Un membro abbiente della Comunità di Carpi promette di stanziare una somma considerevole per il restauro del BHK, a condizione che nell’edificio così rinnovato si adotti per le Tefillot il rito da lui personalmente seguito, diverso da quello della Comunità. Il Consiglio chiede il parere di R. Shimshon Refael Morpurgo di Gradisca, già discepolo di R. Sh. Abohab e all’epoca Rabbino di Ancona (1681-1740), autore dei Responsa Shemesh Tzedaqah. Ecco la sua risposta:
“Qualsiasi persona istruita sa che ogni Minhag ha il proprio Angelo in Cielo, responsabile del’accoglimento delle preghiere (1). Chiunque osi cambiare l’uso dei suoi padri e “spostare l’eredità dei Figli d’Israele da una tribù all’altra” (Be-midbar 36,7) scenderà (Devarim 28,43), ci perderà (Bavà Metzi’à 6,2) e trasgredirà la proibizione “non abbandonare la Torah di tua madre” (Mishlè 1,8) (2). Tutto ciò non si riferisce soltanto alla liturgia sinagogale in generale, ma anche al mutamento di specifici dettagli della Tefillah persino se sconvenienti, come l’uso di mettere le corone del Sefer Torah in testa ai Chatanim a Simchat Torah, o la lettura della Haftarah in greco a Yom Kippur (Resp. Maharam da Padova, n. 78) (3), o la lettura della Parashah sul Sefer Torah posto sulla schiena dello Shammash a Tish’ah be-Av (Resp. Devar Shemuel, n. 249) (4) e così via, usi strani, del tutto sconosciuti ai nostri Maestri, a dispetto della frase: ‘osseh chadashot, ba’al milchamot” (“colui che introduce novità va incontro a guerre” – dalla Tefillah del mattino).
Molte volte sono stato consultato su Minhaghim e modestamente ho suggerito di mantenerli così come sono. E’ infatti proibito costringere una Comunità a rinunciare a una usanza, in base al versetto: “non sottraete nulla (alla Mia Parola)”, mentre colui che aggiunge o innova qualcosa trasgredisce alla prima parte dello stesso versetto: “Non aggiungete alla Parola che Io vi comando” (Devarim 4,2) (5). Nel nostro presente esilio (‘Ov. 1,20), essendo noi Ebrei sparpagliati e dispersi fra le nazioni (Est. 3,8), senza quasi più Virtù rimaste e spezzata la catena della Tradizione, solo i Minhaghim della nostra generazione hanno il potere di rimetterci nell’antica posizione (di gloria). Evitiamo pertanto altre disgrazie aggiungendo o togliendo, costruendo e demolendo, innovando ogni giorno opere “differenti, strane e detestabili” (ma’assim shonim, meshunnim u-snuim) che dividono i nostri cuori e fanno impazzire le nostre menti… Una volta un cantore mi disse che durante Rosh ha-Shanah e Yom Kippur stava bene attento a non cambiare nulla, neppure una parola o una melodia rispetto al Minhag della Comunità. Temeva potesse succedergli ciò che accadde al tempo del Maharil: la figlia di un Chazan morì improvvisamente e Maharil attribuì la tragedia al fatto che una volta suo padre aveva cantato una Selichah non in uso in quel BHK per rispetto del suo autore che era sepolto in quella città e giunse alla conclusione che persino i Niggunim non vanno mutati, se l’uso locale è diverso” (n. 11) (6).
R. Morpurgo riassume tutta la letteratura halakhica dei Rabbini ashkenaziti sull’argomento. Egli ritiene proibito modificare i Minhaghim esistenti in una Comunità per quanto sconvenienti e inopportuni possano essere e cambiare persino le melodie degli Yamim Noraim per tre ragioni: 1) Ogni Minhag ha il suo Angelo in Cielo; 2) “Colui che introduce novità va incontro a guerre”; 3) Nella Diaspora manca una tradizione di studio definita: pertanto la giusta attenzione ai Minhaghim è essenziale per l’unità della Comunità. Ma la pace resta il valore più grande. “Se dipendesse da me, parlerei al cuore di quel ricco signore e cercherei di convincerlo a non mettere la sua anima in un simile pericolo e a non toccare i Minhaghim della Tefillah. Ciascuno si attiene alla propria opinione e non saranno attraversati da spirito di contesa. Eviteranno ogni frattura e la Shekhinah continuerà a dimorare fra loro. Nostro dovere è amare la pace e perseguire la pace. Il Re cui appartiene la pace benedirà il Suo popolo con la pace”.
(1) Vedi R. Moshe Sofer, Resp. Chatam Sofer, Orach Chayim n. 15-16: “Tutti i Minhaghim hanno lo stesso intento. Tutte le Tefillot sono egualmente accolte, ancorché siano ammesse in Cielo attraverso porte differenti, in base al rispettivo modo di esprimersi”. La Tefillah è come la Nevuah: “lo stesso messaggio è condiviso da più Profeti, sebbene il loro stile sia differente. Con questo non puoi dire che la Profezia si presti a cambiamenti: è una questione di espressione personale”. La Profezia nasce in Cielo e scende sulla terra, mentre la Preghiera nasce sulla terra e sale in Cielo.
(2) Si veda la risposta di R. Yochanan agli abitanti di Bayshan che volevano recarsi da Tiro a Sidone il venerdì contrariamente all’uso dei Padri di astenersi dal viaggiare per non rischiare di tardare e profanare Shabbat (TB Pessachim 50b).
(3) Vedi il suo Responsum a R. Eliah Capsali di Candia: “L’uso locale a Yom Kippur era di leggere in ebraico solo i primi tre versetti di Yonah e tradurre il resto in greco. Benché l’uso sia certamente strano, non abbiamo il permesso di abolire una prassi così antica sulla base del nostro intelletto. Non possiamo che sforzarci di trovarle una giustificazione, come hanno sempre fatto i nostri antichi Maestri di fronte a qualsiasi usanza dubbia”. Cfr. TJ Berakhot 3,2; Hagahot Maymoniyyot, Hil. Tefillah 12, 10. Sull’uso del greco come lingua della Tefillah nei tempi antichi v. V. Colorni, L’uso del Greco nella liturgia del Giudaismo Ellenistico e la novella 146 di Giustiniano, in “Judaica Minora”, Milano, 1983, p. 1 ss.
(4) La questione fu posta da R. Binyamin Kohen Vitale (Rabakh) da Reggio. L’uso di non leggere il Sefer Torah dal Dukhan simboleggia l’idea dell’esilio e della conseguente umiliazione dovuta alla Distruzione del Bet ha-Miqdash. La risposta del Devar Shemuel è un capolavoro di diplomazia: “Sebbene quest’uso mi pare assai strano e non ho trovato alcuna ragione plausibile per mantenerlo, d’altronde le porte dell’obiezione non sono ancora definitivamente chiuse davanti a chi vorrebbe proibirlo per il solo fatto che non si trova mai menzionato nella letteratura dei nostri Maestri. Se pertanto la sua abolizione dovesse accendere il fuoco della controversia fra i membri della Comunità, ogni decisione è lasciata al cuore dei tementi di H., le cui vie sono “vie di dolcezza” (darkhè no’am, Mishlè 3,17). Questi considereranno la perdita derivante dal fatto di non osservare una Mitzwah (quella di abolire un uso improprio) a fronte della ricompensa dovuta al fatto di aver mantenuto la pace e sceglieranno il male minore. Dovrai condurre le cose con dolcezza e attirare i loro cuori “con corde d’amore” (Hos. 11,4). Devi scegliere il modo più opportuno per ottenere un consenso generale sulla deliberazione migliore”. In realtà lo Shibbolè ha-Leqet riporta il Minhag di leggere il Sefer Torah “fra le braccia” dello Shammash (beyn zero’otaw). Nel Seder Meghillat Sedarim con i Minhaghim della Comunità di Reggio, di datazione incerta ma sicuramente posteriore, il Minhag non è più riportato: mannichin shulchan qatan derekh ‘aray lifne ha-aron (“si colloca un tavolino provvisorio davanti all’Aron”).
(5) La letteratura rabbinica fornisce molti supporti a favore della conservazione dei Minhaghim esistenti in genere. Vedi Sefer Chassidim, chap. 114: “coloro che osano cambiare antichi rituali e inserire poesie diverse da quelle invalse violano il divieto di “spostare il confine di un campo stabilito dagli antichi” (Deut. 19, 14; Prov. 22,28). La fonte è in Midrash Mishlè 22, 28.
(6) Questa è la Halakhah. Vedi R. M. Isserless, Orach Chayim 621,1.