La bontà della creazione emerge prepotentemente nella narrazione del primo capitolo del libro di Bereshit. L’espressione “wayar Eloqim ki tov – e il Signore vide che era cosa buona” torna varie volte in questo capitolo. Ma qualcosa, è innegabile, è andato storto, perché il male è entrato nel quadro, e questo è il contesto dal quale la Torah prende le mosse. Questa domanda, quella della presenza del male nel mondo, ha attanagliato i filosofi da secoli, ma la risposta più semplice e più breve a questa domanda è che il male nel mondo è determinato dall’uomo.
Solo noi, fra le specie viventi che conosciamo, siamo pienamente dotati di libertà di scelta e responsabilità morale. Un gatto non si pone il problema morale della moralità dell’uccisione di un topo, un vampiro non diventerà vegetariano, se contesteremo il suo modo di comportarsi. La nostra capacità di scelta è motivo di orgoglio, ma anche causa della nostra vergogna. Quando facciamo del bene sfioriamo il livello degli angeli, ma quando facciamo del male cadiamo più in basso delle bestie. Perché allora H. ha deciso di creare una specie in grado di turbare l’ordine che aveva costituito e dichiarato buono? Questa domanda è posta dalla ghemarà in Sanhedrin. Come è noto, quando H. decise di creare l’uomo, trovò l’opposizione degli angeli, che hanno risposto con le parole del Salmista (8,5) “Che cosa è l’uomo, che Tu lo ricordi, e l’essere umano perché Tu ne tenga conto?”. Per due volte H. distrusse gli angeli. Il terzo gruppo di angeli, visto l’andazzo, dissero: gli altri due gruppi hanno detto di non creare l’uomo e non hai dato loro ascolto. Cosa possiamo dire se non che l’universo è tuo? Fai come meglio credi! E H. creò l’uomo. Tutti sappiamo com’è andata.
Quando si arrivò alla generazione del diluvio e quella della torre di Babele gli angeli chiesero se i primi angeli non avessero ragione, vista la corruzione dell’umanità. H. rispose (Is. 46,4): “fino alla vecchiaia sono Io, e fino alla canizie Io vi sostengo, Io vi ho fatto e Io vi porterò, Io vi sosterrò e salverò”. La ghemarà intende rispondere ad una difficoltà di ordine tecnico, perché quando H. deve creare l’uomo incontriamo un plurale “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. La domanda, solo apparentemente innocente, comporta molte difficoltà. Cosa vuol dire essere ad immagine divina? D. non ha immagine, fare un’immagine di D. è anzi pura idolatria, un’aberrazione totale per la Torah. Ma la Torah non intende insegnarci solo che il Signore è invisibile, che non è identificabile con alcuna delle forze della natura, gli astri, i tuoni, i fulmini, gli oceani o qualsiasi altra forza che incontriamo in natura. Questo di certo è un passaggio notevole. Sigmund Freud in Mosè e il monoteismo lo considera il principale contributo che l’ebraismo ha fornito all’umanità, perché così gli ebrei hanno indirizzato lo sviluppo della loro civiltà dall’ambito fisico a quello spirituale. Ma che H. non ha un’immagine vuol dire anche dell’altro. Non è possibile concettualizzare D., comprenderLo, o prevedere quanto farà. Non è un’essenza astratta, ma una presenza viva. Questo è il senso dell’Ehyeh asher ehyeh del roveto ardente. Sarò ciò che scelgo di essere. Sono il D. della libertà che ha dotato gli uomini di libertà, e sto per condurre il popolo ebraico dalla schiavitù alla libertà. Anche gli uomini potranno essere, nella loro finitezza e mortalità, ciò che scelgono di essere.
Potranno comportarsi bene, o agire male. Ma nonostante tutto D. decide di creare l’uomo, anche se sa perfettamente che si ribellerà a Lui e distruggerà il mondo che ha creato, portando specie all’estinzione e eliminando il proprio prossimo. Ma H. è disposto ad aspettare. Anche se ci volessero dieci generazioni prima di Noach e altre dieci prima di Avraham, sarò paziente. Anche se l’uomo mi deluderà continuamente, non desisterò. Una volta che ciò è avvenuto, è arrivato il diluvio universale. Ma non avverrà mai più. E’ paradossale ma H. mostra di avere molta più fede in noi di quanta noi ne riponiamo in Lui. Questo è il motivo principale per cui una divinità buona, sapiente, onnipotente e onnisciente ha creato un essere tanto fallibile e distruttivo. Per molti secoli filosofi e teologi hanno scandagliato in lungo e largo il fenomeno religioso, ma non hanno centrato il problema principale, che non è tanto quello della fede dell’uomo in D., quanto quello della fede di D. nell’uomo.