Si riconsegnano i quadri sottratti (fa pubblicità) ma in altre vertenze si usa il freno. Costretti da Hitler a svendere aree non più restituite
Roberto Giardina
Hanno fatto sensazione la scoperta e il sequestro di 1.280 capolavori del Ventesimo secolo a casa di un anziano signore a Monaco. Cornelius Gurlitt, 80 anni, è il figlio di un grande esperto e mercante d’arte nella Germania nazista. Il padre si era appropriato con pochi marchi delle opere di proprietà di famiglie ebree costrette alla fuga o finite nei forni crematori? E dei quadri dei musei tedeschi condannati da Hitler come arte degenerata? Probabile, ma difficile da dimostrare, e il procuratore ha già deciso di cominciare a restituire almeno 300 tele a Herr Gurlitt.
Suo padre non comprò sempre in modo illegale, e provare un acquisto illecito oggi non è facile. Comunque, prima o poi, la collezione tornerà allo stato tedesco, perché Gurlitt non ha eredi, e non pensa di alienare i capolavori.
Ma la burocrazia tedesca non è sempre così attenta nel rendere giustizia alle vittime del III Reich, come denuncia lo Spiegel nel suo ultimo numero: Die Schande von Teltow, è il titolo dell’articolo, la vergogna di Teltow, zona alla periferia di Berlino. Da 22 anni gli eredi della famiglia Sabersky si battono invano per riavere un vastissimo terreno edificabile, che furono costretti a svendere prima di fuggire all’estero. Accertare i loro diritti dovrebbe essere molto più semplice che trovare i legittimi proprietari di un quadro, anzi la situazione giuridica sembra evidente, ma la zona, in totale oltre mille appezzamenti edificabili su 84 ettari, ha un enorme valore e l’amministrazione pubblica è decisa a non perderne il controllo.
I Sabersky sono ebrei ed erano una delle famiglie più note e abbienti nella Germania tra le due guerre. Oltre a proprietà terriere, possedevano partecipazioni nelle principali industrie dell’epoca, e anche nell’azienda elettrica della metropoli. Fin dai primi mesi dopo la presa di potere di Hitler, nel 1933, è vietato ai Sabersky esercitare le loro attività imprenditoriali, e sono costretti a cedere i terreni alla cittadina di Teltow, che oggi dipende da Potsdam, la capitale del Brandeburgo, il Land che circonda Berlino.
I Sabersky riescono a fuggire in tempo e emigrano negli Stati Uniti. Con la divisione della Germania, dopo la guerra, i loro terreni finiscono a ridosso del «muro», ma dalla parte sbagliata, nella Ddr: Gli eredi si rassegnano. Con la riunificazione, nel 1991, possono tornare a far valere i loro diritti. Peter Sonnenthal, nipote di un Sabersky berlinese, all’epoca 37 anni, è uno dei più noti avvocati americani, e decide di chiedere, a nome della famiglia, la restituzione dei beni. «Ma ho sottovalutato la burocrazia e la giustizia tedesca», denuncia. Si è dovuto trasferire a Berlino, e da 22 anni si batte contro cavilli assurdi: «Vengono negati fatti storici, il diritto è violato, e si dà ragione ai nazisti di Teltow contro le loro vittime».
Due giudici di Potsdam, sempre gli stessi da 16 anni, giocano tra loro per perdere tempo, annullando quel che decide uno per fare il contrario, e prolungare la vertenza all’infinito. Con motivazioni a volte assurde: in questi anni nella zona sono cresciuti alberi che non si possono abbattere, ma la fascia intorno al muro era di fatto abbandonata. Oppure si pretende che la zona sia edificabile purché si rispettino le regole edilizie del III Reich. Robert Unger, l’avvocato berlinese che assiste i Sabersky, denuncia: «Asserire che questa famiglia ebrea vendette le sue proprietà ai nazisti di propria volontà è assurdo e grottesco. È una vergogna». La città di Teltow in una lapide ricorda «i concittadini ebrei vittime dei nazisti», ma i soldi sono un’altra cosa. Oggi la metropoli si è estesa e quei terreni valgono miliardi di euro.
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