Da una derashà di Rav Sacks
Nella parashah di Beha’alotekha Mosheh sembra essere preso da uno slancio di generosità, che viene in seguito a un profondo momento di disperazione. Il popolo si è nuovamente lamentato, questa volta del cibo. Erano stanchi della manna, volevano della carne. Mosheh prega di morire. D. gli dice di nominare settanta anziani per aiutarlo. Lo fa, e lo spirito divino si posa su di loro, ma si posa anche su altri due uomini, Eldad e Medad, che non erano fra i settanta prescelti. Evidentemente Mosheh aveva scelto sei uomini per tribù, scartando poi questi due. Yehoshua vide in questo episodio una potenziale minaccia.
Mosheh si mostra molto magnanimo. Magari fossero tutti profeti! Questa sua condotta è molto differente da quella che assumerà in occasione della rivolta di Qorach. In questo caso non si mostrò gentile o generoso, ma, senza mezzi termini, pregò che i suoi avversari venissero inghiottiti dal terreno. Si mostra deciso e implacabile. Dov’è la differenza fra i due episodi? Per comprenderlo è necessario comprendere la differenza fra due concetti, che spesso vengono confusi, potere e influenza. Visto che spesso chi ha potere ha anche influenza e viceversa li consideriamo simili, ma non è così. Sono distinti e operano secondo logiche differenti. E’ sufficiente un semplice esempio per comprendere la differenza. Immaginate di avere un potere totale e poi un giorno di condividerlo con altre nove persone. Ora avrete un decimo del potere che avevate prima. Facendo lo stesso con la propria influenza, si avranno nove partner, che porteranno il nostro stesso messaggio. Il potere funziona per divisione, l’influenza per moltiplicazione. Mosheh ricopre contemporaneamente due ruoli rilevanti, da una parte è un profeta, che insegna Torah ad Israele e comunica con D., ma svolge anche le funzioni di un re, li guida nelle loro peregrinazioni e si preoccupa dei loro bisogni.
L’unico ruolo rilevante che gli era precluso era quello di sommo sacerdote, assegnato a suo fratello Aharon. Questa duplicità emerge chiaramente nella successione di Yehoshua. Qui abbiamo due distinti momenti, quello della semikhah, da cui deriva l’ordinazione rabbinica, e il conferimento di parte del suo onore. La prima azione è una trasmissione relativamente alla profezia, mentre il secondo aspetto si riferisce al regno. I re avevano potere, i profeti influenza, non solo durante la loro vita, ma in molti casi anche dopo, sino ad oggi. Per parafrasare Kierkegaard, quando un re muore il suo potere finisce, quando muore un profeta inizia la sua influenza. Eldad e Medad non ricevettero alcun potere, hanno ricevuto un certo tipo di influenza per mezzo della profezia. La profezia non è un gioco a somma-zero. In questo caso più condividiamo, più abbiamo. Qorach invece cercò il potere, e il potere è un gioco a somma-zero. Quando si parla di leadership, la regola è che c’è un solo leader per generazione, e non due. La ricerca del potere è in questo caso una sorta di colpo di stato e deve essere contrastata con vigore. Il rischio è quello di arrivare ad una divisione della nazione, come avvenne dopo la morte del re Shelomò. Mosheh non poteva lasciare impunito Qorach, perché in questo modo avrebbe compromesso la sua autorità. Nel Tanakh troviamo una critica serrata contro l’uso del potere. Tutto il potere secondo la Torah appartiene a D. Riconosce il fatto che in un mondo imperfetto si debba usare la forza in taluni frangenti, e da qui deriva il sostegno alla nomina di un re se il popolo lo desidera. Ma si tratta di una concessione, non di un ideale. Il vero modello che il Tanakh e la tradizione rabbinica abbracciano è quello dell’influenza. Mosheh è il nostro maestro, non il nostro re. Il vero eroe all’interno della nostra tradizione è chi insegna Torah. L’ebraismo è il primo sistema a far dipendere la propria sopravvivenza dall’educazione. Lo studio è superiore persino alla preghiera. I leader sono in grado di mobilitare gli altri perché hanno potere.
Facendo così trattano le persone come mezzi, non come fini, come cose e non come persone. Ma è possibile anche parlare ai bisogni e alle aspirazioni delle persone, per raggiungere degli obiettivi come gruppo. Per fare ciò serve avere una visione, articolare i pensieri in un linguaggio nel quale le persone possano identificarsi, e avere la capacità di crescere molti discepoli, che proseguiranno il lavoro. Il potere soffoca coloro sui quali è esercitato, l’influenza e l’educazione li fanno crescere e li arricchiscono. Nella loro storia raramente gli ebrei hanno esercitato il potere, mentre hanno avuto un’influenza sproporzionata rispetto al loro numero. Non tutti abbiamo potere, ma tutti possiamo avere influenza. Ognuno di noi può essere un leader. Questo non dipende dalla carica, da un titolo o da abiti particolari, ma dalla volontà di collaborare con gli altri per realizzare quello che non possiamo fare da soli. E’ sempre meglio preferire l’influenza rispetto al potere. E’ una forza che può trasformare le persone e cambiare il mondo.