Il Foglio – 20.11.2005
Si giocano sul filo dell’incredulità e della condanna, le reazioni alla notizia dell’arresto in Austria di David Irving, lo storico inglese noto in tutto il mondo per le tesi che ridimensionano il genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale e sostengono che Hitler ne fosse del tutto all’oscuro. Irving, che nel 1993 era stato espulso dalla Germania, è finito in manette l’11 novembre 2005 sulla base di un mandato di cattura emesso nel 1989, in nome della legge austriaca che condanna la negazione dell’Olocausto. E’ tuttora in custodia cautelare in un carcere di Vienna, in attesa della decisione della procura austriaca. Lo storico Luciano Canfora, al quale il Foglio ha chiesto di commentare la vicenda,dice che sulle prime non riusciva a crederci: “E’ una follia: come si fa a procedere a un arresto per un reato di pensiero?
Lo si fa solamente se c’è Robespierre al governo, se sono in gioco i destini di una rivoluzione o della nazione, se è in vigore la legge marziale. In momenti eccezionalissimi, insomma,altrimenti siamo al farsesco, al comico. Irving, in particolare, è un personaggio senz’altro irritante ma tutt’altro che sciocco, come è noto. Mi ricordo di aver apprezzato il suo famosissimo libro sulla rivoluzione ungherese del 1956, tradotto da Mondadori nel 1982, nel quale si compiaceva di dire che il gruppo dirigente dei comunisti ungheresi era fatto di ebrei. Merito di quel libro fu quello di additare lo scatto antisemita che ci fu in quella occasione. Sono convinto che anche nell’opera dello storico più discutibile ci sia sempre qualcosa di interessante. Figuriamoci se il problema non è rigettare teorie che si considerano inammissibili,ma addirittura procedere all’arresto di chi le professa…”. Non è ammissibile ma è successo. Sulla base di una legge che, secondo Canfora, “è frutto di una grande coda di paglia. Se c’è un paese che continua a soffrire di un’antisemitismo strisciante nel senso comune diffuso tra le persone, tra i bravi borghesi che mangiano la torta a metà pomeriggio, questo è l’Austria. E pensano di lavarsi la coscienza mettendo in galera uno storico per le cose che sostiene e che scrive. Anche l’Assemblea nazionale francese varò nel 1990 una legge, su iniziativa del Pcf, che prevedeva pene per chi metteva in discussione l’Olocausto. Ma, se non ricordo male, in Francia quella legge è rimasta lettera morta”.
E poi, conclude Canfora, “dipende da che cosa si propone di ottenere il legislatore con una norma. Questa può avere un valore ammonitorio,può voler scoraggiare un determinato atteggiamento.In Italia non è mai accaduto che si sciogliesse un partito perché si richiamava al fascismo, lo si è fatto solo in presenza di movimenti eversivi, ed è cosa diversa”. In Francia, come ricordava Canfora, la legge Gayssot (dal nome del dirigente comunista che l’ha proposta) dal 1990 prevede fino a un anno di prigione per chiunque neghi acclarati crimini contro l’umanità.
Già ai tempi della sua approvazione la norma fu contestata da personalità note per la loro lotta contro il negazionismo, come Pierre Vidal-Naquet. Robert Faurisson, noto storico negazionista, sollevò la questione della sua legittimità di fronte al Comitato per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, che però respinse l’istanza. In nome della legge Gayssot, tuttavia, in Francia nessuno è stato mai arrestato, come oggi avviene in Austria per Irving. Nemmeno Roger Garaudy, giudicato nel 1995 per un libro cheparlava di mistificazione a proposito del “pogrom nazista” antiebraico (il libro, tra parentesi, fu pubblicamente elogiato dall’abbé Pierre).
A giudizio di Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica di Milano, “la vicenda di Irving potrebbe essere per qualche aspetto accostata a quella degli imam integralisti seminatori d’odio. Ma se il fondamentalismo islamico è un’emergenza molto concreta, neonazismo e negazionismo (problemi storici enormi legati all’antisemitismo,e come tali da combattere e da non sottovalutare) hanno risvolti meno cogenti,almeno in questa fase. L’arresto di Irving – sostiene Reibman – dimostra il paradosso di una società che si vuole libera ma pone limiti alla libertà. Il risultato è che si ottiene l’effetto opposto a quello che si cerca: si accendono i riflettori sui teorici del negazionismo, li si fa diventare protagonisti”. Una situazione grottesca, nell’illusione “che delegare la cosa ai tribunali produca cultura antagonista al negazionismo e all’antisemitismo, mentre così non è”.
Irving contesta, minimizzandole, dimensioni e responsabilità dell’Olocausto, ma, conclude Reibman, “anche se lo negasse del tutto, è un’aberrazione, da parte di una società liberale,impedirgli con la galera di continuare a dire le sue bugie”. Nell’aprile del 2000, provocò un certo imbarazzo a sinistra la lectio magistralis tenuta all’Università di Torino dallo storico inglese marxista Eric Hobsbawm, nella quale l’autore del “Secolo breve”, proprio a proposito di un processo contro Irving che si teneva in quel periodo in Gran Bretagna,disse che le polemiche in tribunale attorno all’Olocausto sono tipiche di “un’era in cui la condanna morale ha rimpiazzato la storia”. A lui la cosa non piaceva, e lo storico Ernesto Galli della Loggia dice a sua volta che “la tutela penale della verità storica è una cosa abominevole, che ricorda altri tipi di tutela penale della verità, come quella praticata dall’Inquisizione. I tribunali devono giudicare i fatti e gli atti, non le idee e le opinioni.
Non è un caso che l’eccesso di zelo in questo senso sia da registrare in paesi che hanno sulla coscienza colpe gravi di antisemitismo, come le nazioni di lingua tedesca o come la Francia,che deve farsi perdonare il collaborazionismo. Per ragioni tutte politiche, soprattutto di immagine della loro classe politica, esse hanno adottato la linea sbagliatissima della tutela penale della verità storica”. Galli della Loggia aggiunge che “forse anche l’ebraismo è stato debole nel non capire che questo tipo di provvedimenti, apparentemente a sua tutela e a tutela di una memoria che va difesa, in realtà ottengono uno spaventoso effetto boomerang. Quando una verità storica è difesa penalmente, la gente tende a pensare che non ha argomenti a sua difesa, che se ci vogliono i gendarmi e non bastano gli argomenti qualche problema c’è. Ed è quanto di peggio l’ebraismo e tutta la cultura democratica possano augurarsi,a proposito del punto in questione”. E conclude ricordando che “la storiografia su fascismo e nazismo è diventata, da subito, oggetto di contesa politica, che riguardava i ceti politici del dopoguerra. La politica non scrive libri di storia, scrive leggi. Oggi i giudici sono chiamati a fare supplenza della politica in molti campi, ma nel caso di Irving li si chiama a prendere il posto degli storici”.
Le reazioni alla pubblicazione del testo di Finkelstein “Superare la chutzpah” (9.11.2005)
Se pubblicare l’intervista a Finkelstein rientra nella serie “facciamoci del male” allora il voto è 10 e lode. non lasciamola però sola q, perchè non cercarne altre ? di auto-odio ce n’è da vendere, trovarlo non è difficile, così come parlar male del bene è un’impresa che è sempre riuscita. di politicamente corretto si può anche morire, è sufficiente una bella indigestione. Ma perchè dare anche una mano ?
Angelo Pezzana
Caro David, non capisco cosa stai facendo. Prima dai voci ai più sfegatati difensori di Gaza, con appelli alla secessione dello stato e promesse di sfracelli per fortuna non mantenute; poi a questo tipo, che ha evidente rancore nei confronti di Israele e dice le cose che sentiamo dagli autonomi qui. Oltretutto non le argomentazioni del libro, ma una specie di apologia da sputasentenze (se ha un pensiero suo originale o dei fatti da discutere , l’intervista non aiuta a tirarli fuori, sono solo sentenze sputate come una mitragliatrice sputa proiettili). Ti domando che senso hanno queste scelte, che cosa vuoi mostrare o dimostrare. Quel che emerge per me è solo un dibattito schizofrenico, senza lucidità strategica, inutile a capire quale sia non dico la strada giusta per Israel, ma una qualunque possibilità razionale. Una specie di zoo delle idee, disperante perché confuso. Non ti scrivo perché tu pubblichi questa lettera, non mi importa. Ti chiedo solamente di spiegarmi il tuo lavoro redazionale. Grazie
Ugo Volli
Spero di leggere al più presto commenti “competenti” a questa intervista che mi ha colpita non poco. Mi sembra un attacco così impietoso nei confronti delle preoccupazioni per l’emergere sempre nuovo di forme di antisemitismo, che pare togliere ogni credibilità a qualunque posizione contraria a quella di questo autore. Nobile l’atteggiamento autocritico “dal di dentro”, ma sarà così motivato? Questo articolo arriva inaspettato in un momento in cui pareva di poter assistere ad un atteggiamento un po’ meno prevenuto nei confronti di Israele e sembrerebbe fornire ragioni ai fautori del “se” e del “ma”.
Sono davvero sconcertata e attendo i commenti di qualcuno che faccia chiarezza, con pacatezza ma in modo lucido e documentato.
Grazie
Patrizia Sampietro
Sono francamente indignato da questa ignobile intervista e ancor più scandalizzato dal fatto che l’intervistato venga definito infaticabile e meticoloso ricercatore.
Non basta propalare le menzogne, occorre pure accreditarle come prodotte professionalmente.
Perché non pubblichiamo anche il libro di Rabkin, e tutte le fandonie dei nuovi storici pagate a suon di dollari dall’ANP?
Giorgio Israel
Sinceramente non capisco che bisogno ci sia di diffondere le panzane di Norman Finkelstein. Egli ha trasformato in business la denigrazione di Israele e degli ebrei. Affari suoi,
Sergio Minerbi
Perché lo abbiamo pubblicato? Perché si sappia che esistono ebrei che sostengono tesi simili, perché (speriamo) di non aver nulla da temere a leggerle e confutarle e infine perché riteniamo queste tesi la necessaria conseguenza di chi ha legato il nostro diritto a uno stato alla tragedia della shoah.