Maria Luisa Benigni Moscati
- Storia antica
- La “cattività babilonese”
- L’occupazione romana
- Correnti mistiche al tempo di Gesù
- Distruzione del II Tempio
- Nuova ripresa degli studi
- Cristianesimo e antigiudaismo
- La nascita dell’islamismo e gli ebrei
- Gli ebrei in Europa nei secoli a cavallo del primo millennio
- Le Crociate
- Conseguenze delle Crociate per gli ebrei
- Conseguenze economiche delle Crociate
- Funzionamento della “condotta” feneratizia
- Gli ebrei nel Rinascimento
- La cacciata dalla Spagna
- Dalla Cacciata dalla Spagna a oggi
Quattromila anni di storia ebraica, da Abramo ai giorni nostri, difficilmente potrà essere narrata in cinque incontri senza tralasciare eventi importanti, tanto più che essa si svolge in gran parte nelle terre di esilio e quindi in condizioni di vita totalmente diverse da paese a paese. È la storia di un popolo che, “disperso” (diaspora) tra gli altri popoli per quasi venti secoli, resterà tuttavia unito da una comune fede e dal tramandarsi, di generazione in generazione, delle stesse antiche tradizioni.
Non a caso il nostro termine “storia”, non trova nella lingua ebraica altro termine equivalente che “toledoth” (generazioni). Nelle vicende umane delle toledoth e nei luoghi della rivelazione, è costante la presenza di Dio: è pertanto impossibile tracciare una storia laica del popolo d’Israele.
Si può iniziare a parlare degli ebrei da Abramo (XVIII a.e.v.)poiché è accanto al suo nome che appare per la prima volta l’appellativo “l’ebreo” (Genesi 14: 13), forse perché viene dall’altra parte del fiume o perché, fra tanti idolatri, è l’unico ad adorare un solo Dio o più semplicemente perché era nipote di Eber (Genesi 11: 14,17). Da Abramo e Sara nascerà Isacco: quella della sua nascita, è la prima “Annunciazione” a dir poco anomala che incontriamo nei testi sacri tanto che suscita il “riso” (Isacco=figlio del riso) negli stessi protagonisti, e in tanta gioia anche Dio sorride (forse è l’inizio dell’autoironia di tanta letteratura ebraica).
Isacco sposa Rebecca e nascono Esaù e Giacobbe. Quest’ultimo sarà chiamato anche Israele, pertanto da questo momento i suoi discendenti potranno essere chiamati indifferentemente ebrei o israeliti, ma sarebbe ancora storicamente inesatto chiamarli giudei.
Giacobbe sposa Lea e Rachele, nasceranno dodici figli capostipiti delle dodici tribù. In realtà solo undici tribù discendono dai figli, poiché i figli di Levi, iniziando la casta sacerdotale non avranno terra, pertanto torneranno a dodici con Efraim e Manasse, figli del figlio Giuseppe. I più famosi saranno Giuda da cui discenderà Re David, Giuseppe che, divenuto poi viceré d’Egitto, salverà la sua famiglia dalla carestia, e il più piccolo e il più amato Beniamino.
Per quattrocento anni resteranno in Egitto, prima liberi poi schiavi finché nascerà Mosè, il salvatore del suo popolo. Sfuggito alla strage dei figli maschi degli ebrei ordinata dal faraone, Mosè riuscirà a guidare gli ebrei al di là del Mar Rosso fino al deserto del Sinai. Si calcola che l’Esodo avvenne tra il XIII / XII secolo a.E.V., e pertanto i Comandamenti regolano la vita degli ebrei da circa tremila e cinquecento anni. I 600.000 ebrei usciti dall’Egitto vagheranno nel deserto per quarant’anni finché sarà una generazione del tutto nuova e libera ad entrare nella Terra Promessa sotto la guida di Giosuè.
A Giosuè seguono i Giudici, capi carismatici cui il popolo si rivolge per essere guidato (Gedeone, Sansone, Debora la profetessa…). In questo periodo va inquadrata la storia narrata nel “Libro di Ruth” la moabita. Ma vivendo tra popoli pagani, gli ebrei rischiano di allontanarsi dalla via indicata dalla Torà, e inoltre, ora che hanno la terra, debbono continuamente difendersi dai continui attacchi dei Filistei, per cui è il popolo stesso che chiede a Samuele, l’ultimo dei Giudici, di “avere un re come l’hanno tutti i popoli vicini”. Samuele è contrario, tuttavia democraticamente acconsente purché il sovrano accetti una specie di “costituzione” che ne limiti il potere, e ungerà re, Saul.
(Il Re “dovrà- tra l’altro- scrivere per suo uso una copia della Torà…e la leggerà per tutta la sua vita per apprendere a temere l’Eterno…ed eseguire i precetti, in modo da non ritenersi superiore agli altri fratelli ed attenersi alla legge uguale per tutti”. Deut. XVII:18,20). È la prima monarchia costituzionale della storia.
Inizia quindi il periodo dei Re con Saul, cui succederà David, il più amato e autore dei Salmi, e poi suo figlio Salomone, il saggio “la cui parola era rispettata dall’Egitto sino all’Eufrate”. A lui sono attribuiti tre libri della Bibbia,( i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l’Ecclesiaste) e sarà lui a edificare il sacro Tempio a Gerusalemme, capitale del suo regno.(X a. E.V.)
Dopo la morte di Salomone (922) gli succede il figlio Roboamo,ma il regno si divide in due: al Nord il regno di Israele in cui dieci tribù sostengono Geroboamo e al Sud il regno di Giudacon le tribù di Giuda e Beniamino fedeli a Roboamo, con capitale Gerusalemme. ( a questo punto si può parlare di ebrei-giudei, cioè abitanti della Giudea).
Al Nord si susseguono vari re ma l’idolatria, professata da tutti i popoli circostanti è in agguato e contro di essa si scaglia il profeta Elia. (Si salva perché rapito in cielo su un carro di fuoco: è il primo e unico caso, nell’Antico Testamento, di Assunzione in cielo in carne ed ossa). Nel 722 a.E.V. il regno del Nord fu spazzato via dagli Assiri, da sempre in lotta con gli Egizi per il predominio del Medio Oriente. Questi deportarono tutti gli ebrei e nulla si seppe più di quelle 10 tribù. Tutto questo era stato profetizzato dai profeti Amos e Osea. (Era l’anno della fondazione di Roma).
Anche il regno del Sud, la Giudea, governato da sempre da re discendenti della casa di David, era oggetto delle mire espansionistiche degli Assiri, ma sempre gli ebrei erano riusciti ad evitare il peggio, sostenuti dalla predicazione di profeti come Michea, Isaia e Geremia. Con il crollo improvviso dell’impero assiro però, prenderà il sopravvento quello babilonese e il re Nabuccodonosor pone l’assedio a Gerusalemme. Dopo mesi di stenti, il 9 di Av dell’anno 586 a.E.V., la capitale è rasa al suolo, il Tempio saccheggiato e distrutto, tutti gli ebrei-giudei deportati in Babilonia. Resteranno soltanto”i più poveri della terra” (2 Re XXV,12)
È a questo punto che, perso il regno, per scongiurare il pericolo dell’estinzione totale del popolo ebreo, il profeta Ezechiele vede nella religione l’unica possibilità di sopravvivenza, in quella condizione di schiavi in un territorio ostile. Riuniti gli anziani, insieme concordano che sarà lo studio sistematico della Torà a tenere unito Israele. Sorgono così le sinagoghe, cioè scuole in cui studiare e pregare.
Quest’uso continuerà anche quando Ciro, re di Persia, conquistata nel 516 a.E.V. Babilonia, permetterà agli ebrei di ritornare in patria. (Molti resteranno nell’impero persiano: vedi la storia narrata nel “Libro di Estèr”). A Gerusalemme sarà ricostruito il secondo Tempio, ma nelle sinagoghe al posto degli antichi sacrifici sarà instaurato il culto della Parola di Dio, parola da leggere studiare, da scrivere e commentare.
Quindi passando dall’ebraismo pre-esiliaco al giudaismo, la classe dominante non sarà più quella sacerdotale, aristocratica (discendenti diretti di Aronne), ma una classe di laici chiamati “soferim” (scribi) tra i quali sorgerà più tardi una categoria di dotti, i farisei, di umile estrazione sociale, ma al tempo molto rispettati per la loro sapienza, anche se poi ingiustamente vituperati.
Allorché, nel 332 a.E.V., Alessandro Magno conquista la Persia, si impadronisce anche della Giudea. Lascia i popoli conquistati liberi di continuare ciascuno le proprie usanze, ma si diffonde, anche tra gli ebrei, la pericolosa tendenza all’ellenizzazione che si traduce in una sconfinata ammirazione per tutto ciò che è greco. Viene abbandonata persino l’antica lingua dei padri e la Bibbia viene tradotta in greco ( è detta dei Settanta perché tanti erano gli anziani che si dedicarono all’immane lavoro).
Uno dei successori di Alessandro Magno, il re Antioco IV Epifane, proibisce il culto, la circoncisione e il Sabato e arriva persino a profanare il sacro Tempio tanto da dedicarlo a Zeus Olimpico sacrificando animali impuri. Ciò suscita l’immediata rivolta degli ebrei, i quali, capeggiati dal sacerdote Mattatià Asmoneo e dai suoi cinque figli, percorrono il paese distruggendo gli altari pagani, sbaragliando truppe ed eserciti inviati dalla Siria per sottometterli. Particolarmente valoroso è uno dei figli, Giuda detto il Maccabeo (cioè il martellatore), e il soprannome passò quindi anche a tutti gli altri. Grazie alla vittoria dei fratelli Maccabei (167 a. E.V.) il tempio verrà riconsacrato il 25 del mese di Kislev (dicembre), data che segna la rinascita del culto, e ancor oggi si celebra la festa di Chanukkà con l’accensione della lampada ad otto luci.
Tuttavia nelle lotte seguenti tutti i fratelli Maccabei vennero uccisi ad eccezione di uno, Simeone, che viene poi eletto nella doppia carica di Sommo Sacerdote e governatore civile. (Questa la storia, ma secondo una leggenda i fratelli erano sette)
L’urna contenente i resti dei fratelli Maccabei, portata a Roma sei secoli più tardi da papa Pelagio di ritorno da un pellegrinaggio in Palestina, si conserva oggi in San Pietro in Vincoli. La Chiesa festeggia il 1° di agosto gli eroici fratelli che con il loro sacrificio hanno permesso la sopravvivenza dell’ebraismo senza il quale non sarebbe sorto il cristianesimo.
Roma, che inizialmente aveva appoggiato la ribellione maccabea contro la Siria, guarda poi con sospetto l’espandersi della Giudea durante il regno di Alessandro Janneo.
Alla morte di quest’ultimo era scoppiata una guerra civile tra i suoi successori ed uno di questi, Ircano, si affida alla politica del suo potente primo ministro Antipatro, un idumeo discendente da una famiglia convertita a forza dagli asmonei.
Questi preferì porsi sotto la protezione di Roma stipulando un accordo con il generale romano Pompeo (63 a. E.V.) che, occupata Gerusalemme, trasformerà la Giudea in provincia romana. Giulio Cesare ne affiderà l’amministrazione ad Antipatro.
Nel 37 a. E.V. Roma nominerà re, il figlio di Antipatro che passerà alla storia col nome di Erode il Grande, e il suo regno durerà sino all’anno 4 prima della nascita di Gesù. (Da ciò deriva che, se il neonato Gesù ha rischiato di essere ucciso nella cosiddetta “strage degli innocenti”, allora la sua nascita va anticipata di almeno quattro anni.)
In molte opere Erode fu grande, costruì la città di Cesarea, fortificazioni come Masada, dotò di torri Gerusalemme, lastricò strade in Antiochia, acquedotti e palestre e soprattutto ricostruì il Tempio con candidi marmi e la cupola coperta d’oro e argento nei decori e tanto durarono i lavori che quando il Tempio verrà distrutto, le decorazioni non erano ancora ultimate.
Erode però si macchiò anche di orrendi delitti: sterminò gli asmonei, sospettoso fece uccidere i propri famigliari, mise a morte i quarantasei membri del Sinedrio e lo ridusse a solo tribunale religioso, e infine morì consumato dalla pazzia.
Fu l’ultimo re, poiché dopo di lui la Giudea passerà sotto il controllo di governatori romani che susciteranno spesso l’indignazione dei giudei ferendone il sentimento religioso.
4. Correnti mistiche al tempo di Gesù di Nazareth
Alle complicate vicende dinastiche si intrecciano quelle dei vari partiti, o correnti socio-religiose. C’erano i Sadducei, nobili, ricchi proprietari e alti sacerdoti. Riconoscevano la sola Torà scritta e poiché in Essa non c’è alcun riferimento alla sopravvivenza dell’anima, ciò non rientrava nel loro orientamento. Erano favorevoli allo sviluppo militare e a Roma.
I Farisei invece, si mantenevano con il loro lavoro di rabbini (rabbi=maestro) e studiosi, ed erano sostenuti dal popolo. Riconoscevano ovviamente l’importanza della Torà scritta, ma ad essa affiancavano la legge orale, data da Dio a Mosè e trasmessa di generazione in generazione. Dio interviene nei fatti del mondo, pur lasciando all’uomo la libertà di agire. A seconda delle sue azioni, avrà il premio o il castigo nella vita futura poiché era innegabile la sopravvivenza dell’anima.
Erano contrari alle guerre di conquista. Si deve ai farisei l’introduzione della ketubà (contratto di nozze) che tutela i diritti della donna.
Al tempo di Gesù di Nazareth c’erano due grandi maestri farisei: Shammai, particolarmente rigido sull’osservanza dei precetti, e il saggio Hillel, mite e tollerante, insisteva particolarmente sul comportamento verso il prossimo. Gesù, a giudicare dal contenuto dei suoi discorsi riportati nei Vangeli, doveva essere della scuola di Hillel che, ad un pagano che gli chiedeva di spiegare in breve la Torà, aveva risposto: “Quello che è odioso a te, non farlo al tuo prossimo: questa è tutta la Torà, il resto è commento” e aggiunse “va’ e studia”. Così pure di Hillel sono i brani biblici usati per la preghiera Avinu Malkenu (Padre nostro) e in generale il contenuto delle parabole.
C’erano poi altre correnti mistiche come gli Esseni, studiosi, pacifisti seguivano strettamente i precetti, ma vivevano in comunità e conducevano una vita austera e casta: oggi li chiameremmo monaci.
Del tutto diversi gli Zeloti, veri guerriglieri contrari al dominio romano che combatteranno sino all’ultimo tanto che, dopo la distruzione di Gerusalemme, si ritireranno nel palazzo di Erode nella fortezza di Masada resistendo all’assedio dell’esercito romano per ben tre anni. Quando si resero conto dell’impossibilità di resistere oltre all’assalto dell’intera Decima legione, nel 72 d.C., si uccisero in massa, erano 960 compresi le donne e i bambini, così che il generale Flavio Silva non poté fare prigionieri, trovò anzi cesti di frutta e cibi ordinatamente disposti perché sapesse che non si erano arresi per fame.
C’erano infine altre sètte come quella della “Nuova Alleanza e i “monaci” di Qumran, tutti movimenti pervasi da uno spirito apocalittico da fine del mondo e di attesa del Messia ( attesa che sempre riaffiora nei momenti più tragici della storia ebraica).
È in questo clima di insofferenza verso il dominio romano, di attesa di eventi apocalittici e messianici, che nasce Gesù di Nazareth.
La sua predicazione era seguita dai fedelissimi ma anche dalle masse dei giudei e se ciò si fosse limitato alle lontane province, non avrebbe suscitato alcun timore, ma a mano a mano che Gesù si avvicinava a Gerusalemme, il Procuratore romano, Ponzio Pilato, cominciò a “pensare che mirasse a diventare Re dei Giudei ( questa l’accusa politica). Pilato aveva affidato al Sinedrio, di nomina romana, il compito di denunciare qualunque sedizione o attentato alla sovranità di Roma. Tale sembrò l’attività di Gesù: il Sinedrio però non aveva la competenza di condannare a morte per un reato politico. La decisione definitiva passò a Pilato..”. Del resto se fosse stato condannato dagli stessi ebrei, sarebbe stato lapidato: la crocefissione era il tipico strumento di tortura inferto in base alla legge romana e migliaia furono gli ebrei crocefissi in quegli anni dai romani
Gesù comunque, nato ebreo e vissuto sino alla fine da ebreo, ripeteva spesso la frase “Non cambierò uno iota (Lettera ebraica a forma di virgola, si legge -i-) della Legge di mio Padre”, chi invece cambiò il senso della sua predicazione fu Paolo di Tarso. Questi aveva compreso che non poteva iniziale la predicazione, e conversione dei pagani, partendo dall’accusa di aver crocefisso proprio Colui al quale voleva convertirli, né poteva imporre loro l’osservanza delle mizvot ( precetti) e tantomeno la circoncisione. Così a poco a poco giudaismo e giudaismo-cristiano prendono vie diverse, non senza forti tensioni.
Intanto però il monoteismo ebraico, diffuso sia dagli stessi ebrei sia dai pagani diventati cristiani, si stava diffondendo anche in occidente, specie a Roma ove esisteva già da secoli una numerosa comunità ebraica.
Nella prima metà del primo secolo d.C. le lotte tra romani ed ebrei si fanno sempre più frequenti. I sadducei, forse nella speranza di mantenere un governo stabile, collaboravano con i romani, mentre coloro che erano animati da uno spirito zelante (zeloti) verso il Dio di Israele non accettavano i soprusi dei romani. Inoltre ritenevano che impoverire la Giudea per mandare i pesanti tributi che Roma, pagana, esigeva, era un atto di apostasia nei confronti del loro Dio. Infatti accadeva che, con il pretesto di tributi non pagati, il governo romano molto spesso attingesse direttamente al tesoro del Tempio.
Perciò preferivano combattere anche se ciò, vista la preponderante forza nemica, significava sovente il martirio.
Nel 66, a Cesarea, dopo una vertenza legale, un gruppo di greci per festeggiare la vittoria invadono il quartiere ebraico trucidando decine di ebrei, il tutto sotto gli occhi indifferenti delle milizie romane. Allora ebrei irati si riversano a Gerusalemme e occupano la città sbaragliando la guarnigione romana. Roma invia ben quattro intere legioni al comando del generale Vespasiano il quale con tutta calma occupa le fortezze della costa e le vie di comunicazione e infine pone l’assedio alla città di Gerusalemme. Ma, proclamato imperatore, nel 69 riparte per Roma lasciando al figlio Tito la conquista della città.
Lo storico Giuseppe Flavio racconta nelle Guerre giudaiche gli ultimi mesi della impari lotta con particolari terrificanti.
60.000 i soldati romani ben armati, che tuttavia impiegano mesi per strappare palmo a palmo la città difesa da 25.000 ebrei muniti più di fede che di armi.
Nell’anno 70 d.C., ancora una volta è il giorno 9 del mese di Avche vede crollare il sacro Tempio, tra le rovine di Gerusalemme in fiamme, il popolo inerme portato a morire nelle arene di Antiochia e Roma o venduto come schiavi. Si racconta che erano così tanti gli schiavi ebrei (uomini e donne e bambini) messi sul mercato che il loro valore crollò tanto che uno schiavo costava meno di un cavallo.
Tito, per rendere più grandioso il suo trionfo, porta a Roma, oltre a cinquemila ebrei schiavi, anche il tesoro del Tempio compreso il grande candelabro a sette bracci (menorà) raffigurato nell’Arco di Tito.
Ancora una volta è lo studio della Torà e l’osservanza delle mizvoth (precetti) a far sì che l’ebraismo sopravviva alla catastrofe. Infatti già da qualche anno si era costituito a Yavne un Centrodi studiosi guidati da maestri farisei. Dopo la caduta di Gerusalemme, prevedendo una dispersione totale, la diaspora appunto, si cerca di mettere per iscritto quanto sino ad allora aveva fatto parte della tradizione orale come gli usi da seguire per l’attuazione dei precetti, il risultato delle discussioni in materia di carattere legale (halachà), o quelle per la scelta dei libri da accettare nel “canone”.
Infine l’intero testo biblico viene tradotto in greco da Aquila ( in aramaico Onkelos), un figlio della sorella di Tito, convertitosi all’ebraismo.
Uno dei maggiori maestri di Yavne, rabbi Akivà incita gli ebrei ad una nuova rivolta contro Roma, ma nonostante l’aiuto di migliaia di correligionari accorsi dalle comunità disperse, dopo tre anni di lotte, quando i romani sembravano ormai definitivamente cacciati, avviene la sconfitta definitiva (135 d.C.).
Il generale romano Severo, giunto per soffocare la rivolta, applicherà le spietate decisioni di Roma: tortura a morte per Rabbi Akivà, costruzione di un tempio dedicato a Giove sulle rovine del Tempio a Gerusalemme, interdetto l’accesso alla città a qualsiasi ebreo, cambiato il nome alla città stessa che diventa Aelia Capitolina e, come massima offesa al popolo d’Israele, il territorio prenderà il nome di Palestina, (Phalestina) cioè terra dei filistei, gli antichi nemici d’Israele. Gli ebrei dispersi si riuniscono in comunità lungo tutte le coste del Mediterraneo, ma piccoli gruppi non lasceranno mai definitivamente la Terra.
Diventato imperatore Antonino Pio, mite e tollerante tanto da revocare le precedenti interdizioni, gli ebrei rimasti in Palestina riprendono gli studi in Galilea e nasce così la Mishnà, un ampio trattato in 6 Libri o Ordini contenente le norme già stabilite e i commenti dei Maestri e più tardi verrà completata la stesura del Talmùd, in collaborazione con le scuole di Babilonia. Piuttosto che il Talmùd Gerosolimitano, meno approfondito per la mancanza di tranquillità degli studiosi palestinesi, sarà più seguito il Talmùd babilonese data la maggior ricchezza del testo. Degna di nota è una disposizione che regola la vita degli ebrei ormai dispersi nella diaspora “Dinà malchutà, dinà“ (La legge dello stato in cui si risiede, è legge), e questa è, ancor oggi, una norma vincolante per tutti gli ebrei del mondo.
7. Cristianesimo e antigiudaismo
All’inizio il cristianesimo non era che una delle tante correnti religiose sviluppatesi in seno all’ebraismo e per molto tempo restò legato all’osservanza della Legge e dei precetti, come del resto avevano fatto Gesù e gli apostoli. Anche fra i primi martiri cristiani al tempo di Nerone la separazione tra ebrei-ebrei e ebrei-cristiani non era ancora così netta. La frattura avverrà con l’abbandono, da parte degli ebrei-cristiani, della Torà e dell’osservanza dei precetti, e con il riconoscimento di Gesù come Messia, mentre per gli ebrei, fedeli al Dio Unico, era impossibile accettare la “Trinità” e il Messia dal momento che non si era realizzata l’era messianica annunciata dai profeti, cioè un regno di pace con un unico Dio per tutta l’umanità.
Fu il greco Marcione che per primo si scagliò contro i giudei dando il via a quella “cultura del disprezzo” che per secoli sarà causa di feroci persecuzioni. Fondò a Roma, nel 140, una sètta ( gli gnostici) che, respingendo l’Antico Testamento, si proclamava unica detentrice della verità dando dell’ebraismo un’immagine satanica.
Della stessa opinione Tertulliano e più ancora Giovanni Crisostomo, padre della Chiesa, che con il suo “Adversus Judaeos” definiva gli ebrei figli di Satana. Anche Sant’Agostinososteneva che gli ebrei non erano più “il popolo eletto”, ma la Chiesa cristiana era “il vero Israele” e che gli ebrei dovevano sopravvivere fisicamente, sia pure umiliati, ma solo come testimoni della verità cristiana (Popolo testimone).
A Roma gli ebrei, che sin dai tempi di Giulio Cesare e di Augusto erano vissuti come tutti gli altri cittadini, apprezzati e stimati tanto da essere esentati da quelle pratiche che erano in contrasto con il giudaismo, e che erano stati inclusi nell’Editto di Caracalla (212) che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’Impero, con l’avvento del cristianesimo si vedono declassati a cittadini di second’ordine.
Con l’Editto di Costantino il cristianesimo diventa religione ufficiale dell’Impero romano e già dal figlio Costanzo II viene promulgata, nel 339, una prima legislazione antigiudaica con numerose restrizioni.
Due secoli più tardi Teodorico, re degli Ostrogoti, proclamandosi difensore degli ebrei, darà ad essi, per il breve periodo del suo regno, condizioni di vita migliori.
Ma con il crollo dell’Impero d’Occidente il papato avrà lo scettro di Roma e una forte influenza su tutto il mondo cristiano occidentale, pertanto la storia degli ebrei, nell’Europa cristiana, subirà per mille e quattrocento anni l’influsso della politica pontificia, anche se, va detto, molti pontefici protessero gli ebrei a cominciare da quel S.Gregorio Magno che alla fine del VI secolo ne prese le difese e proibì la moda, tutt’altro che incruenta, delle conversioni forzate.
8. La nascita dell’islamismo e gli ebrei
Già prima del VI secolo una popolazione semitica (gli Arabi) che abitava la penisola arabica, si era in parte convertita al giudaismo, anche se continuava ad adorare la pietra nera conservata nel santuario della Caaba alla Mecca.
Nel 571 nasce Maometto, la storia racconta che era dapprima un carovaniere ma che poi, sposata una ricca vedova, si dedicherà agli studi e alla maditazione.
Volendo distruggere il paganesimo politeistico dei gruppi di arabi disseminati nelle oasi, trasmettendo loro il monoteismo etico ebraico in una lingua per essi comprensibile ed in una forma adattabile ai loro costumi, elabora una versione araba, alquanto arbitraria della Torà. Accetta il Dio unico degli ebrei, sia pure col nome di Allah, nonché Abramo, Mosè e Gesù come profeti, adotta gli stessi codici severi relativi alla purezza rituale e alle pratiche igieniche e persino le formule giudaiche relative all’uso di sottomettere le questioni legali ai pareri dei rabbini o dei muftì.
Sottopone il suo lavoro ai rabbini della città di Medina ove si era rifugiato nel 622 sperando di ottenere la loro approvazione, ma persone use da secoli a lunghe dispute alla ricerca dell’esatta interpretazione di ogni parola della Torà, accolsero con freddezza l’interpretazione arbitraria di Maometto. Ciò fu sufficiente a tramutare in odio violento i suoi sentimenti, pertanto decreta un immediato distacco del monoteismo islamico da quello ebraico: dichiara che Allah è il vero Dio e Maometto è il suo profeta, sposta lo Shabbath al venerdì, la preghiera si terrà volti, non più a Gerusalemme, ma alla Mecca (proclamata città santa dell’Islam), abbandona la maggior parte delle leggi dietetiche ebraiche limitando il divieto all’uso della carne di maiale e del sangue. A questo punto un accordo non era più ipotizzabile tanto che ai primi scontri armati fanno seguito sanguinosi massacri degli ebrei che vivevano a Medina.
Inizia così l’Islam che coincide con la fuga (Egira) di Maometto a Medina avvenuta il 16 luglio 622 d. C. Il testo sacro sarà ilCorano.
Come già era avvenuto con il cristianesimo, che, sviluppatosi in seno all’ebraismo ne diventa poi il più accanito oppositore, altrettanto si verificherà con il rapido sviluppo dell’islamismo (Islam = sottomissione) che avvia un’intensa campagna di conversioni forzate.
La nuova religione scatena la “guerra santa” e si diffonde rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo oltre che verso l’Iraq e la Persia.. Il successore di Maometto, il califfo Omar,occupata la Palestina, innalza sulla spianata del sacro Tempio di Gerusalemme le due moschee di Al-Aqsa e della Roccia che ancor oggi sovrasta “il muro del Pianto”.
Dopo il primo sanguinoso periodo, agli ebrei, che ancora vivevano in Oriente, verrà consentito, in cambio di una forte tassa annuale, di professare liberamente la loro religione, e di ottenere l’esenzione dal servizio militare: è una forma di protezione che però ne sanciva anche l’inferiorità nei confronti dei musulmani. Ciò si manifestava sin nelle più piccole cose: agli ebrei non era consentito costruire case più alte di quelle dei musulmani, né cavalcare cavalli, ma solo asini, e per la strada dovevano cedere il passo.
Tuttavia quando i musulmani entrano nel Sud della Spagna, trovano una popolazione ebraica oppressa dai sovrani cattolici, pertanto, rappresentando il male minore, sono accolti come liberatori.
9. Gli ebrei in Europa nei secoli a cavallo del primo millennio
Dall’VIII secolo sin verso l’anno Mille, e in alcuni paesi per due secoli ancora, le comunità ebraiche sparse nell’Occidente vivranno un periodo di calma e prosperità.
Tale cambiamento avviene grazie all’atteggiamento favorevole degli imperatori carolingi a partire da Carlo Magno (768-814). Questi aveva compreso che per gli ebrei la vita era regolata dalle norme religiose pertanto ne apprezzava l’onestà e la lealtà verso il prossimo, l’operosità espressa in quel IV Comandamento che ordina sì il riposo del Sabato ma anche sei giorni di lavoro, e il fatto, incredibile a quei tempi, che non esistesse tra loro l’analfabetismo.
Pertanto li protesse garantendo loro non solo la vita, ma anche il diritto alla proprietà, alla libertà religiosa e mercantile, e all’indipendenza giudiziaria. Gli ebrei ripagheranno l’Impero con notevoli vantaggi, favorendo lo sviluppo dell’industria e del commercio, soprattutto con l’Oriente, interdetto ai cristiani dall’Islam. Importavano pelli e broccati, e spezie e sete dalla Cina, inoltre percorrendo le rotte commerciali tra la Provenza e li Nord della Francia, collegavano i porti del Mediterraneo con quelli del Mare del Nord e del Baltico, spingendosi fino alle isole britanniche ove resteranno sino al 1290.
La possibilità di condurre un’esistenza serena permette loro di intensificare gli studi, nasce la filosofia ebraica nell’Accademia di Sura in Persia e Carlo Magno si affretta a chiamare i massimi esponenti per fondarne una anche a Narbona. Invita poi i Kolonymo, dotti ebrei di Lucca, a fondare un’altra Accademia a Magonza. Famosi e consultati ancor oggi i commenti al Talmud e al Pentateuco del grande maestro Salomon ben Isaac detto Rashì.
Con Ludovico il Pio, e successori, aumentano i privilegi, la corte si serve di medici e ambasciatori ebrei, e persino come esattori dei tributi. Nelle principali città della Germania è tutto un fiorire di comunità ebraiche che vivacizzano cultura e commercio. La penetrazione si spinge sino all’Austria, alla Moravia, in Ucraina e alla Boemia il cui centro principale fu Praga.
Verso la fine dell’VIII secolo poi, nelle terre tra il Caucaso e la foce del Volga, un intero popolo, i Kazari discendenti di Ario, si erano convertiti in massa all’ebraismo seguendo l’esempio di re Bulan. Il loro breve regno finisce nel 950 in mano al principe di Kiev, e gli ebrei kazari si fondono con gli ebrei che si erano spinti verso Est formando il gruppo di ebrei aschenaziti.. (Paradossalmente mille anni dopo i nazisti, annientando quasi completamente gli ebrei dell’Est, distruggeranno proprio gli unici veri ariani rimasti sulla terra).
Da questo rapido esame della presenza ebraica in Europa si comprende perché lo storico Cecil Roth abbia definito gli ebrei “i primi europei“; nel senso che furono i primi a vivere sparsi in tutta Europa, e non certo come numero, dato che dagli 8 milioni al tempo di Gesù, sparsi in tutto l’impero romano, intorno al X secolo erano scesi a non più di un milione e mezzo.
Ma la nazione europea in cui gli ebrei diedero il massimo anche dal punto di vista culturale fu senz’altro la Spagna ove conobbero “l’età d’oro“. Vi si erano stabiliti in gran numero dopo la distruzione del II Tempio, ma già vi erano presenti al tempo di Re Salomone, vivevano soprattutto nelle città dell’Andalusia. Cordoba, Granada, Saragozza e Toledo erano considerate città ebraiche.
Quando gli arabi conquistano la Spagna vengono accolti dagli ebrei come liberatori. I califfi nutrivano rispetto per il “popolo del Libro” pertanto conferiscono ad eminenti ebrei importanti incarichi.
Nella seconda metà del X secolo l’ebreo Hasday ibn Shaprut,oltre che medico di corte avrà per anni l’incarico di ambasciatore nelle relazioni tra il califfato e i re cristiani della penisola oltre che con gli inviati dell’imperatore tedesco Ottone I e l’imperatore bizantino. Ciò era dovuto al fatto che, dovendosi spostare da un paese all’altro sotto l’incalzare degli eventi, conoscevano un po’ tutte le lingue. Letterato egli stesso, promosse studi favorendo le traduzioni di opere scientifiche e filosofiche dal greco all’arabo e in ebraico.
Straordinario poeta e dotto rabbino fu Samuel Hanagid, oltre che abile uomo politico per anni consigliere del califfo di Granada, carica ricoperta poi dal figlio Yosef fino al 1066: Nelle accademie i giovani non studiavano più soltanto la Torà o il Talmùd, ma materie come la poetica, la filosofia, la matematica, la medicina e l’astronomia.
Purtroppo l’arrivo di arabi almohadi (intransigenti tanto da esigere la conversione all’Islam) costringerà gli ebrei ad un nuovo esodo: andranno soprattutto nei regni di Castiglia e di Aragona, in Provenza e in Marocco.
La famiglia del famoso Mosè Maimonide ( Cordoba 1134-1204), la cui statua in bronzo troneggia oggi in Plaza de Tiberiadès a Cordoba, ove erano vissuti per generazioni, è costretta a lasciare la Spagna e si trasferisce in Egitto. Qui il giovane Mosè compirà i suoi studi di medicina, filosofia, teologia diventando una delle figure di spicco della cultura ebraica di tutti i tempi, autore di numerosi trattati anche di argomento non ebraico tanto da essere considerato uno degli intelletti più alti del genere umano e per questo chiamato l’Aquila.
Nella sua opera il “Commento alla Mishnà” formula tra l’altro i tredici articoli di fede che iniziano dal “Credo in Dio unico, immutabile eterno creatore di tutte le cose – fino all’ attesa – del giudizio finale, all’arrivo del Messia e alla resurrezione dei morti” secondo la formula ripresa poi nel Credo cristiano.
La sua opera principale “Guida dei perplessi“, punto di riferimento degli studiosi del suo tempo compreso San Tommaso d’Aquino che conobbe di persona, risente dei suoi studi filosofici. Per quanto cultore dell’aristotelismo però, sosteneva che Dio aveva creato ogni cosa dal nulla, che la comprensione dei grandi problemi dell’esistenza si poteva raggiungere solo ricorrendo alla rivelazione, e soprattutto che la conoscenza, anche quella scientifica, non deve mirare al solo raggiungimento della perfezione intellettuale, ma servire per uno scopo morale.
A proposito dei primi “marrani”, cioè di coloro che per sfuggire al martirio accettavano le conversioni forzate, sosteneva che la vita, quale dono di Dio, è cosa sacra e pertanto va salvata, purché nel segreto della casa continuassero l’osservanza dei precetti.
In ciò era fedele alla sua professione di medico che, secondo il suo principio, deve prodigarsi sino allo stremo delle sue forze per salvare vite umane. Era così famoso anche nell’arte medica che il Saladino lo volle come suo medico personale.
Famoso anche Levi ben Ghershom (Provenza 1228) astronomo e filosofo che in un trattato, fatto tradurre dall’ebraico in latino da papa Clemente VI, presenta la sua invenzione il “Quadrante di Giacobbe”, uno strumento per determinare la posizione in mare, molto diffuso tra i navigatori.
Anche la compilazione di carte nautiche fu appannaggio di cartografi ebrei come i Crescas di Maiorca e le tavole astronomiche di Izchak ben Sid, chiamate Alfonsine da re Alfonso X di Spagna. Questi, protettore degli ebrei, fondò la scuola dei traduttori in cui arabi, ebrei e cristiani traducevano grandi opere del passato e moderne, gli uni nella lingua degli altri, salvando così il patrimonio culturale ebraico che altrimenti sarebbe stato irrimediabilmente distrutto nei roghi dei libri ebraici, tanto in voga fino alla fine del 1600 e ripresi poi nella Germania nazista.
Mentre in Andalusia gli ebrei vivevano “l’età d’oro” (culturale ed economica), e in Italia, impegnata nelle lotte per le investiture, erano momentaneamente lasciati tranquilli, nel resto dell’Europa vengono all’improvviso travolti dalla furia spietata dei crociati.
Papa Urbano II aveva indetto la I crociata nel 1095 con l’intento di liberare il sepolcro di Cristo dalla presenza dei musulmani che catturavano e uccidevano i pellegrini cristiani che vi si recavano. Al grido di “Dio lo vuole” e al seguito di Pietro l’Eremita, si radunano circa 300.000 tra nobili e plebei, monaci e laici, provenienti da Francia, Inghilterra e Germania. All’inizio sono orde disorganizzate che dopo aver saccheggiato indifferentemente cristiani ed ebrei, si disperdono. Poi a mano a mano che i crociati scendono lungo la valle del Reno, in mancanza ancora di “infedeli” musulmani, iniziano a trucidare intere comunità ebraiche, che del tutto ignare del pericolo incombente, vivevano nelle città tedesche sino allora tranquille.
Addirittura a Spira avevano goduto di particolari privilegi garantiti dal vescovo Rudiger Huozmann che aveva loro dato autonomia amministrativa e commerciale oltre al permesso di avere proprietà e servi cristiani (vietato dalla legge canonica). L’imperatore Enrico IV, estremamente liberale, aveva spinto gli altri vescovi a favorire gli insediamenti ebraici in Germania e vietate le conversioni forzate. Alla notizia dei massacri invia messaggi a principi e vescovi dell’impero vietando di maltrattare gli ebrei, ma i messaggi viaggiano lenti e quando giungono trovano intere comunità ebraiche trucidate o suicidi di massa per sfuggire alle atroci torture cui venivano sottoposti anche i bambini più piccoli,spesso gettati al volo sulle picche dei crociati in una macabra gara di destrezza militare.
L’appello dell’imperatore viene raccolto, ma a Spira il 3 maggio 1096 gli ebrei che avevano rifiutato il battesimo in cattedrale, rinchiusi nella sinagoga debitamente saccheggiata, verranno arsi vivi, mentre i pochi superstiti trovano scampo nel palazzo del vescovo Jahannsen. Questi in seguito farà giustiziare alcuni crociati.
Anche a Worms all’arrivo dei crociati il 18 maggio verranno massacrati 800 ebrei. Il giorno successivo a Magonza, i crociati in presenza della borghesia locale, entreranno nel palazzo del vescovo, che li aveva accolti in cambio di una forte somma in argento, e in un sol giorno uccideranno 1.300 ebrei.
Tutta particolare la situazione a Colonia (30 maggio) ove è la stessa popolazione a nascondere nelle proprie case gli ebrei, unitamente al vescovo Hermann che riesce a distribuirli anche in sette villaggi della diocesi. Molti però verranno scovati ugualmente e uccisi, ma la rabbia dei crociati è tale che proprio nel giorno di Shavuòt ( Pentecoste) distruggeranno i Sefer Torà ( i libri del Pentateuco) e la sinagoga.
Naturalmente al termine di queste carneficine, le case e le sinagoghe venivano letteralmente saccheggiate dai crociati e le proprietà immobili venivano confiscate o incamerate dai borgomastri e dai vescovi. L’imperatore Enrico IV tornato dall’Italia si sdegnò per le atrocità commesse, permise agli ebrei convertiti a forza di ritornare all’ebraismo, attirandosi l’anatema della Chiesa e aprì un’inchiesta a carico del vescovo di Magonza che aveva tratto profitti dall’eccidio degli ebrei della città.
Quando i crociati giungeranno finalmente in Palestina vengono all’inizio sconfitti dai turchi, poi, presa Gerusalemme nel 1099,continueranno le stragi di ebrei e musulmani ricevendo da Goffredo di Buglione debita ricompensa per ogni testa mozzata di “infedele” ebreo o musulmano che fosse.
La II crociata (1145-49) ebbe lo stesso andamento, questa volta saranno soprattutto le comunità ebraiche di Francia ad essere sterminate nonostante il tentativo di Bernardo da Chiaravalle di placare il furore dei crociati. Militarmente fu un fallimento in quanto il Saladino, sultano d’Egitto, aveva annesso la Palestina e quindi occupata Gerusalemme.
La III crociata poi, indetta da papa Clemente III e capeggiata da illustri regnanti come il Barbarossa, Filippo Augusto di Francia, e re Riccardo I Cuor di Leone, muovendo dall’Inghilterra vedrà per prime massacrate proprio le comunità ebraiche di Londra e Oxford mentre quella di York preferì il suicidio alle torture.
Le crociate (sette in tutto sino al 1300) iniziate come fenomeno religioso e cavalleresco diventeranno un fatto economico utile ai signorotti per assicurarsi possedimenti nelle nuove terre, a trafficanti di ogni genere e soprattutto alle repubbliche marinare per aprire le vie commerciali con l’Oriente.
Gli ebrei a partire da questo periodo subiranno, non solo perdite di vite umane (10.000 solo nella I crociata) e torture di quanti rifiutavano il Battesimo in nome del Kiddùsh ha Shèm(benedizione del nome del Signore), ma anche le accuse più infamanti (omicidio rituale, profanazione di ostie, complotto ebraico) in nome delle quali saranno più volte e in vari paesi, perseguitati sino ai primi del XX secolo.
Principi, imperatori e papi illuminati, cercheranno spesso di combattere superstizione e oscurantismo, ma rimasero troppo spesso inascoltati.
11. Conseguenze delle Crociate per gli ebrei
I massacri di uomini inermi, donne, vecchi e bambini, spacciati per gloriose azioni militari per le quali i crociati (in quanto tali) beneficiavano dell’assoluzione della Chiesa (come pure per i peccati passati e futuri), non rappresentano il danno maggiore subito dagli ebrei.
Infatti, forse per giustificare in qualche modo le atrocità commesse, si comincia a far circolare in Germania strane storie che attecchiscono rapidamente nell’ignoranza delle masse debitamente fomentate e continueranno poi per secoli a mietere vittime. Non si dimentichi che il rituale è sempre lo stesso: ad ogni eliminazione fisica o di singoli individui o di intere comunità, segue la confisca dei beni.
Per l’accusa di Omicidio rituale, secondo la quale gli ebrei all’approssimarsi della Pasqua uccidono un bambino cristiano per impastare col suo sangue i pani azzimi, nel 1171 a Blois sulla Loira l’intera comunità ebraica verrà affidata all’azione purificatrice del fuoco dei roghi. Già piccoli gruppi avevano subito ugual sorte in Germania.
In Italia l’episodio più noto si svolge a Trento nel marzo 1475, l’intero processo è ampiamente documentato. ( Durante le violente prediche quaresimali il frate minorita Bernardino da Feltre, poi santificato, aveva quasi preannunciato alla popolazione l’ orribile delitto cui gli ebrei userebbero ricorrere per i loro riti pasquali. Disgrazia volle che pochi giorni dopo venisse ritrovato nella gora del fiume, proprio vicino al quartiere ebraico, un bambino ucciso, di nome Simone. Nonostante che il vero responsabile, un non ebreo, fosse stato individuato, diciassette membri, i più autorevoli, della comunità trentina vengono arrestati e sottoposti ad atroci torture per estorcere la confessione del delitto, cosa che regolarmente avviene. Il vescovo Inderbach ordina immediatamente il rogo e vengono pertanto arsi vivi. Quando giunge il Commissario apostolico inviato da papa Sisto IV che ben conosceva i sentimenti antigiudaici del vescovo, è troppo tardi, anzi, avendo espresso le sue rimostranze per il processo condotto sommariamente, viene accusato di far parte del complotto giudaico e deve lasciare in fretta la città. Gli ebrei scampati lasceranno per sempre la città di Trento portando via anche le ossa dei loro morti; nessuno prenderà mai come cognome il nome di Trento.)
Due anni dopo il bambino verrà beatificato e il culto di San Simonino continua ancora a Trento, anche se il Concilio Vaticano II lo ha abolito ufficialmente nel 1965.
L’altra accusa è quella di “profanatori di Ostie consacrate“, secondo la quale gli ebrei acquisterebbero, da povere donne cristiane, le ostie per poi gettarle nell’acqua bollente o friggerle, in disprezzo della fede cristiana. (L’episodio, particolarmente cruento, è illustrato nella predella dipinta da Paolo Uccello su commissione della Confraternita del Corpus Domini di Urbino. Le scene dipinte si ispirano ai “Misteri” la sacra rappresentazione medioevale, così come era stata appena rielaborata da Antonino, vescovo di Firenze. Per la prima volta, accanto all’ebreo “profanatore” figurano sul rogo anche la moglie e i due figlioletti. ) È facile immaginare quale fosse l’effetto di tali accuse sul popolino ignorante dell’epoca.
Infatti queste accuse svaniranno sul nascere in quegli stati governati da sovrani illuminati,: nell’Urbino di Federico verrà tolta a Paolo Uccello la committenza della grande pala sovrastante la predella, falsi accusatori verranno smascherati.
Era stato lo stesso papa Innocenzo IV, preoccupato per le conseguenze della rapida diffusine di queste accuse, ad inviare nel 1247 le famose lettere ai vescovi di Germania che iniziano con “Che niuno ardisca accusare li Hebrei di usare il sangue dei cristiani…”, ma mai avrebbe pensato che tali credenze si sarebbero diffuse anche in Italia.
L’altra accusa riguarda un presunto “complotto ebraico”: gli ebrei più importanti si riunirebbero una volta ogni cento anni per organizzare lo sterminio dei cristiani. (L’idea del complotto ebraico viene propagandata in vari modi ed anche in tempi moderni dalla Russia zarista, dal bolscevismo, dal nazismo e, dopo la nascita dello Stato di Israele, da alcuni Stati arabi, tutti attraverso la pubblicazione del famigerato falso intitolato
“I protocolli dei savi di Sion“. (Il libello, spacciato come antico manoscritto di sinistri cospiratori ebrei, è in realtà opera di un ufficiale della polizia segreta dello zar che lo aveva redatto alla fine del 1800 riadattando il testo scritto dal francese Maurice Joly contro Napoleone III nel 1860. Tradotto in varie lingue nel 1918, ebbe diffusione in Francia, in Inghilterra ma soprattutto in Germania che, uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale cercava un capro espiatorio cui addossare la colpa della mancata vittoria. Verrà diffuso persino negli Stati Uniti per iniziativa del settimanale dell’industriale Henry Ford, il quale, da sempre fortemente antisemita, ne sosterrà la veridicità anche quando verrà clamorosamente sconfessato dal Times.)
Per quanto assurde possano sembrare oggi le accuse del sangue o del complotto, pure non erano le sole se si pensa che ad Ancona molti ebrei erano stati trucidati perché ritenuti responsabili del terremoto che nel 1269 aveva devastato la città.
Non diversamente si svolgeranno gli eventi quando nel 1348scoppierà la grande epidemia di peste nera in Germania. Tra gli ebrei, almeno all’inizio, il morbo non si diffuse con la stessa rapida virulenza perché vivevano in quartieri separati e soprattutto per l’obbligo religioso di purificare le mani prima di pronunciare qualsiasi preghiera, ivi compresa la benedizione che precede il pasto. Ma coloro che sfuggirono alla peste caddero vittime dell’ignoranza, poiché si scatena la caccia all’ebreo, accusato di propagare la peste. A Costanza centinaia di ebrei, chiusi in due case di legno, vengono bruciati il 3 gennaio del 1349, a Strasburgo 3.000, mentre in altre città della Germania verranno bruciati sui roghi, pressoché ininterrottamente, “dalla notte di S.Giovanni ad Ognissanti”.
È in questo periodo che si verificheranno veri e propri esodi di massa verso il Sud d’Europa e in Italia, sono gli ebrei aschenaziti (aschenazi = Germania) che si stabiliranno soprattutto a Venezia e in Ancona.
12. Conseguenze economiche delle Crociate
Le condizioni di un tempo che facevano dei mercanti ebrei i principali intermediari tra l’Occidente e il Levante, tra i porti del Mediterraneo e quelli del Nord, sono distrutte. Con le crociate infatti diventano normali anche per i mercanti cristiani i viaggi tra i due mondi, mentre, al contrario, il radicalizzarsi del fanatismo più cieco, dell’intolleranza religiosa e del pregiudizio, rende più pericolosi i viaggi dei mercanti ebrei. Ora è facile individuare l’ebreo, perché con il IV Concilio lateranense, indetto da papa Innocenzo III nel 1215 (V crociata), si impone l’uso del segno giallo (una rotella di panno giallo imposta prima dagli arabi almohadi, ripreso poi dai nazisti), e una volta individuato sarà facile emarginarlo, eliminando così uno scomodo concorrente.
Inoltre lo stesso Concilio vieta ai cristiani, pena la scomunica, il prestito a usura ( a interesse) del denaro, sino a quel momento loro esclusivo appannaggio. Infatti è lo stesso San Tommaso d’Aquino che nella sua “Summa Theologiae“asserisce che gli ebrei fino alla seconda metà del 1200 non prestano denaro, ma dopo le decisioni del Concilio questi si sostituiranno a poco a poco ai prestatori cristiani. Gli ebrei infatti, non possedendo, secondo la teoria dei Padri della Chiesa, un’anima, non rischiano neppure di perderla.
A dire il vero anche la Mishnà vieta all’ebreo di prestare a interesse (si veda Salmo 15) a meno che non sia l’unico sostentamento di vita. E così sarà nella maggior parte degli Stati europei e in molti d’Italia dove per essi il commercio verrà ridotto a quello infimo dell’usato o alla sola “strazzeria”, mentre tutti quei mestieri che avevano svolto, e spesso insegnato a giovani apprendisti cristiani, verranno raccolti in “Corporazioni di Arti e Mestieri“, tutte sotto l’egida di un Santo, e perciò ne verranno esclusi.
Pertanto gli ebrei si vedono ridotti ad esercitare il prestito ad interesse, unica attività economica ad essi concessa, anzi quasi imposta, dato che non avevano altro modo per impiegare il capitale ricavato dalle attività commerciali forzatamente cessate e dalla vendita, anch’essa imposta, delle proprietà.
L’Europa cristiana fa sorgere, e contemporaneamente disprezza, la figura dell’ebreo prestatore creando intorno ad essa altri odiosi pregiudizi, alla diffusione dei quali si dedicano con prediche infervorate e non prive di tragiche conseguenze, i Frati Minori e i Gesuiti (ordine questo abolito nella metà del 1700 da papa Clemente XIV, il quale tra l’altro sottrarrà gli ebrei al tribunale dell’Inquisizione).
13. Funzionamento della “condotta” feneratizia
Al pari di moderni istituti di credito gli usurai, grandi e piccoli, erano indispensabili per la crescente necessità di denaro liquido derivante dal passaggio di un economia di scambio ad una di tipo capitalistico specie ora che i prestatori cristiani avevano dovuto cessare l’attività ( in realtà i grandi banchieri fiorentini e senesi continuano prestando a prncipi e sovrani senza controllo alcuno) proprio quando cominciano a nascere le industrie della lana e della seta.
Le “condotte” così chiamate perché è il Comune o il Principe che conduce all’interno della città il prestatore, come pure il medico e il maestro di grammatica, erano previste negli Statuti dei Comuni e regolate fin nei dettagli da accordi stipulati e registrati negli atti notarili. Venivano pertanto fissati: la tassa annua che il prestatore deve corrispondere per tenere banco (tassa che si aggiungeva alle tante che gli ebrei pagavano per risiedere in un luogo, nei territori soggetti allo Stato Pontifici anche la Taglia della Marca), la durata, (solitamente tre o cinque o dieci anni rinnovabili), l’interesse da applicare (un bolognino per ogni ducato al mese, di qui l’errore del Luzzatto nel calcolare l’interesse annuo del 33% dal momento che raramente il prestito superava i due o tre mesi, il tasso annuo nelle Marche non supera mai il 12 %), l’obbligo del registro in lingua latina o in volgare, e per i trasgressori, forti multe da pagarsi alla Camera Apostolica e restituzione del doppio di quanto indebitamente percepito, fino alla perdita della licenza.
Il prestatore in cambio poteva portare con sé la famiglia, i dipendenti del banco e le loro famiglie, poteva avere un oratorio o sinagoga, e l’assicurazione di non essere disturbati durante lo svolgimento dei riti, era dispensato dal portare il segno giallo e il vantaggio di esercitare un’attività di “prestigio” poiché, essendo persona colta, era in molti casi ricevuto persino a corte. Inoltre il concedente la condotta si impegnava a rimborsare i danni procurati dal popolino aizzato “da li predicaturi“
Tanti vantaggi andavano ovviamente pagati, non c’era città che non pretendesse un prestito gratuito del quale veniva fissato nel contratto il tetto annuo. ( a Fano i Malatesta ottengono 500 ducati al primo contratto, poi dal 1464, mille annui).
I Montefeltro e i Della Rovere non pretesero mai ciò e tennero sempre con le comunità ebraiche un rapporto improntato alla correttezza e alla considerazione come risulta da numerosi bandi.
Il prestito su pegno prevedeva il rilascio di ricevute con l’annotazione dell’oggetto e del suo valore e della cifra corrisposta, la restituzione del pegno alla scadenza, se non riscattato era il “massarolo dei pegni” del Comune che provvedeva alla vendita all’incanto sulla pubblica piazza il quale, dato al prestatore quanto dovuto per il rimborso del prestito, versava la differenza nelle casse del Comune o, dopo la loro istituzione, in quelle dei Monti di Pietà.
I Monti di Pietà erano fondati dai Frati Minoriti con l’intento di aiutare i poveri, ma non riescono, almeno in un primo momento, ad essere di alcun aiuto poiché, essendo il prestito gratuito, non poteva andare oltre a quanto serviva per una pagnotta di pane o un panno pesante, e comunque dovevano passare sei mesi dall’ultimo prestito e solo dopo la restituzione del prestito precedente, né poteva essere richiesto per avviare un’attività commerciale. Pertanto non erano di alcun ostacolo all’attività dei banchi ebraici, ai quali anzi molto spesso i Monti ricorrevano. Invece lo furono i Frati Minoriti, un ordine che, distaccatosi nel 1368 da quello francescano, si scagliano contro il lusso della Chiesa e soprattutto si specializzano in prediche antiebraiche.
Richiestissimi dai parroci per le prediche quaresimali sanno suscitare odi così profondi che spesso il popolino si riversa nelle sinagoghe e nelle case degli ebrei, picchiando per zelo religioso gli ebrei in preghiera e devastando ciò che non può asportare, ma più spesso saccheggiando i pegni ammucchiati nei Banchi. Quasi sempre venivano bruciati i registri per cancellare ogni documentazione relativa ai prestiti ricevuti che così non erano più esigibili.
Questa è la prassi corrente tanto che nei contratti feneratizi era previsto il rimborso dei danni, dati ormai per scontati. Per questo a Firenze durante la quaresima del 1424 la Signoria, dopo aver tentato di impedire l’arrivo di Fra Bernardino da Siena uno dei più esaltati, impone la presenza del bargello per impedire che nelle prediche parli “in materia di Hebrei”, preoccupata di quello che avrebbe dovuto poi pagare a seguito degli immancabili tumulti.
Comunque in questo periodo, i banchieri ebrei non arriveranno mai a possedere grandi ricchezze, se si calcola che negli anni di massima attività e soprattutto nella tranquillità del Ducato di Urbino, alla morte di Isaia, la cui famiglia ha esercitato il prestito in Urbino da generazioni, la stima dell’eredità è calcolata di 4.375 ducati.
Ben poca cosa per un esercizio finanziario, visto che nella stessa epoca il doge Vendramin ha una fortuna personale di 170.000 ducati e il patriarca di Aquileia di 200.000.
14. Gli ebrei nel Rinascimento
In Italia gli ebrei vivranno tra il ‘400 e la seconda metà del secolo successivo una vita relativamente tranquilla anche se, quasi ovunque, le Corporazioni di Arti e Mestieri impediranno loro l’esercizio dei molti mestieri di un tempo.
Come si è visto, molti saranno chiamati ad esercitare il prestito con contratti notarili che regolano le condotte feneratizie e attorno al prestatore si riuniscono le famiglie dei dipendenti del Banco e quelle dei piccoli mercanti dell’usato, dei sarti e dei raccoglitori di stracci che rifornivano le cartiere. Nelle Marche, più liberali, avviano le prime piccole industrie del cuoio (dalla concia delle pelli alla confezione di scarpe) e, dopo la cacciata dalla Sicilia, anche tintorie e, a Macerata, anche una prima fabbrica di sapone. Le donne erano invece abili ricamatrici, e ne abbiamo testimonianza negli splendidi arredi sinagolali arrivati fino a noi. Si costituiva così un nucluo che aveva nella sinagoga, o in una stanza adibita a oratorio, il punto di aggregazione, di studio e di preghiera diretto da un Maestro (o rabbino). Spesso troviamo rabbini o comunque ebrei dotti, impegnati a trascrivere Bibbie e Talmùd. (Nella biblioteca di Federico da Montefeltro c’erano ben 73 volumi manoscritti ebraici oltre la famosa Bibbia preda di guerra proveniente da Volterra).
L’unica tra le arti nobili, loro permessa, sarà quella medica, arte in cui primeggiano come già era accaduto “nell’età d’oro” presso le corti dei califfi in Andalusia..
Anche l’imperatore Federico II li aveva invitati ad insegnare, insieme a medici arabi, alla Scuola Medica Salernitana, ma li troveremo poi anche, come studenti come studenti, nelle altre università italiane, sia pure con molte discriminazioni, prima tra tutte il pagamento di una tassa fino a tre volte superiore a quella degli altri studenti.
I medici ebrei godevano di un’ottima fama tanto che quasi tutti i papi del passato, almeno fino alla metà del 1500, ebbero medici ebrei, quando non addirittura l’archiatra.
Anche i piccoli comuni affidano le condotte mediche ad ebrei:interessanti i contratti stipulati che prevedono, oltre al compenso annuo, l’assegnazione di un alloggio, di un certo quantitativo di carne macellata secondo il rito, e la sospensione dell’attività nel giorno di Sabato e nelle altre festività, questo naturalmente quando c’era un secondo medico. Il più famoso fu proprio un medico marchigiano, di Fermo, certo magister Elia di Sabbato, chiamato a Roma da papa Innocenzo VII nel 1407, poi archiatra di papa Martino V (il papa che aveva preso sotto la sua personale protezione tutti gli ebrei dell’Europa cristiana). Dopo dieci anni trascorsi in Inghilterra come medico personale del re Enrico IV, riavrà la carica di archiatra presso papa Eugenio IV, per poi passare a Milano presso i Visconti ove svolgerà anche la carica di dienchelele (Giudice generale per le cause civili e penali tra gli ebrei del ducato). Concluderà la sua brillante carriera in tarda età, presso gli Este a Ferrara.
Presso il Papa Giulio III nel 1547 sarà invece medico Amato Lusitano, proveniente dal Portogallo con il fratello, il famoso poeta e letterato Didaco Pirro. Entrambi li ritroveremo di lì a poco a Pesaro con Rabbi Moshè Bàsola quando verrà edificata la sinagoga sefardita ancora esistente.
Ad imitazione dei papi, anche l’alto clero e molti nobili preferiscono servirsi di medici ebrei e ciò sarà causa di invidie e gelosie professionali. In Germania, nel 1470, un medico, certoJoan Lang, organizza una congiura di medici tedeschi contro quelli ebrei, definendoli indegni della professione medica rinnovando perciò l’antica accusa di omicidio rituale sostenuta – a suo dire – anche da Pico della Mirandola.
Ma quando si seppe che Pico, massimo genio dell’epoca, aveva da anni nella sua casa due dotti maestri ebrei, un certo Flavio Mithridate e il filosofo Elia Del Medigo (poi professore all’Università di Padova) pronti a soddisfare in ogni momento la sua ben nota inesauribile sete di sapere, l’accusa cadde nel ridicolo. Come abbiamo già visto, non altrettanto fortunati saranno, cinque anni dopo, gli ebrei di Trento
In Germania Gutemberg aveva inventa nel 1440 la stampa, e “il popolo del Libro” non poteva che accogliere come una benedizione questa arte quasi sacra, definita l’arte di “scrivere con le molte penne“. Questa permetteva la divulgazione dei libri di preghiere fino ad allora pazientemente riprodotti a mano (usava che il nonno, alla nascita del primo nipote, trascrivesse per lui il primo formulario delle preghiere giornaliere).
Originario della città tedesca di Spira, un certo Israel Nathan di Salomone residente a Soncino, lascerà l’attività di medico e avvierà i due figli, Joshua e Moses, all’apprendimento della nuova arte. Joshua stamperà nel 1488 la prima Bibbia insieme al pesarese Abraham Tintori, il quale, lasciato il mestiere legato al suo nome, si dedicherà con passione alla nuova arte nella città di Ferrara.
Ghershom (Pellegrino) figlio di Moses, appresa l’arte a Soncino, città da cui prenderà il cognome, inizierà una serie di viaggi attraverso l’Italia e l’Europa affrontando pericoli e fatiche di ogni genere, alla ricerca di preziose opere manoscritte da stampare. Portava con sé i torchi da stampa, ormai famosi ovunque, e dai quali usciranno preziose opere non solo ebraiche, ma anche classici latini e greci nonché opuscoli grammaticali e persino libri religiosi cristiani. Tipografo ed editore, amante del suo lavoro, porrà la stessa cura nella ricerca della perfezione delle sue stampe, ricorrendo a carte raffinate, agli inchiostri migliori e soprattutto affidando esclusivamente a Francesco Griffo di Bologna la preparazione di punzoni e matrici per i caratteri da stampa. Dal 1501, fino al 1507 è a Fano ove tra l’altro stampa, oltre ai classici e ai formulari di preghiere, anche una splendida Haggadà di Pésach illustratissima. Vi tornerà per breve tempo chiamato dal Comune per stampare gli Statuti. Si trasferisce con i suoi torchi itineranti a Pesaro che definiva “città bella” e “città di rifugio e della pace”, e qui resterà fino al 1515 godendo della considerazione dello stesso Duca, ma all’arrivo delle milizie di Lorenzo dei Medici si trsferisce ad Ancona poi a Rimini e infine a Costantinopoli presso il figlio rabbino in quella città. Vi morirà nel 1534 lavorando sino all’ultimo.
Nato a Pesaro nel 1580, rabbi Moshè Bàsola frequenterà Ghershom Soncino apprendendo l’arte della stampa, arte che insegnerà nei suoi frequenti soggiorni in Palestina, fondandovi la prima tipografia, tanto più utile in quel momento in quanto vi era sorto un nuovo centro di studi mistici e cabalistici nella città di Safed.
In Palestina, (a quel tempo sotto i Turchi ottomani), uno dei più dotti legislatori ebrei, Josef Caro, mettendo a confronto i pareri dei più famosi Maestri, andava componendo l’opera Shulchan Aruch (tavola apparecchiata) per fornire un codice di leggi e di usanze pronto, come una tavola apparecchiata, valido per ogni ebreo e in ogni momento della giornata. Queste frequentazioni dovettero influire sul giovane rabbino pesarese che divenne così sapiente che il filosofo cabalista francese, cristiano, Guillaime Postel lo definì “l’uomo che per la sua straordinaria erudizione è conosciuto come papa e capo di tutti gli ebrei del suo secolo“.
Fondata una prima scuola di mistica ebraica in Ancona, con l’avvento di papa Paolo IV, Moshè Bàsola si trasferisce nella natia Pesaro. Qui affluiranno studiosi da ogni dove, compresi quelli fuggiti dalla Spagna e dal Portogallo, uomini importanti come i fratelli Lusitano e il banchiere Mordekhaj Volterra che negli anni tra il 1555 e il 1570 vi fece erigere la sinagoga sefardita, indicata come la più bella in Italia. Questa rappresentava la massima espressione del Rinascimento ebraico che, pur coincidendo nel tempo con quello italiano, non è tuttavia un rinascimento dell’arte, ma degli studi ispirati dai mistici di Safede dall’opera dello spagnolo Abraham Cohen Herrera, La Porta del Cielo.
Questo fermento religioso e letterario in seno all’ebraismo, non era sfuggito al papa Leone X che, amante delle arti e benevolo verso gli ebrei, incoraggia la stampa del Talmùd babilonese e istituisce presso l’Università di Roma una cattedra di ebraico (1514) con lo studio di opere di eminenti pensatori ebrei dell’epoca come Elia Levita, divenuto poi insegnante personale del Cardinale Egidio da Viterbo, dimorando nella sua casa per ben tredici anni..
Mentre a Roma, studiosi cristiani, laici e religiosi, apprendevano l’ebraico e studiavano il Talmùd, a Venezia proprio nel 1515, lo stesso testo sacro viene dato alle fiamme nel primo di quei tanti roghi che diventeranno poi, nella seconda metà del ‘500, una macabra consuetudine centinaia, le preziose stampe che tanta fatica erano costate a Ghershom Soncino, andranno distrutte divorate dai roghi nelle pubbliche piazze.
L’anno dopo (1516), a Venezia, sarà istituito il primo ghettodella storia.
Allorché gli ebrei di Andalusia avevano dovuto lasciare il Sud della Spagna per l’arrivo degli Almohadi (islamici intransigenti), si erano trasferiti in parte in Marocco e in Egitto, ma soprattutto nel regno di Castiglia e di Aragona ove inizialmente i sovrani cattolici li accolsero offrendo loro di esercitare qualsiasi attività, pur cercando sempre di sollecitare le conversioni.
Ci furono in effetti molte conversioni ed anche matrimoni che potremmo definire “misti”, ma per essere certi che i “conversos” (nuovi cristiani) rompessero ogni legame con le famiglie di origine e con la fede professata in passato vennero istituiti appositi tribunali affidati ai Domenicani. Entra così in funzione l’Inquisizione (primo rogo di ebrei 1481) che promette il perdono a coloro che hanno la sventura di cadere nelle sue mani purché denuncino eventuali altri colpevoli (ebrei convertiti che continuano a giudaizzare) innescando così una catena infinita di arresti, torture, processi, condanne, roghi e confisca dei beni e via nuovi arresti. All’accanimento feroce del Primo Inquisitore Generale, il terribile Tomaso Torquemada, si era spesso opposto lo stesso re Ferdinando e così pure ebrei influenti come Abraham e Isaac Abrabanel (una famiglia e eminenti statisti e banchieri) che ricorsero persino al Papa.
Né Re né Papi riusciranno a fermare la macchina infernale della Santa Inquisizione che dopo aver mandato al rogo migliaia di ebrei, previa confisca dei beni, convincerà i sovrani, Isabella e Ferdinando, che l’unico modo per sottrarre i nuovi cristiani (conversos o novelli) all’influenza ebraica era quello di espellere tutti gli ebrei dalla Spagna, dalla quale erano appena stati cacciati i Mori.
Il decreto di espulsione viene firmato dai Sovrani il 31 marzo 1492 con il quale si ordina di lasciare il paese entro tre mesi per dare generosamente il tempo di “alienare i loro beni o di portarli con sé per mare o per terra alla condizione che non portino via oro, argento o moneta di conio, né quanto vietato dalla legge (?) dei nostri regni, eccezion fatta per mercanzie che non siano vietate o di scambio…” ( il decreto è esteso alla Sicilia, al tempo protettorato spagnolo).
Le leggi non potranno però impedire che portassero nel cuore l’amata Sefaràd (Spagna) che ritroveremo nel genere letterario poetico, del Romancero Juif de Sefarad, con Canzoni per i matrimoni, Inni religiosi e Lamentazioni, tutti in lingua ladina (il Ladino è un misto di ebraico e spagnolo).
Quindi potranno portare via, dopo oltre quindici secoli di vita intensa e fattiva nella penisola iberica, solo poche povere cose e il resto verrà confiscato, tanto che gli storici calcolano che con queste entrate furono finanziate almeno le prime due spedizioni di Cristoforo Colombo (sia Colombo sia la versione spagnola Colon, sono anche oggi cognomi ebraici). Le tre Caravelle salpano da Palos il 2 agosto, a bordo Colombo userà carte nautiche e tavole astronomiche preparate da ebrei (Abraham Zacuto), e lo stesso giorno una fiumana di ebrei, dai 250 ai 300.000, smarriti e increduli, si dirigeranno verso il vicino Portogallo o, via mare, verso la Turchia protetti ed accolti da Solimano il Magnifico, o verso il Nord e l’Est d’Europa.
Quell’anno il 2 agosto corrispondeva al 9 del mese di Av (distruzione de I e del II Tempio). La Spagna, nonostante le enormi ricchezze portate dal Nuovo Mondo inizierà un periodo di decadenza, durata sino ad un ventennio fa.