Secondo la prassi vigente dovunque, la mattina di Simchat Torah si chiama a Sefer il Chatan Torah e il Chatan Bereshit: il primo legge l’ultima chiamata di We-zot ha-Berakhah e il secondo, su un altro Sefer, legge tutto il primo capitolo di Bereshit[1]. Viceversa nelle Comunità di minhag italiano si usa ancora oggi che la mattina di Simchat Torah sale a Sefer solo il Chatan Torah. Questi legge l’ultima parte della Parashat We-zot ha-Berakhah sul Sefer Torah e aggiunge poi i primi cinque versetti di Bereshit dal libro stampato. Ciò si motiva con il fatto che la lettura di questi ultimi non costituisce chovat ha-yom ma è un minhag istituito in base al Midrash, per evitare che il Satan accusi Israel di festeggiare la conclusione della Torah come se non fossimo disposti a ricominciarla daccapo[2]. Il Chatan Bereshit riceve invece la sua salita a Sefer lo Shabbat successivo (Shabbat Bereshit) alla prima chiamata di Bereshit anche se non è kohen.
Una nota Mishnah nel trattato Ghittin afferma infatti che il kohen, se presente al Bet ha-Kenesset, ha il diritto/dovere di essere chiamato a Sefer per primo[3]. Il problema che il nostro minhag pone è se tale dovere del kohen è per principio inderogabile e assoluto o il kohen è autorizzato a rinunciare al proprio privilegio almeno laddove la deroga può essere giustificata. Fra i Rishonim vi sono posizioni diverse sulla questione. Rashì e Maimonide nel Sefer ha-Mitzwot avallano la tesi secondo cui l’obbligo del kohen di assistere per primo alla lettura del Sefer Torah fa parte del precetto biblico weqiddashtò (“santificalo”, il kohen – Wayqrà 21,8) che consiste nell’attribuirgli sempre il primo posto nelle attività di qedushah e quindi è inderogabile[4]. Ma lo stesso Maimonide nel commento alla Mishnah scrive invece che la regola per cui il kohen sale a Sefer per primo è un’istituzione rabbinica mi-penè darkhè shalom (“pro bono pacis”) per evitare spiacevoli diverbi durante la lettura pubblica della Torah nel contendersi la prima ‘aliyah.
Naturalmente non è questo il contesto per soffermarci sulle numerose proposte emerse per sanare la contraddizione del Maimonide[5]. L’opinione generalmente accolta è che normalmente il kohen non possa rinunciare al proprio privilegio[6]. Ma se ci troviamo dinanzi ad un minhag locale antico istituito in onore della Torah in determinate occasioni è consentito derogare alla regola generale in difesa del minhag. E’ appunto quanto scrive R. Yossef Colon a proposito del minhag italiano di Shabbat Bereshit[7]. La sua fonte è in un responso assai più antico di Rav Hay Gaon, il quale acconsente all’uso di bruciare profumi il giorno di Simchat Torah anche se così facendo si infrange un divieto rabbinico di Yom Tov, dal momento che tale minhag è concepito interamente likhvod ha-Torah.
R. Yossef Colon Trabotto, detto con il suo acronimo Mahariq, visse fra il 1420 ed il 1480 circa. Nato a Chambery in Savoia fu poi Rabbino in Italia, prima a Savigliano[8], successivamente in altri centri (Piove di Sacco, Mestre, Bologna, Mantova) e infine a Pavia. Creò un centro di studi di rinomanza internazionale: personalità rabbiniche di spicco dalla Germania, dalla Turchia e dalla stessa Italia venivano a consultarlo. I suoi Responsa rituali e giuridici, raccolti dopo la sua morte e più volte ripubblicati[9], sono caratterizzati dal fatto che non solo forniscono una risposta molto precisa sui casi in questione, ma anche si soffermano sui principi generali sui quali il Maestro ha basato la sua decisione.
A Bologna una mattina di Shabbat Bereshit un kohen pretese a tutti i costi di essere chiamato a Sefer per primo nella Sinagoga di rito italiano, nonostante fosse stato designato un Chatan Bereshit che si era già impegnato a versare una congrua offerta secondo l’uso e fu necessario ricorrere alla forza pubblica per allontanarlo. Richiesto di un parere, così si esprime Mahariq: “Un minhag istituito li-khvod ha-Torah prevale su una proibizione istituita dai ns. Maestri, come danzare di Yom Tov. Tanto più un minhag come questo, che non è proibito affatto e vuole semplicemente esprimere il nostro amore per la Torah, merita di essere mantenuto nei luoghi in cui è usato. Coloro che tentano di cambiarlo sbagliano, perché noi riconosciamo i minhaghim locali al punto che se anche noi fossimo al corrente di un uso diverso più corretto, cionondimeno non siamo autorizzati a mutare il minhag locale”. Per esempio, in alcune Comunità vi era l’uso di prendere la corona d’argento dal Sefer Torah e metterla in testa al Chatan Torah. “Benché Rav Hay non fosse soddisfatto di un uso del genere, non lo volle condannare, perché si rendeva conto che veniva compiuto in onore della Torah. Non abbiamo il permesso di mutare un minhag locale sia pure a fronte di altri minhaghim più corretti, perché così facendo è probabile che si arrivi a litigare e “un minhag che sia stato introdotto dai nostri Padri (minhag avot) vale quanto la Torah”. Si suppone che i nostri Padri, ovvero gli antenati, fossero grandi studiosi di Torah e sapevano ciò che facevano. “Dove un minhag è stato stabilito dai Maestri locali merita di essere seguito anche in contrasto con la Halakhah codificata”.
Mahariq approva anche il ricorso alle guardie da parte della Comunità, in base al principio: kofìn ‘al middat Sedòm (“è lecito usare la forza nei confronti di chi si comporta come i Sodomiti”)[10]. Secondo la tradizione talmudica[11] gli abitanti di Sodoma furono duramente puniti fra l’altro perché ricusavano al prossimo anche quei favori che non costavano loro nulla (zeh neheneh we-zeh lo chassèr[12]). Analogamente il kohen avrebbe potuto rivolgersi ad una delle Sinagoghe di altro rito esistenti in città dove sarebbe stato accontentato senza suscitare malumori in quella di rito italiano e tutti sarebbero stati felici e soddisfatti.
Mahariq differenzia fra un uso ordinario qualsiasi che può essere cambiato a meno di non suscitare liti e un minhag stabilito dai Maestri locali delle passate generazioni che va considerato Torah e secondo la sua opinione non può essere cambiato come principio halakhico. In un altro Responso Mahariq tratta di un minhag ta’ut (comportamento errato) e scrive: “Non è il caso di abrogare un minhag ormai adottato in tutte le Comunità a fronte dei Maestri di ogni generazione, persino se il Profeta Elia lo richiedesse”[13].
[1] Cfr. Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 669.
[2] Cfr. Resp. Ridbaz, 8,98. A Torino si usa leggere anche i primi versetti di Bereshit su un apposito Sefer Torah.
[3] 59b.
[4] Cfr. Sefer ha-Mitzwot, ‘Asseh 32.
[5] Per una rassegna v. R. Z. Druck, Miqraè Qòdesh, cap.15.
[6] Cfr. Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 135, 3-4 e Mishnah Berurah ad loc. n. 9.
[7] Resp. Mahariq n. 9; cfr. Maghen Avraham a O. Ch. 135, n. 7. In molte Comunità Italiane vige tuttora l’usanza di preferire in ogni caso il levì per primo rispetto ad un Israel qualora non sia presente un kohen: cfr. Remà e Mishnah Berurah a O. Ch. 135, 6; Resp. R. Mosheh Provenzalo, ed. Or ha-Mizrach, 5749, I, n.16.
[8] Cfr. Responso n. 69. Si veda anche il n. 149. Secondo R. Segre la sua presenza può essere data per certa in Piemonte negli anni successivi al 1450 (op. cit., p. XLIII, n. 86).
[9] La prima edizione è di D. Bomberg, Venezia, 1519, seguita da quella di V. Conti, Cremona, 1557. Si veda in particolare la più recente edizione Shu”t Mahariq ha-Shalem a cura dei Rabb. S.B. Deutsch e E. Schlesinger, Oraysoh ed., Jerusalem 1988.
[10] Cfr. ‘Eruvin 49a e a. Per l’espressione middat Sedòm v. Avot 5,10.
[11] Cfr. Sanhedrin 109.
[12] Bavà Qammà 20b.
[13] Resp. n. 54, in difesa del minhag di tenere il Sefer Torah rivolto verso il pubblico terminata la Ghelilah (riavvolgimento) e non verso il portatore (cfr. Shemot 33,8: “e guarderanno alle spalle di Moshe finché sarà giunto nella Tenda”).