Maria Luisa Moscati Benigni
Antichi cognomi, antichi mestieri
“La nostra è la Regione che ha dato origine al maggior numero di cognomi ebraici, i cosiddetti cognomi di provenienza (1) adottati per distinguere i nuclei familiari locali da quelli di più recente immigrazione. Ciò avviene soprattutto nel 1569 quando Papa Pio V decreta l’espulsione degli ebrei da tutte le città dello Stato Pontificio ad eccezione di Ancona, Roma ed Avignone, le uniche in cui Papa Paolo IV aveva fatto erigere i ghetti nei 1555.
Le comunità presenti in quasi tutti i centri piccoli e grandi della Marca di Ancona si trasferiscono quindi o nel capoluogo o, non accettando la segregazione del ghetto, nelle città del vicino Ducato dei Montefeltro ove, fino a ché visse l’ultimo dei Della Rovere, gli ebrei ebbero condizioni di vita senza dubbio migliori.
È impossibile datare l’inizio della presenza ebraica nelle Marche. Qui confluiscono le due grandi vie consolari, la Salaria e la Flaminia, e infatti accanto ai primi nominativi troviamo l’appellativo “de Urbe”, sono quindi ebrei provenienti da Roma, cioè italiani (2), quelli che a poco a poco si trasferiscono nei centri dell’entroterra marchigiano. Inoltre il porto di Ancona ha certamente visto numerosi arrivi di levantini già sin dalla diaspora, ma, tralasciando la leggenda che vuole lo stesso San Ciriaco di origine ebraica (vedi il Ciavarini), una prima documentazione si ha dalla vendita, a Elia di Giusto da parte del vescovo Pietro di Ravenna, di un pezzo di terreno già nel 967, forse è destinato ad un cimitero o all’ampliamento di uno preesistente dato che già due secoli prima figura, in un contratto con mercanti toscani, il nome di un Menachem di Ancona.
Più ampie notizie ci giungono a proposito del terremoto che nel 1279 distrusse Ancona: in quell’occasione molti ebrei, ritenuti responsabili del cataclisma, furono trucidati. Per costoro, vittime dell’ignoranza popolare, venne a quel tempo composta una speciale preghiera che gli ebrei anconetani ancor oggi recitano il 9 di Av (3), davanti al sacro Aròn dell’antico tempio levantino, unendola al pianto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme, per il rogo di Ancona (4) degli ebrei portoghesi, …per le vittime della Shoah.
Anche le comunità ebraiche di Fano e di Pesaro figurano già fiorenti nel 1214, molto prima quindi della documentazione archivistica locale, nel registo dei “Consulta” di Rabbi Eliezer Ben Joel ha Levi a proposito di un caso singolare.
Sono testimonianze indirette che però denunciano una presenza lontana nel tempo e diffusa in tutti i centri piccoli e grandi delle Marche.
Accanto agli ebrei di rito italiano troviamo, a giudicare dai cognomi, anche quelli aschenaziti, giunti dalla Germania sin dall’epoca della grande epidemia di peste del 1348. Come già in occasione di altre calamità, anche in questa agli ebrei ne viene atribuita la responsabilità, forse perché vivendo in quartieri separati, tra loro il contagio, almeno all’inizio, si diffonde con minor virulenza. La causa può essere attribuita al fatto che prima di consumare un pasto pregano e prima di pregare vige il precetto di “purificare” le mani.
Comunque sia, quegli ebrei che scampano alla peste finiscono vittime di feroci eccidi: durante la caccia all’untore, a Costanza intere famiglie vengono chiuse a centinaia in due case di legno date alle fiamme la notte del 3 gennaio del 1349, mentre in altre città tedesche i roghi arderanno ininterrottamente dalla notte di San Giovanni ad Ognissanti (5).. I più fortunati, fuggiti in Italia, si stabiliranno soprattutto nelle città di Venezia e di Ancona non solo perché queste offrivano una maggior possibilità al commercio, ma soprattutto perché le vie d’acqua all’epoca erano considerate più rapide e sicure in caso di fuga.
Anche ebrei sefarditi (dall’ebraico Sefarad, Spagna) che alla cacciata dalla Spagna nel 1492 intraprendono una lunga migrazione attraverso il Portogallo e di lì al Nord Europa, cominciano verso la prima metà del ‘500 a raggiungere Livorno e successivamente anche le Marche. Arrivano anche dalla Sicilia da dove, vengono espulsi, per estensione dell’Editto di Granada: dopo quindici secoli di permanenza operosa possono portare con sé soltanto “una coperta da lecto cum un paro de lenzuola et uno mactarazo et la summa de tri tarì”.
Non adotteranno mai, come cognome, il nome delle città dell’isola, preferiranno quello dei loro molti mestieri.
Infatti tutti questi gruppi, se pur di così diverse provenienze, hanno una vocazione comune: il lavoro. È per l’ebreo un precetto lavorare sei giorni alla settimana, non avrebbe altrimenti valore il riposo che santifica il Sabato, ed anche di questi diversi mestieri conserveranno memoria nei cognomi. Li vediamo pertanto, sin dai tempi più lontani impegnati in attività commerciali, dal commercio minuto di poveri prodotti locali ai ricchi traffici di tessuti, spezie, pellicce pregiate con il Levante.
La loro presenza è ricercata, o, come nel caso di Ancona (dichiarata porto franco dai vari Papi che considerano la città come il porto di Roma aperto verso il Levante), addirittura favorita poiché riescono con il loro spirito di iniziativa e facilità di movimento a fare delle Marche e dei suoi porti il centro di smistamento delle più disparate mercanzie. Queste prenderanno la via di Roma, ma anche delle più importanti città del Nord e su su, fino alle lontane Fiandre, già allora la Regione poteva definirsi il più attivo corridoio commerciale dell’Adriatico, tanto che l’ambasciatore della Repubblica veneta in visita ad Ancona, invia missive cariche di preoccupazione alla Serenissima.
Al commercio affiancano le più disparate attività artigianali, caratteristiche dei loro paesi di origine.
Importano pelli e cuoiame ma conoscono anche l’arte di conciare in modo perfetto le pelli locali poiché sanno come estrarre l’allume dalle vecce, o di decorare a fuoco e poi dipingere il cuoio per farne tavoli, armature, apparati o più semplicemente scarpe (cognome Galligari). Dalla Spagna importano anche l’arte della ceramica. Attività portata dalla Sicilia è la lavorazione della seta (cognome Della Seta) cui nell’isola avevano potuto dedicarsi sin dal primo stadio, cioè dalla coltura del gelso all’allevamento del filugello, dalla filatura alla tintura dei preziosi tessuti. Quella della tintura era stata per secoli in Sicilia una loro esclusiva attività per la quale pagavano una tassa chiamata appunto della “tincta judeorum”.
Nelle Marche città e paesi prossimi ai fiumi avranno sempre almeno una famiglia di ebrei tintori e di Tintori resterà il cognome anche quando cambieranno mestiere come alla fine del ‘400 allorché il pesarese Abraham Tintori affiancherà Ghershom Soncino nella nuova affascinante arte della stampa (6). Per sette anni a Fano prima, a Pesaro e ad Ancona poi, dai torchi di quest’ultimo usciranno stampe e incisioni di tale perfezione che nulla hanno da invidiare alle più sofisticate stampanti di oggi. Purtroppo gran parte di questi capolavori finiranno nei roghi di testi ebraici rimessi in auge da Papa Giulio III nel 1553.
Anche i cognomi Orefice e Sarto ricordano loro antichi mestieri, e tutte queste attività cui si dedicavano nelle loro botteghe, le insegnavano ai giovani apprendisti anche cristiani. Quando però sorgono le Corporazioni di Arti e Mestieri, tutte sotto l’egida di un santo, gli ebrei ne vengono esclusi e relegati nelle infime attività della “strazzeria”, il commercio dell’usato, mentre continuano le attività della medicina e del prestito, regolate da speciali contratti stipulati con le autorità concedenti la condotta.
Frequenti sono le condotte mediche concesse a medici ebrei in tante città delle Marche, del resto Federico II li aveva chiamati nella Scuola Medica Salernitana e, salvo rarissime eccezioni, sin dai tempi più remoti non vi fu Papa che non avesse il medico personale ebreo e molto spesso lo stesso archiatra. Uno dei più famosi è marchigiano di Fermo, certo magister Elia di Sabbato, che chiamato a Roma nel 1405 come medico di curia da Innocenzo VII diventa poi archiatra di Martino V, nel 1410 è in Inghilterra presso di re Enrico IV. Al suo ritorno la città di Fermo gli conferisce il raro titolo nobiliare di miles, ma viene riconfermato nella carica di archiatra presso il papa Eugenio IV, è poi chiamato a Milano dai Visconti e infine dagli Este a Ferrara.
A imitazione dell’alto clero anche i nobili amavano servirsi di medici ebrei e ciò contribuiva ad attirare risentimenti e molto spesso pesanti calunnie come quella, molte volte avanzata anche nella nostra Regione, di omicidio rituale.
In quanto alle “condotte feneratizie” vengono affidate agli ebrei a cominciare dalla fine del ‘200, è lo stesso Tommaso D’Aquino che scrive nella sua Summa Theolagica che fino alla seconda metà del secolo il prestito è esclusivo appannaggio di prestatori cristiani soprattutto toscani e lombardi ed è solo dopo il divieto, e relativa scomunica lanciata dal IV Concilio Lateranense contro i cristiani prestatori, che ad essi subentrano (7) i banchi ebraici. Infatti secondo le teorie dei Padri della Chiesa gli ebrei, come del resto le donne, non possedevano un’anima, pertanto non rischiavano neppure di perderla.
Più feroci nei loro confronti le prediche dei frati Minori dell’Osservanza, un ordine sorto nel 1386, che, distaccandosi da quello principale Francescano, si specializza in prediche antiebraiche che scatenano assalti e massacri, a sostegno dei Monti di Pietà di recente istituzione proprio e solo ove erano presenze ebraiche. Ma i Monti di Pietà almeno all’inizio, non sono di alcun sostegno per i poveri per i quali erano stati fondati, concedono appena quanto basta per una pagnotta di pane o per un panno pesante, ma non prima della restituzione del prestito precedente e mai per avviare una sia pur modesta attività commerciale.Ma l’affascinante e complesso argomento dei banchi ebraici e dei monti di Pietà ci porterebbe lontano (8)
Quando nel 1633, con la morte di Francesco Maria II Della Rovere ultimo Duca di Urbino, anche nel ducato passato alla Chiesa vengono istituiti i ghetti (Urbino Pesaro e Senigallia), sono molte le città che inoltrano una supplica al Papa per ottenere”la grazia del ritorno di doi Famiglie di Banchieri Hebrei per i bisogni de li poveri” e per le nascenti industrie della lana, e perché “si obbligasse li detti Hebrei a tenere una Bottega per uso di Merceria”. Verranno concessi solo a poche città come Fossombrone e Castelleone di Suasa, mentre altre, come Macerata, inoltreranno inutilmente la richiesta fino a tutto il ‘700, sinché saranno gli stessi vescovi ad autorizzare il ritorno di qualche famiglia di banchieri e mercanti ebrei “per calmierare i prezzi”, purché si allontanino durante la quaresima quando in città giungono “li predicaturi”., molto temuti persino dalle alte gerarchie ecclesiastiche per le loro invettive contro il lusso della Chiesa.
Nel 1797, con l’arrivo dei francesi verranno aperti i ghetti, sulle ceneri dei portoni bruciati, sarà piantato l’albero della Libertà. È una gioia di breve durata perché alla partenza dei Francesi la repressione sarà feroce come a Pesaro e ad Urbino e in particolar modo a Senigallia ove un’orda di sanfedisti al comando del Generale Lahoz, con il popolino locale al grido di “viva Maria”, invade le vie del ghetto saccheggiando le case, distruggendo gli arredi della sinagoga e trucidando barbaramente tredici ebrei, tra i quali tre donne troppo vecchie per una rapida fuga. Decine di feriti e parte dei sopravvissuti trovano scampo su navi inviate dagli ebrei di Ancona sotto la protezione del vescovo Onorati.
Forse è grato del fatto che durante la breve Repubblica anconetana, proclamata all’arrivo dei francesi, sono proprio due ebrei anconetani, Seppilli e Terni, ad impedire che fossero fuse, come altrove, le campane della cattedrale.
Nell’ottocento per decenni gli ebrei marchigiani contribuiscono con ingenti somme e attivamente alla causa del Risorgimento, favoriti in ciò dai collegamenti di ditte commerciali (la Moisé Salmoni & C. e la Sanson Vivanti) usati spesso a copertura delle attività segrete della Carboneria prima e della Giovane Italia poi.
La pesarese Sara Levi ospiterà nella sua casa di Londra Giuseppe Mazzini e altri fuorusciti italiani.
L’ampio contributo dato alla causa verrà punito, per ordine del generale pontificio Lamorcière, nel 1860, proprio alla vigilia dell’unità d’Italia, con la demolizione della sinagoga spagnolo-levantina. Splendido monumento dal vago sapore orientale, così come risulta dai disegni eseguiti dall’ingegner Daretti prima della demolizione, si affacciava sulle mura del porto ove l’aveva fatta edificare nel 1549 il famoso mistico, cabalista, rabbi Mosè Bàsola. Costruirà poco dopo quella di Pesaro, oggi tappa obbligata di un continuo flusso di visitatori.
Anche la sinagoga italiana di Ancona seguirà la stessa sorte di quella levantina, nel 1932 infatti verrà fatta demolire dalle autorità fasciste con il pretesto della realizzazione del nuovo Corso Stamura, mentre per salvarla sarebbe stato sufficiente spostare di pochi metri il tracciato, ancora in fase di progettazione. Lo splendido Aròn, con le Tavole della Legge incise sulle porte d’argento, è oggi mortificato nel piccolo tempio allestito sotto la sala di quello levantino.
Ma la sinagoga non è l’unica vittima di quel triste periodo poiché dalle Marche furono deportati in Germania 157 ebrei, ne tornarono quindici.
Ciascuno degli argomenti, qui appena sfiorati, richiederebbe un più attento approfondimento poiché, come diceva lo storico Marc Blok, che nel ‘43 ad Auschwitz pagò con la vita il suo essere ebreo, “l’incomprensione del presente deriva dall’ignoranza del passato”.
M.Luisa Moscati Benigni
Conferenza al Rotary Club di Ancona- novembre 1998
Note
1 – Cognomi ebraici derivati da centri marchigiani: Ascoli, Barchi, Belforte, Cagli, Camerino, Cingoli, Corinaldi, Da Fano, D’Ancona, Della Pergola, D’Urbino, Fano, Jesi, Macerata, Mondolfo/i, Montebarocci, Montefiore/i, Osimo, Pesaro, Pergola, Recanati, Senigaglia, Sinigallia, Tolentino, Urbino/i.
2 – Sono ebrei italiani, o di rito italiano, sia quelli già presenti a Roma prima dell’Era Volgare, sia i discendenti di quei 5.000 schiavi portati da Tito nel 70, per far più imponente il suo ingresso a Roma. Poiché saranno riscattati dalla comunità ebraica romana, è evidente che questa era già una presenza consolidata e consistente.
3 -Av, mese del calendario ebraico, luglio/agosto, il giorno 9 gli ebrei di ogni parte del mondo ricordano, con digiuni e preghiere, la distruzione del sacro Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito.
4 – Feroso C., Gli Ebrei Portoghesi sotto Paolo IV, Foligno, 1884.
5 – Bergdolt K., La peste nera e la fine del Medioevo, ed. Piemme, Casale Monferrato, 1997.
6 – Moscati M.L., Itinerari ebraici delle Marche, Marsilio, Venezia, 1996, pag.77
7 – I primi ebrei prestatori che cominciano ad operare nelle Marche li troviamo inizialmente in società con quelli cristiani, quando questi ultimi sono ormai prossimi ad interrompere, almeno ufficialmente, l’attività feneratizia pena la scomunica. Ad Ascoli nel 1297 si costituisce un primo consorzio di 22 prestatori;: tre ebrei romani, Angeletto e Muscetto figli di Gennatano e Sabbato di Mosè, entrano in società con 19 cristiani, fiorentini e aretini, e stipulano un contratto con il Comune il 24 ottobre di quell’anno..
8 – Bonazzoli V., Il prestito ebraico nelle economie cittadine delle Marche, in Quaderni monografici di “Proposte e Ricerche”, Ancona 1990.