, fino a formare l’intero organismo, composto da miliardi di cellule. A un certo punto dello sviluppo embrionale inizia la cosiddetta differenziazione cellulare: ossia, alcune cellule si specializzano a formare il tessuto nervoso, altre quello muscolare, altre ancora le ossa, la pelle e così via per tutti i differenti tipi cellulari che costituiscono l’organismo completo. In altre parole, le cellule dell’embrione allo stadio iniziale possono diventare qualsiasi tipo cellulare, mentre via via che lo sviluppo procede le cellule differenziate in una certa direzione perdono la capacità di dare origine a tipi di cellule differenti. Le cellule che possono differenziarsi in diversi tipi cellulari sono chiamate “staminali”, e sono totipotenti nell’embrione iniziale, essendo in grado di generare un intero organismo, pluripotenti in una fase embrionale successiva, in cui possono dare origine alla maggior parte dei tessuti ma non all’intero organismo, e multipotenti quando sono capaci di differenziarsi in un numero limitato di cellule. Queste ultime sono presenti anche nell’organismo adulto: ad esempio, le cellule del midollo osseo producono durante tutta la vita i diversi tipi di cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, ecc.) ed altri. Le cellule staminali embrionali possono essere ottenute da cellule di un embrione fecondato in vitro (fuori del corpo umano) nei primi stadi dello sviluppo (5-7 giorni dalla fecondazione).
Perché la ricerca sulle cellule staminali è importante? Perché si spera che con esse si possano ricreare tessuti danneggiati da malattie o dal naturale invecchiamento, per esempio nelle malattie neuro-degenerative come il Parkinson o l’Alzheimer o per riparare il cuore colpito da un infarto. Numerose sperimentazioni in modelli animali hanno dato risultati incoraggianti in questa direzione.
È chiaro da quanto detto che le uniche cellule sicuramente in grado di differenziarsi a largo raggio sono quelle derivate dall’embrione. Quelle adulte sono molto meno malleabili e di uso più limitato (ciò non toglie che la ricerca sulle staminali adulte vada perseguita e sostenuta). Ma per avere le cellule staminali embrionali bisogna “sacrificare” l’embrione: e qui sta il problema etico. Se l’embrione è considerato “persona”, prelevare le cellule dall’embrione equivarrebbe a un infanticidio. Se l’embrione, invece, non ha lo status di persona, potremmo ritenere che il problema etico non sussista e, addirittura, potremmo pensare di produrre appositamente degli embrioni per utilizzarli a scopo di ricerca o di terapia. La prima ipotesi è quella seguita dalla chiesa cattolica, secondo la quale lo zigote è già persona a tutti gli effetti ed è quindi assolutamente inviolabile. L’utilizzo delle cellule staminali embrionali per la ricerca e per un’eventuale terapia è quindi precluso e possono solo essere usate cellule staminali derivate dall’adulto o dal cordone ombelicale e simili.
La posizione ebraica (condivisa anche da molte chiese protestanti e dall’Islam) non è però la seconda ipotesi su indicata, ma una terza, intermedia fra le prime due. L’embrione non è considerato persona nella fase iniziale dello sviluppo, soprattutto se ancora non è stato impiantato nell’utero, e quindi la sua distruzione non comporta un omicidio: tuttavia, non è considerata lecita una ricerca indiscriminata né la produzione di embrioni appositamente per la ricerca o per una terapia. Piuttosto, si usano embrioni “soprannumerari”, ossia quelli prodotti per la fecondazione medicalmente assistita e non utilizzati, che sarebbero destinati alla conservazione in un congelatore fino all’inevitabile disfacimento; inoltre, l’embrione da cui si prelevano le cellule staminali non deve aver superato il 40° giorno dalla fecondazione; la ricerca deve essere finalizzata a scopi terapeutici e va svolta sotto il controllo di un comitato etico con il consenso informato dei genitori. Secondo la posizione ebraica, dunque, l’embrione prodotto in vitro e non ancora impiantato nell’utero materno, pur non avendo lo status di persona, ha comunque diritto al rispetto in virtù del potenziale insito in esso, che potrà farlo diventare un essere umano. Tale diritto passa in secondo piano solo quando l’alternativa è la sua distruzione e quando se ne può ragionevolmente trarre un beneficio per l’umanità.
Questa posizione, condivisa dalla maggior parte degli esperti di etica medica ebraica, non è però unanime. Secondo alcune autorevoli voci, ancorché minoritarie (una fra tutte, quella di Rabbi J. David Bleich, uno dei massimi esperti mondiali di bioetica), l’essere umano anche se solo “in potenza” e se fuori dall’utero materno va rispettato totalmente. La ricerca e i benefici che se ne possono trarre non sono un motivo sufficiente per distruggere un embrione, così come nessuno si sognerebbe di prelevare un organo da una persona prima che sia sicuramente morta per trapiantarlo in qualcun altro o per utilizzarlo per la ricerca. Di fatto, Rabbi Bleich esplicitamente asserisce che la posizione cattolica (anche se si basa su premesse dottrinarie diverse) è quella corretta: questa – dice Rabbi Bleich – sarebbe la “missione” del cattolicesimo nel mondo, ossia preservare la santità della vita a tutti i livelli, fin dal suo inizio.
La posizione maggioritaria in campo ebraico, come si è detto, è invece permissiva, alle condizioni su indicate. In particolare, si sono ufficialmente espressi in questo senso Lord Rabbi Immanuel Jakobovits z.l., rabbino capo della Gran Bretagna e fondatore dell’etica medica ebraica nel XX secolo, e il “Rabbinical Council of America” (RCA), la più importante organizzazione americana dell’ebraismo ortodosso, che in una lettera indirizzata al presidente Bush nel 2001 perorava il finanziamento pubblico per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tale finanziamento fu invece bloccato da Bush e solo recentemente, con il presidente Obama, c’è stata un’inversione di rotta, subito applaudita dall’RCA.
da Ha-Keillah, maggio-giugno 2009