II filosofo (ebreo) maldestro. Senza di lui l’intervento francese in Libia forse non ci sarebbe stato. Come ringraziamento, i libici lo hanno bandito in quanto ebreo
Daniel Mosseri
Sarà la voglia di andare sempre controcorrente. Oppure uno slancio di inguaribile ottimismo. Sta di fatto che per Bernard-Henri Lévy la rivoluzione in corso in Ucraina non è antisemita. L’intellettuale più famoso di Francia, noto tanto per i suoi libri quanto per le sue camicie bianche immacolate e il capello un po’ spettinato che fa tanto filosofo di regime, è stato individuato nei giorni scorsi a Maidan, centro dell’assedio al governo del deposto presidente Viktor Yanukovich. Da bravo francese, BHL (questo il suo acronimo) è un entusiasta sostenitore delle rivoluzioni. Eccolo quindi apparire dal centro di Kiev sulle tv internazionali per affermare: «Non ho incontrato neonazisti, non ho sentito antisemiti, ma ho visto un movimento maturo, determinato e profondamente liberale che vuole solo ridare un contenuto al progetto europeo, un progetto di cui noi invece abbiamo smarrito il significato». Nella sua analisi in cui splende il sol dell’awenire, BHL dimentica però di spiegare l’allerta lanciata per esempio da Moshe Reuven Asman, il rabbino capo d’Ucraina del movimento ortodosso Chabad che poche settimane fa invitava i suoi correligionari ad abbandonare la capitale dopo una serie di attacchi antisemiti condotti contro la sua scuola rabbinica nei pressi di Maidan.
Spiegare la caduta di Yanukovich e il ritorno sulla scena politica dell’ex premier Yulia Tymoshenko mettendo l’accento solo sulla percentuale di dimostrand antisemiti presenti in piazza sarebbe sbagliato e riduttivo. Allo stesso tempo va riconosciuto che fra i ribelli non c’è solo l’opposizione in giacca e cravatta che piace all’Ue («Alleanza democratica» dell’ex pugile Vitali Klitschko e «Patria» dell’ex ministro degli Esteri Arsenij Jacenjuk). In piazza a Kiev si sono visti anche Svoboda e Praviy Sektor. Due partiti impresentabili e apertamente antisemiti. Basti pensare che fino al 2004 il primo, ufficialmente pro-Nato e pro-Ue, si chiamava «Partito nazional-socialista d’Ucraina». Il secondo punta invece a una rivoluzione nazionalista da imporre con la violenza. La loro presenza a Maidan, scrive lo stesso Henri Lévy, «è marginale». Vero. Ma è anche vero che le due formazioni hanno ripristinato bandiere nazisteggianti e usano la parola «ebreo» come insulto.
Segnali allarmanti da un Paese dove un proverbio popolare recita «se non c’è acqua dal rubinetto è perché gli ebrei l’hanno bevuta tutta». Eppure, minacciato di morte dai numerosi antisemiti che in – quinano la scena politica francese, BHL si reca in Ucraina spargendo ottimismo a piene mani. Così facendo BHL dimostra di ignorare le parole di Sam Kliger, direttore per la Russia dell’American Jewish Committee. Già a metà gennaio questi dichiarava che a Kiev si registravano «segni sinistri: alcuni cercano di usare l’antisemitismo nel confronto politico». Impegnato a occupare il centro della scena media-tica, Bernard-Henri Lévy non sembra avere imparato neppure dal passato.
Infiammatosi per la primavera araba, BHL fu forse il primo intellettuale occidentale a mettere piede nella Libia di un ormai traballante Gheddafi per tentare la mediazione con i ribelli di Bengasi. Oggi, il filosofo nato nel 1948 a Beni Saf (ex Algeria francese), risulta persona non grata in Libia «in quanto ebreo».
Libero 27.2.2014