Dayènu e i 15 simanìm del sèder di Pèsach
Uno dei “numeri” del Seder di Pessach è notoriamente il 14, quante sono in effetti le cerimonie comprese nella Haggadah. Esso corrisponde al valore numerico della parola yad (mano) dell’espressione “con mano forte e braccio disteso” con cui il S.B. ci ha liberato dall’Egitto. Ma corrisponde anche alla parola day alla base dell’espressione dayyenu (ci sarebbe bastato), il ritornello della famosa poesia costituita anch’essa da 14 strofe. Ogni anno si deve ristudiare la Haggadah daccapo e possibilmente trovare in essa nuovi simboli e nuovi significati. Vorrei proporre un confronto fra ciascuna delle 14 parti del Seder e ognuna delle 14 strofe del Dayyenu. Il parallelismo ci farà scoprire considerazioni interessanti.
1) Qaddesh = ci ha fatto uscire dall’Egitto. Tutto il nostro calendario è un zekher litziat Mitzrayim. Questo concetto è particolarmente sottolineato all’inizio di ogni festività (non solo Yom Tov, ma anche Shabbat) allorché la consacriamo recitando il Qiddush.
2) U-rchatz = ha fatto giustizia degli Egiziani. Nei Profeti spesso l’atto di giustizia è considerato una purificazione, rappresentata dall’atto di lavarsi: “lavatevi, purificatevi, togliete le vostre cattive azioni davanti ai Miei occhi, smettete di fare il male; imparate invece a fare il bene, ricercate la giustizia, raddrizzate il violento, sostenete l’orfano, difendete la vedova” (Is. 1, 16-17).
3) Karpas = ha fatto giustizia dei loro dei. Si riferisce al Qorban Pessach, allorché H. comandò agli Ebrei di scannare l’agnello, uno degli animali sacri per gli Egiziani. Il karpas intinto nell’aceto ricorda appunto il gesto di intingere il rametto di issopo nel sangue dell’agnello macellato per cospargerne gli stipiti e l’architrave delle porte onde l’Angelo della Morte “passasse oltre” e risparmiasse i primogeniti degli Ebrei.
4) Yachatz = ha ucciso i primogeniti egiziani. L’espressione wa-yachatz ricorre nella Torah allorché Ya’akov, in procinto di incontrare suo fratello Esaù e temendo una guerra, “divise i bambini” in più schiere per evitare che, in caso di attacco, soccombessero tutti (Gen. 32, 8; 33,1). Nell’ipotesi che il Faraone ed Esaù potessero identificarsi come nemici d’Israel, la morte dei primogeniti d’Egitto potrebbe essere vista come una punizione per questa divisione famigliare cui il nostro Patriarca fu costretto a sottoporsi.
5) Magghid = ci ha concesso le loro ricchezze. La Torah racconta che gli Ebrei non volevano le ricchezze degli Egiziani come risarcimento della schiavitù subita. Fino a quel momento non erano abituati a possederne, perché “ciò che acquista lo schiavo diventa proprietà del padrone”. H. dovette insistere con Moshe perché “parlasse alle orecchie del popolo” e li convincesse (Es. 11, 2). Essi temevano che non avrebbero retto con facilità la responsabilità che avrebbe comportato diventare possidenti ed in effetti proprio quelle ricchezze finirono come materia prima del vitello d’oro. Quel “parlare” è l’invito ad un’assunzione di responsabilità nei confronti della libertà appena conquistata.
6) Rochtzah = ha diviso per noi il Mar Rosso. Come le mani che interrompono il flusso dell’acqua quando si riversa su di esse. Il Midrash (Salmo 114) racconta che durante il passaggio degli Ebrei le pareti di acqua salata stillavano all’occorrenza acqua dolce che li dissetava, come dice il versetto: “E fece uscire ruscelli dalla rupe” (Sal. 78, 17).
7) Motzì Matzah = ci ha fatto passare in mezzo ad esso all’asciutto. La matzah è il cibo più asciutto che esista. Esso è fatto soltanto di farina (simbolo della polvere, e quindi della terra) e acqua, per esprimere appunto il contrasto fra il mare che si è ritirato e la terra asciutta che consentì il passaggio degli Ebrei.
8) Maròr = ha fatto annegare gli Egiziani. E’ noto che gli ultimi giorni di Pessach non si recita l’Hallèl completo per ricordare l’amarezza degli Egiziani deceduti, in base al versetto: “quando cadrà il tuo nemico non gioire e quando inciampa non sia lieto il tuo cuore” (Prov. 24, 17).
9) Korèch = ci ha dato tutto ciò di cui avevamo bisogno nel deserto per quarant’anni. Che cosa meglio del korèch, che concentra in un sol boccone tutti gli alimenti che durante il Seder sono di mitzwah, simboleggia la piena assistenza fornitaci dal S.B., che “non ci ha fatto mancare nulla” (Deut. 2, 7)?
10) Shulchan ‘Orèkh = ci ha dato da mangiare la manna. Non necessita di commento.
11) Tzafùn = ci ha dato lo Shabbat. Nel deserto, mentre nei sei giorni feriali si andava a prendere la manna nel campo e subito la si mangiava, per lo Shabbat si ritirava il Venerdì e solo una volta messa da parte nelle case la razione si raddoppiava per consentire i pasti sabbatici (Rashì a Es. 16, 22-23). L’Afiqòmen, messo da parte all’inizio del Seder, ci ricorda questa particolare Berakhah. Secondo alcuni si deve mangiare un doppio ke-zayit di matzah per l’Afikòmen. Altra spiegazione: in base al detto del Talmud. “Disse il S.B. a Moshe: Mosheh ho un bel dono nel mio tesoro nascosto, si chiama Shabbat e lo voglio dare ad Israel. Va’ e riferisciglielo” (Betzah 16a).
12) Barèkh = ci ha avvicinato al Monte Sinai. La parola barèkh è formata da tre lettere che hanno il valore numerico 2-200-20, per sottolineare che il dono della benedizione consiste nell’avere il doppio del beneficio. Si confronti il versetto riferito alla vittoria di Deborah sul Monte Tavòr contro i Cananei: “Benedite H. Ascoltate o re, udite o principi, io (anokhì) ad H., io (anokhì) canterò ad H…. I monti hanno stillato dinanzi ad H.- il Sinai – dinanzi ad H. il D. d’Israel” (Giud. 5, 2-4). Rashì spiega che per il merito di essersi accostati ai Dieci Comandamenti (anokhì…) sul Monte Sinai, al Monte Tavòr gli Ebrei hanno avuto ricompensa doppia, come sottolineato dalla ripetizione per due volte della parola anokhì.
13) Hallèl = ci ha dato la Torah. Si confronti il versetto dell’Hallèl: “I monti danzarono come arieti”, che si riferisce a quando fu data la Torah. Altra spiegazione: il valore numerico della parola Hallèl equivale a quello del Nome A-D-N-Y e sappiamo che “H. e la Torah sono una cosa sola”.
14) Nirtzah = ci ha fatto entrare in Terra d’Israel. La parola ratzòn (gradimento) nella Torah è in genere legata all’offerta dei sacrifici. Solo quando saremo nuovamente in grado di celebrare i sacrifici nel Bet ha-Miqdash ricostruito saremo nuovamente bene accetti a D. in modo completo.
Il confronto con le strofe del Dayyenu ci consente di mettere le varie fasi del Seder in relazione con i momenti salienti della Storia del nostro popolo, una sorta di cammino simbolico dal passato più antico (l’Uscita dall’Egitto) al nostro destino finale, rappresentato dalla Ricostruzione del Santuario in Terra d’Israel. Che possa presto realizzarsi ai nostri giorni.
Pessach Kasher we-Samèach.
Rabbino Capo di Torino