“L’Eterno parlò ancora a Mosè sul monte Sinai in questi termini. ‘Parla ai figli d’Israele e di’ loro che quando sarete entrati nel paese che Io vi do, la terra dovrà avere il suo tempo di riposo (weshavetà haaretz shabbat l’Hashem) consacrato all’Eterno” (Levitico, 25:1-2). Nel brano della Torà di questo sabato, troviamo il precetto della shemità/l’anno sabbatico. Un contadino, ogni sette anni, deve smettere di lavorare la terra per un anno intero. Ma la particolarità di questo precetto sta nel fatto che la Torà evidenzi che sia stato dato sul Monte Sinai.
RaSH”Y (Rabbì Shelomò Yitzhaqi, 1040 – 1105) in uno dei passaggi più famosi del suo commento, solleva una questione: se tutti i precetti sono stati insegnati sul Monte Sinai, perché la Torà rimarca che il precetto dell’anno sabbatico è stato dato sul Monte Sinai?
Il commentatore di Troyes, risponde alla sua stessa domanda e asserisce che la Torà si è espressa in questo modo per chiarire un ulteriore concetto: proprio come tutti i dettagli particolare sulle norme dell’anno sabbatico sono stati dati sul Monte Sinai, anche i dettagli particolari di tutti gli altri precetti sono stati dati sul Monte Sinai.
Quando si parla dei precetti della Torà scritta, si potrebbe suppore che siano stati trasmessi solo in forma generica. Ma, attraverso il collegamento del precetto dell’anno sabbatico con il Monte Sinai, la Torà vuole precisare che, come le norme dettagliate dell’anno sabbatico sono state date sul Sinai, così tutti i dettagli di tutti gli altri precetti sono stati dati sul Sinai.
Tuttavia, nonostante questa spiegazione, rimane ancora una questione da chiarire: perché la Torà sceglie il precetto dell’anno sabbatico per insegnarci che sul monte Sinai sono state dati tutti i precetti con tutti i loro dettagli? Perché l’anno sabbatico e non lo Shabbat, le feste, oppure la Milà?
Per rispondere a questa domanda si deve riflettere su un principio fondamentale come collega tutti precetti della Torà.
Le mitzwot che un ebreo deve praticare, lo educano alla consapevolezza del limite. I precetti ci insegnano ad acquisire la capacità di fermarci e riporre la nostra fiducia, non più nei nostri mezzi ma solo nel Signore. Venerdì pomeriggio dobbiamo fermarci, lasciare il lavoro, chiudere le nostre attività e confidare che il Signore si prenderà cura di noi. Ogni mattina, non importa quanto siamo occupati, non importa quante cose dobbiamo fare, dobbiamo prima di tutto indossare talled e tefillin e pregare. Ogni pomeriggio e sera, non importa cosa sta succedendo, non importa quanta stress e stanchezza fisica abbiamo accumulato, ci fermiamo e preghiamo. Ogni anno in Nissan dobbiamo prenderci il tempo per pulire a fondo la casa e prepararci per Pesach. Ogni volta che i nostri genitori hanno bisogno del nostro aiuto, dobbiamo interrompere ciò che stiamo facendo e aiutarli.
Ogni precetto richiede un qualche tipo di sacrificio, un qualche tipo di investimento di tempo o denaro e ci richiede di avere fiducia che il Signore si prenda cura di noi.
Visto da questa prospettiva, l’anno sabbatico è la quintessenza dell’espressione di fiducia nel Signore. Forse nessun’altro precetto richiede un sacrificio maggiore e una quantità maggiore di fiducia come nel caso dell’anno sabbatico. Per un anno intero il contadino deve staccarsi dal lavoro e lasciare che chi lo desidera prenda i prodotti dei suoi campi. Questo è un sacrificio incredibile che è possibile solo se si ha ferma fiducia in D-o. Questo è il motivo per cui la Torà ha scelto, come modello esemplificativo, il precetto dell’anno sabbatico, perché ci insegna il fondamento che sta alla base di tutti precetti: riporre la nostra fiducia nel Signore.
Questo sabato, inoltre, leggeremo il quarto capitolo della Massime dei Padri.
La prima massima rabbinica del capitolo, che tutti conoscono ma che pochissimi di noi sono in grado di mettere in pratica afferma:
“Chi è ricco? Chi è felice della sua parte” (Avot 4:1).
Quante persone sono infelici e insoddisfatte, hanno molte benedizioni ma gli manca sempre qualcosa che bramano e che li rende scontenti. Un modo per superare questa tendenza è considerare il commento del Chatam Sofer (Rabbì Moses Schreiber, 1762 – 1839) a questa massima. Il Chatam Sofer spiega che chi è contento della sua parte è colui che ha saputo riconoscere che tutto ciò che una persona ha nella sua vita, è solo una parte delle benedizioni che il Signore ha in serbo per lui. Ci sentiamo infelici perché ci sentiamo bloccati nella nostra posizione attuale e diamo per scontato che le cose non cambieranno mai.
La massima di Ben Zoma (I sec. E.V.) insegna che si può essere felici se confidiamo che il Signore ha molto di più da darci e che ciò che abbiamo ora, è solo una parte di ciò che ci darà ancora.
Questo è il messaggio dell’anno sabbatico: riconoscere che la felicità e la serenità arrivano quando siamo in grado di fermare la nostra azione materiale e avere fiducia piena che il Signore si prenderà cura di noi, come ha sempre fatto e continuerà a fare.
È allora che saremo veramente ricchi, con la gioia e l’appagamento per l’acquisizione della consapevolezza del limite, Shabbat Shalom!