Mavi Marmara ed Exodus. Ecco perché Lerner sbaglia paragone.
Emanuele Ottolenghi
Nei giorni scorsi Gad Lerner ha proposto, sulla Repubblica (1 giugno, “L’Exodus rovesciato”) un paragone tra il blocco navale inglese che nel 1947, alla vigilia della proclamazione dello Stato d’Israele, cercava di impedire all’Agenzia Ebraica di portare sopravvissuti dell’Olocausto in Palestina, e il blocco navale israeliano lungo le coste di Gaza. Un giornalista profondo conoscitore della storia e delle realtà politiche israeliane come Lerner lascia stupiti in questo accostamento tra la nave Exodus, carica di sopravvissuti di Auschwitz, e la Mavi Marmara, carica di barbuti islamisti pronti al martirio, di armi assortite per la guerriglia urbana, di soldi per Hamas, di legami con al Qaida e video falsi preconfezionati da dare alla stampa credulona per far credere d’essere delle povere vittime indifese. Va dato atto a Lerner di aver messo una notevole quantità di puntini sulle “i” per qualificare la sua affermazione.
Scrive Lerner:
«Il blocco militare del Mar di Levante evoca troppi simboli dolorosi nel Paese che coltiva la memoria dei sopravvissuti alla Shoah quasi alla stregua di una religione civile. Impossibile sfuggire alla suggestione che in una tiepida notte d’inizio estate le acque del Mediterraneo abbiano vissuto un Exodus all’incontrario. Non certo perché i militanti e i giornalisti a bordo della flotta che intendeva violare l’embargo di Gaza siano paragonabili ai 4.500 sopravvissuti dei lager che le cacciatorpediniere britanniche speronarono nel 1947 al largo di Haifa, impedendo loro di approdare nel nuovo focolare nazionale ebraico. Ma perché quell’arrembaggio sconsiderato in acque internazionali, senza che Israele fosse minacciato nella sua sicurezza, discredita uno dei suoi valori fondativi: la superiorità morale preservata da una democrazia anche nelle circostanze drammatiche della guerra».
Nel mondo in cui viviamo, il ciclo di notizie è talmente rapido che si potrà anche scusare Lerner per aver espresso dei giudizi così netti a notizia calda – quando molto di quello su cui poteva costruire il suo argomentare era soltanto «la tiepida notte d’estate» o «il Mediterraneo incendiato dall’inconfondibile luce del Levante». Di quello che è accaduto sulla Mavi Marmara si dirà certamente molto ancora e sicuramente Israele prima di tutto esaminerà in maniera rigorosa gli avvenimenti della notte tra il 30 e il 31 maggio. Ma sembra che Lerner giunga a conclusioni così rapide e nette più per un istintivo riflesso di condanna per Israele tipico di certe aree politiche cui anche intellettuali ebrei come Lerner non si sottraggono, che non per un esame rigoroso dei fatti (dice Lerner «proviamo un senso di vergogna, come di profanazione per quello che vi è accaduto nell’oscurità». Noi chi? Vien da dire: usa il pluralis maiestatis, o presume di parlare a nome di altri? Nel qual caso è una bella presunzione).
Delle molte cose che colpiscono nel suo argomentare è la critica a Israele per aver rovinato i rapporti con la Turchia. Ma questi rapporti sono in stato terminale già da qualche anno soprattutto per merito del governo islamista turco che si premura di rimbrottare Israele sull’occupazione della Cisgiordania, sui diritti umani e sul diritto internazionale a ogni pie’ sospinto. È buffo che Lerner se ne accorga soltanto ora. Ed è buffo tra l’altro che sia proprio la Turchia ad adottare questi argomenti (e Lerner a prenderli come buoni, evidentemente) visto che da anni occupa il Nord di Cipro che ha trasformato in uno Stato fantoccio, che nega i più elementari diritti culturali dei curdi nel proprio Paese, che ha massacrato impunemente migliaia di propri cittadini senza troppe remore morali nella sua guerra contro il terrorismo e che continua a negare il genocidio armeno compiuto dall’impero ottomano alla cui politica il governo islamista si ispira. C’è da augurarsi che Lerner rifletta sull’ipocrisia di un governo turco, le cui azioni hanno profanato l’oscurità della notte in maniera ben peggiore di quella che lui attribuisce a Israele prima di trarre conclusioni affrettate.
Ma il facile ribaltamento delle responsabilità e del rapporto causa effetto con riguardo ai rapporti tra Israele e Turchia permette di sollevare un altro tema che risponde al paragone maldestro, anche se qualificato, tra l’Exodus e la Mavi Marmara. In realtà, per tutti coloro che in questi giorni hanno preteso inchieste e gridato al massacro, idealizzando l’accozzaglia di tagliagole e agitatori professionisti che si annidavano sulla nave, sarebbe opportuno meditare sul proprio termine di paragone – non l’Exodus che Lerner evoca per attuare un’inversione morale utile più alla sua torturata coscienza d’ebreo di sinistra che alla spiegazione della realtà – ma la Rainbow Warrior di Greenpeace. La nave di Greenpeace fu affondata nella rada di Auckland, Nuova Zelanda, da due bombe piantate da dei commando dei servizi segreti francesi per impedirle di disturbare i test nucleari di Parigi in corso all’atollo di Mururoa. Il raid fu ordinato direttamente dall’allora presidente François Mitterrand e costò la vita a un fotografo. Non ci furono inchieste internazionali o sessioni d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Non ci furono polpettoni moralistici per giorni e giorni da Jakarta a Johannesbourg. Come si spiega quest’incredibile doppio standard tra come si comportarono rispettivamente la Francia e Israele e come reagì il mondo allora e come reagisce adesso? La Francia dopotutto meritava una condanna peggiore (e le sue odierne condanne di Israele sanno dunque d’ipocrisia) di Israele. Si spiega in poche parole, specie agli occhi di commentatori avventati e di parte: non confondetemi coi fatti, mi son già fatto un’opinione.
Il Riformista 4.6.2010