“E i figli d’Israele vennero in mezzo al mare sull’asciutto; e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra” (Esodo 14:22). L’apertura del Yam Suf/Mare di Giunchi, meglio noto come Mar Rosso, è probabilmente il miracolo più famoso raccontato nella Torà. I figli d’Israele erano oramai in trappola, l’esercito del faraone da una parte e il mare dall’altra a bloccargli la strada. Dio, allora, divise miracolosamente le acque per permettere al popolo ebraico di attraversare il mare. Gli egiziani decisero di continuare l’inseguimento ed entrarono anch’essi nel mare ma Dio riversò le acque su di loro, “il cavallo e il cavaliere ha fatto precipitare nel mare” (Esodo 15:1).
Rav Yaakov Tzvi Mecklenburg (1785-1865) nel suo commento alla Torah “Haketav Vehakabalah” offre una immagine particolare di come si sia svolto il miracolo dell’apertura del mar Rosso. Prima di tutto, sottolinea che generalmente l’atto di andare in mare sia indicato piuttosto con il verbo “yarad/scendere”, come è scritto nel verso 23 del salmo 107 “yoredeh hayam baoniyot/coloro che scesero in mare con le barche” e non con il verbo “ba/venire”.
Perché allora la Torah usa il verbo “wayavou/vennero” quando i figli d’Israele entrano nel mare dopo che le acque si erano divise?
Rav Yaakov Tzvi risponde a questa domanda e spiega che il miracolo del passaggio del Mar Rosso non è avvenuto solo con l’apertura delle acque. Dio avrebbe anche sollevato il fondo del mare in modo tale che fosse a filo con la riva. L’acqua, che per l’innalzamento del fondo marino si sarebbe dovuta riversare sulle rive del mare, si è invece divisa in due “muri” che galleggiavano, su entrambi i lati, sopra il fondale sopraelevato. Inoltre, Dio asciugò il fondo dell’oceano in modo che fosse liscio e lastricato, consentendo ai figli d’Israele di arrivare facilmente dall’altra sponda, come il testo stesso afferma “vennero in mezzo al mare sull’asciutto”. Questo spiegherebbe il perché la Torà usi la parola “wayavou/vennero” per descrivere l’avanzata nel mare.
Il verbo “yarad/scendere”, invece, rappresenta la condizione naturale di in viaggio in mare il cui fondale è, ovviamente, molto più basso della riva, quindi “entrare nel mare” comporta una sorta di discesa. Nel passaggio del mar Rosso, è il fondale a sollevarsi cosicché i figli d’Israele non “scesero” in esso.
Questa fu una parte cruciale del miracolo. Se Dio avesse solo diviso le acque, il popolo ebraico avrebbe dovuto camminare lungo una ripida depressione fino al fondo del mare e questo sarebbe stato un percorso molto più difficoltoso. L’aver anche sollevato il fondale in questo processo, ha permesso la creazione di quella superficie piatta e liscia lungo la quale fu possibile fuggire dalla potente cavalleria egiziana.
Ma c’è un’altra allegoria che può essere colta nelle parole di Rav Yaakov Tzvi. Se il nostro cammino è impostato sulla via verso la Torah, possiamo essere fiduciosi che tutte le difficoltà in quel percorso saranno superate con il sostegno del Cielo, a patto che, come insegna Rabban Gamliel figlio di Rabbì Yehudah Hanasì (Avot 2:4), noi siamo nella condizione di fare il volere di Dio come fosse il nostro, Shabbat Shalom!