Il cerchio dell’Or Makif: la luce che avvolge e ricrea il mondo
Ogni anno, con Simchà Torà, chiudiamo e riapriamo la Torà nello stesso istante. Il popolo danza in cerchio, con i Sifré Torà stretti al petto, e senza accorgercene stiamo già leggendo Bereshit. Non c’è interruzione tra la fine e l’inizio: è un movimento continuo, un cerchio, un Hakafà eterna.
Maestri della Kabbalà insegnano che questa danza circolare non è solo simbolo di gioia, ma rappresenta una realtà spirituale profonda: il ritorno nell’Or Makif — la “luce circondante”, la luce che avvolge l’anima da ogni lato e la protegge. Se l’Or Pnimì è la luce che entra e si interiorizza, l’Or Makif è quella che ancora non possiamo contenere, ma che ci circonda come un’aura di santità. È la luce che non si lascia possedere, ma che ci custodisce. Durante Sukkot, viviamo immersi nell’Or Makif: la Sukkà stessa è il suo simbolo materiale. Lo Zohar la chiama “Tzelà de-meemenuta” — “l’ombra della fede”. Ogni giorno, dice l’Arizal, un “Ushpizin- Patriarca-Ospite” ci porta una nuova luce che ci avvolge dall’esterno, fino a comporre i sette cerchi di santità che culminano in Sheminì Atzeret-L’ottavo di chiusura, di stringimento, dell’abbraccio Divino che non vuole che si vada via da quella dimensione. Quel giorno, Dio ci dice: “Fermati con Me un giorno ancora”, perché tutta la luce raccolta nei sette giorni di Sukkot possa penetrare dentro di noi.
A Simchà Torà, quell’Or Makif diventa danza: la luce non solo ci circonda, ma si muove con noi. Le sette Hakafot non sono semplici giri: sono le sette dimensioni della creazione, i sette rami della Menorà, i sei giorni della creazione più lo Shabbat, come insegnava Rav David Menashé — la struttura stessa dell’universo. Per questo l’immagine perfetta di questo momento è un Maghen David inscritto in un cerchio: le sue sei punte più il centro richiamano i sei giorni e lo Shabbat, i sei rami della Menorà e la sua luce centrale, i sei lati dello spazio più il punto dell’anima. E il cerchio che li avvolge — l’Hakafà — è l’Or Makif, la luce che abbraccia tutto e restituisce unità alla molteplicità.
Come la fine e l’inizio della Torà, che si toccano: le’eyne kol Israel… Bereshit bara Elokim — la Torà si arrotola su se stessa come un cerchio di luce. Questa stessa luce — insegna il Ben Ish Chai (Bereshit, shana rishona,Hakdamà) è quella che rivestiva Adamo ed Eva prima del peccato. I loro vestiti non erano di pelle, ma di Or, di luce. Quando peccarono, quella luce si ritirò e restò solo “ketonet ‘or” (con ayin) — vestiti della pelle, del corpo.
Ogni festa di Tishrì ci restituisce una parte di quella luminosità perduta, ma è a Bereshit che Hashem ci consegna di nuovo i vestiti di luce. E come li indossiamo? Attraverso le mitzvot che ci avvolgono. L’uomo li indossa nello Tzitzit, che il Ben Ish Chai definisce “Or Makif shel Kedushà”: la luce che circonda e difende il corpo come uno scudo di fede. La donna li indossa nella luce delle candele di Shabbat, che l’Arizal chiama “Or Makif ha-mashpìa shalom bayit” — la luce che avvolge la casa e la riempie di pace. Così, ogni Erev Shabbat, la donna riaccende la stessa luce che illuminava la Sukkà e i vestiti di Adamo: è la Shekhinà che entra nella casa come una nuova Hakafà di luce.
Anche sul piano psicologico, l’Or Makif è ciò che ci circonda: l’ambiente, le persone, l’atmosfera emotiva che ci contiene. Un essere umano non cresce nel vuoto: si trasforma in base alla luce che lo avvolge. Se è immerso in un contesto di fiducia, di Torà e di bontà, la sua anima si espande; se è avvolto dal giudizio e dalla paura, si contrae. Per questo Hashem ci comanda di costruire spazi di kedushà — una sukkà, una casa, una comunità — che diventino Or Makif positivi, ambienti che custodiscono la luce invece di soffocarla.
Il segreto di Bereshit è allora questo: non basta accendere la luce dentro di sé, bisogna creare un mondo che la rifletta intorno. Quando costruiamo un contesto in cui ogni gesto, parola e volto diventano parte di un cerchio di luce, allora non viviamo più “dentro il mondo”: viviamo in un Or Makif, un mondo che ci abbraccia e ci trasforma.
E lì, davvero, la creazione ricomincia.
Shabbat Shalom Umevorach
Marco Del Monte
