Il “Cercare: Cercando” – 9 marzo 1998 – Shabbàt Zakhòr
Secondo la Toràh il rapporto tra memoria ed ‘Amaléq è piuttosto complesso.Bisogna fare un certo sforzo per capire chi deve ricordare, che cosa si deve ricordare,e persino come si deve ricordare.
Chi riguarda la mizvàh di ricordare ‘Amaléq? Siamo noi che dobbiamo ricordare a D-o di cancellare il ricordo mortale, di ‘Amaléq? oppure è D-o che deve imporci di ricordare ‘Amaléq come se da parte nostra ci fosse un forte desiderio di dimenticare? | Qual è l’oggetto del ricordo? Dobbiamo ricordare quello che ‘Amaléq ha fatto contro gli ebrei o contro se stesso? Contro D-o o contro l’essere umano in quanto tale? | Perché l’azione stessa della memoria verso ‘Amaléq è contraddittoria? Come si fa a ricordare quello che ha fatto Amaléq ed allo stesso tempo cancellare il ricordo di ‘Amaléq? In quale modo, non dimenticare ‘Amaléq può diventare un ricordo soltanto, dentro di noi? Tutti questi interrogativi comportano una dolorosa inquietudine: ‘Amaléq è un oggetto storico oppure è una dimensione dell’esistenza? |
Proviamo ad utilizzare alcuni concetti psicoanalitici:
1) la memoria è lo strumento essenziale per mantenere il senso della nostra identità; se non ci ricordiamo chi siamo stati e che cosa ci è capitato non sappiamo più chi e che cosa siamo;
2) la memoria è la sede privilegiata dei conflitti tra verità ed illusione; quando vogliamo ricordare, i fatti e le emozioni si mescolano in una confusione che dobbiamo capire, con moltissima fatica;
3) nel momento in cui viviamo un’esperienza, tendiamo a selezionare i dati che mettiamo in memoria; ciò nonostante entrano in memoria proprio i dati che avremmo voluto lasciare fuori;
4) nel momento in cui ricordiamo un’esperienza, viviamo una nuova realtà che tiriamo fuori dalla memoria; paradossalmente tendiamo a lasciare nei nostri archivi i dati più necessari per capire i nessi tra passato e presente.
Il dilemma esistenziale della memoria è più o meno il seguente:
a) l’amnesia è spesso, contro la nostra volontà, una modalità drammatica di ricordare senza tregua;
b) la sovraesposizione dei ricordi è spesso una modalità crudele ed innocente di distruggere il senso della memoria.
Ritorniamo ai nostri interrogativi su ‘Amaléq. Che cosa significa nella logica della Toràh, che è una logica di azioni, di emozioni e di conoscenze, ricordare ‘Amaléq?
Secondo il Midràsh Sifrì (Ki Tezè: Pisqà 86), il primo problema è distinguere fra il ricordare ed il non dimenticare: “ricordare è qualcosa che si fa con le parole, dimenticare è qualcosa che si fa con il cuore”. La mizvàh fondamentale è quella di non dimenticare. Poiché il tempo in cui la memoria del cuore si cancella è di dodici mesi, bisogna ricordare ‘Amaléq, nella pratica, una volta all’anno. Nello Shabbàth Zakhòr, quello che precede Purim, bisogna leggere, con l’intenzione precisa di ricordare ‘Amaléq, il brano che riguarda questa mizvàh. È interessante sottolineare la scelta dei maestri: il brano scelto è quello della mizvàh di ricordare (Devarìm 25: 17-19); non è quello della guerra storica di ‘Amaléq (Shemòth 17: 8-16) e neppure quelli della guerra che, secondo il Midràsh, ‘Amaléq avrebbe fatto sotto travestimento (Bemidbàr 21:1, cfr Midràsh Tonchumà).
La scelta halachica va discussa per quella che è:
1) ‘Amaléq deve essere ricordato una volta all’anno (per impedire l’amnesia del cuore);
2) il ricordo deve essere formalizzato con una specifica lettura della Toràh (fuori del ciclo settimanale – annuale) lo shabbàth prima di Purim (la festa in cui bisogna ubriacarsi fino a non sapere se ‘Amaléq è l’Altro o sono Io);
3) il ricordo consiste nel definire la mizvàh di ricordare piuttosto che nel ricordare i fatti storici collegati con ‘Amaléq.
“Ricorda quello che ha fatto a te (per te) ‘Amaléq nella strada, mentre uscivate dall’Egitto” (Devarim 17:19). Il verso è denso di richiami: perché antepone “a te – per te” ad ‘Amaléq? Perché si concentra su “nella strada”? Perché si collega con “mentre uscivate dall’Egitto”? Perché considera l’azione e non l’intenzione di ‘Amaléq?
Cerchiamo di analizzare questi interrogativi, restando dentro il nostro discorso sulla memoria di ‘Amaléq.
* Il richiamo all’uscita dall’Egitto, crea un forte contrasto.
Secondo la Toràh, il ricordo dell’uscita dall’Egitto riguarda “tutti i giorni della tua vita” (giorni e notti; questo mondo ed il mondo a venire); il ricordo di ‘Amaléq è invece indefinito nel tempo, e viene messo a fuoco, un solo giorno all’anno.
* Lo spostamento, che mette al centro “quello che fa fatto a te – per te” definisce la natura esperenziale del ricordo. Commentando le prime parole del verso successivo “ashér qarekhà”, Rashì fornisce tre traduzioni: “come se ti avesse incontrato per caso”: “quando ti ha reso impuro”; “perché ti ha reso freddo”. Ogni traduzione è accompagnata da un commento midrashico particolare; in questo contesto, il punto è cogliere le tre prospettive assieme: il ricordo di ‘Amaléq ha un diverso valore a seconda di come è vissuto dentro di noi.
Il rovesciamento è totale: ‘Amaléq esiste o si cancella dentro le nostre azioni. In definitiva, siamo noi, che ci troviamo ogni giorno della nostra vita nella strada dell’uscita dall’Egitto; è il nostro movimento su questa strada che lascia o non lascia spazio alle azioni di ‘Amaléq.
* Le azioni di ‘Amaléq (come quelle di Hamàn il suo continuatore biblico) sono tese a colpire gli ebrei, nei loro punti più vulnerabili e nei loro momenti di disperazione, per distruggerli. Le intenzioni di ‘Amaléq sono più intricate: lo sterminio fisico degli ebrei è, per ‘Amaléq, l’unico modo per combattere l’universo etico degli ebrei e per risolvere la propria crisi di identità.
‘Amaléq ha, secondo la Toràh, una malattia della memoria, non riesce a dimenticare o a ricordare il proprio legame con il popolo ebraico senza cercare di sterminarlo.
Per comprendere questa linea interpretativa, è necessario considerare che ‘Amaléq è discendente diretto di ‘Esàv, fratello di Ia’aqòv e che la Toràh stessa lo chiama “primo fra tutti i popoli” (Bemidbàr 24:20)
Secondo il midrash le azioni distruttrici di ‘Amaléq sono molto particolari:
A) ” ‘Amaléq era venuto di corsa da lontano per attaccare gli ebrei; chiamava gli ebrei più deboli, uno per uno, fuori dalla nuvola divina che copriva tutto il popolo e isolandoli li uccideva”
(Midràsh Tanchumà Ki Tezè 9);
B) il momento dell’attacco di ‘Amaléq non è casuale; l’uscita dall’Egitto è la conclusione positiva del patto fra D-o ed Avrahàm (la scelta del popolo ebraico in cambio dell’esilio in terra straniera); ‘Esav aveva rifiutato il patto di Avrahàm perché non aveva voluto subire l’esilio; all’uscita degli ebrei dall’Egitto, ‘Amaléq è travolto da questo ricordo e cerca di cancellarlo, annullando gli ebrei;
C) “quando gli ebrei uscirono dall’Egitto, ‘Amaléq prese le milòth (di chi? come?) e, contro il patto lanciò contro il cielo il segno del patto (Bemidbar Rabbà 13:3); da questo frammento midrashico è evidente che il problema di ‘Amaléq è, prima di tutto, con la sua storia e con D-o; la ritorsione contro gli ebrei è secondaria ed è un tentativo di cancellare un ricordo impossibile ed è, quindi, un tentativo di suicidio.
Nel corso dei secoli, i commentatori ebrei hanno sviluppato questa interpretazione fino alle sue estreme conseguenze: a) il problema di ‘Amaléq è ‘Amaléq stesso: b) il problema dell’ebreo è di riconoscere e di non dimenticare (dentro il cuore) il proprio ‘Amaléq interno e cioè l’istinto di morte.
Secondo Rav Zadòq Hakohén (cfr Perì Zadìq Shabbath Zakhòr), ‘Amaléq è l’istinto di morte che confonde facendo percepire assieme l’orgoglio dell’onnipotenza, la disperazione della perdita totale, l’annullamento della vergogna ed il senso coatto del disprezzo.
Sia leggendo, nello shabbath Zakhòr, il brano pertinente sia leggendo la Megillàh di Purim, gli ebrei hanno un uso molto caratteristico: quando viene letto il nome di ‘Amaléq (o quello di Hamàn) fanno un sacco di rumore; perché il rumore della gioia cancelli il ricordo del dolore. I bambini ebrei hanno uno strumento particolare per far baccano: il ra’ashàn (un gioco di parole fra malvagità e rumore).