La Birkath ha-chamma’h
di Elia S. Artom
A proposito della benedizione a Dio creatore del sole
Le fonti
Fra le altre formule di ringraziamento, nella Mishnà non viene ricordata né la benedizione speciale per ringraziare della creazione del sole, né la benedizione per la creazione della luce e degli astri, che recitiamo ogni giorno prima della lettura dello Shemà. La più antica fonte in cui questa benedizione compare è la Toseftà (Berakhot-ed. Zuckermandel VII,5): “Chi vede il sole ecc. dice: Benedetto colui che compi l’opera della creazione. Rabbi Jehudà dice: “Chi recita una benedizione per il sole, segue una via estranea”.
L’espressione “una estranea” è stata interpretata dai commentatori come “via eretica”, e da ciò sembrerebbe risultare che Rabbi Jehudà non accettasse l’opinione di coloro che recitavano questa benedizione per timore che arrivassero all’idolatria. Vi è però, chi spiega che Rabbi Jehudà intendeva riferirsi a coloro che recitavano sì, la benedizione, ma non nel momento per essa stabilito. Comunque stiano le cose, sembra che anche Rabbi Jehudà Ha-Nasi; il redattore della Mishmà (e cioè non il Rabbi Jehudà ricordato nella Toseftà) ritenesse che non si debba recitare una benedizione per la creazione del sole e per questo motivo non ne avesse inserito la norma nella sua Barajtà citata dal Talmud babilonese (Berakhot 59 b) “Chi vede il sole nel suo periodo ecc. dice: Benedetto colui che compì l’opera della creazione”.
Questa norma è riportata anche nel Talmud gerosolimitano (Berakhot IX,2 pag. 13 colonna 4) ma qui non viene indicata che la sua fonte è una Barajtà. Così si esprime quel Talmud: “Chi vede il sole nel suo periodo… e il cielo quando è puro dice: Benedetto Colui che compì l’opera della creazione”. Dopo la citazione della Barajtà, nel Talmud babilonese si chiede: “E quand’è?”, cioè quando si recita questa benedizione?. L’amoraita Abbajé risponde: “Ogni ventotto anni si ripete il ciclo, e il periodo di Nisàn cade in Saturno, al momento del tramonto del sole, di martedì al principio della notte di Mercoledì”.
Per quanto il Talmud gerosolitano dice sullo stesso argomento, vedi più avanti.
Il computo degli equinozi e dei cieli
Non si può capire la risposta di Abbajé senza conoscere alcune idee correnti tra i maestri del Talmud. Bisogna quindi spiegarle brevemente. Nella Torà (Genesi 1,14 e sgg.) è scritto che gli astri vennero creati il quarto giorno (Mercoledì), e secondo un detto dei Maestri su cui si basa ciò che dice Abbajé, essi vennero fissati nel cielo al principio della notte del Mercoledì, dopo il tramonto del sole del Martedì, giorno in cui cadeva l’equinozio di primavera. Il giro del sole intorno alla terra, sempre stando a quelle idee, si compie in 365 giorni e 6 ore cioè 52 settimane, un giorno e sei ore. Questo periodo corrisponde all’incirca all’anno solare, ma siccome non si può incominciare l’anno a metà della giornata, l’anno solare normale è di 365 giorni e un anno ogni quattro ne ha 366. L’anno si divide in quattro periodi uguali. Nel momento in cui ognuno di essi inizia, si dice che cade il — “periodo” — (cioè l’equinozio o il solstizio). I giorni in cui cadono i “periodi” sono le giornate in cui, secondo il calcolo accetto dai Maestri, il giorno e la notte sono uguali (“periodi” di Nisàn e di Tishri equinozi di primavera ed autunno), la giornata più lunga di tutte (periodo di Tammuz = solstizio d’estate). Da quanto fu detto sull’anno solare, risulta chiaro che nel secondo anno della creazione il “periodo” di Nisàn sarebbe caduto di Giovedì alle ore 6.00, nel terzo anno il Venerdì alle ore 12.00, il quarto anno il Sabato alle ore 18.00, il quinto alle ore 0 cioè alla stessa ora in cui era caduto nel primo anno e così via. Alla fine di ogni quarto anno, il “periodo” di Nisàn cade di nuovo nell’ora in cui vennero fissati gli astri sul cielo, ma non nello stesso giorno della settimana.
Una volta ogni sette anni cadrà di mercoledì, ma non nella stessa ora in cui era caduto nell’anno della creazione. Esso cadrà alle ore 9 del mercoledì una volta ogni 28 anni si chiama ciclo (grande). Secondo l’idea accetta dai maestri, su ogni ora domina uno dei sette pianeti; il pianeta che domina ora nella notte di mercoledì è Saturno; perciò egli dominava quando vennero fissati gli astri, ivi compreso il sole, vennero fissati, nel cielo al momento della creazione in cui, gli astri, ivi compreso il sole, vennero fissati, nel cielo al momento della creazione del mondo.
L’opinione del Talmud gerosolimitano sul momento della benedizione
Nel Talmud gerosolimitano alla regola riportata più sopra, segue un detto di Rabbi Chunà (chiamato nel Talmud babilonese Rav Hunà): “Ciò significa solo nella stagione piovosa dopo tre giorni”. Sull’interpretazione di questo detto, vedi più avanti. Nel Talmud gerosolimitano non viene affatto ricordato l’argomento dei ventotto anni e del “periodo” di Nisan.
L’insegnamento dei gheonim e dei loro contemporanei
Per quanto mi consta, il primo a trattare della benedizione del sole, dopo la chiusura dei Talmudim fu Rabbi Se’adajà Gaon, che visse in Egitto e in Babilonia alla fine del IX secolo e nella prima metà del X. Egli dice (Siddur Rabbi Se’adyà Gaon, pag. 90): “E per il sole il giorno del “periodo” di Tammuz si dice la benedizione: … Colui che compì l’opera della creazione”. Non sappiamo su che cosa si fondi questa sua idea, che non corrisponde né al Talmud gerosolimitano né a quello babilonese. A quanto pare Rabbi Se’Adjà Gaon non considerò le parole di Abbajé né quelle di Rav Hunà come decisione rituale, in base ad una sua opinione, o a una qualche tradizione a noi sconosciuta, spiegò le parole della Barajtà “il sole nel suo periodo”, come se alludessero al momento in cui il sole splende con tutta la sua forza, cioè nel giorno in cui cade il “periodo” di Tammuz, in cui le giornate sono più lunghe e sembra che, stando alla sua idea, si dovrebbe recitare la benedizione ogni anno.
Rabbenu Chananel, vissuto a Kairuan nella prima metà del XI sec., riporta (Levin, Ozar ha-Gheonim, Berakhot, appendici ai commenti, pag. 65) sia le parole di Abbajé nel Talmud babilonese sia quelle di Rav Hunà nel gerosolimitano e non prende una posizione.
Da ciò che egli scrive, risulta che secondo lui Rav Hunà voleva dire che si recita la benedizione a Colui che compì l’opera della creazione nella stagione piovosa quando si rivede il sole dopo tre giorni nuvolosi durante i quali non si erano visti il sole e le stelle e conclude con questa frase: “In quel momento si deve dire la benedizione, nel momento in cui si rivedono, e in nessun altro momento”.
Rabbi Nathan figlio di Jechiel, vissuto a Roma nella seconda metà dell’XI sec., autore del dizionario talmudico “Aruck”, riporta in questa opera, sotto la voce di “Chammà” (sole), la Barajtà sulla benedizione per il sole con le due interpretazioni, in forma simile a quella di Rabbenu Chananel e neanche lui prende una posizione. Rabbi Izhach Alfasi (RIF), contemporaneo di Rabbi Nathan, che tralasciando le discussioni, riporta nella sua opera rituale tutti i detti del Talmud babilonese in base ai quali secondo lui andrebbe stabilita la norma da seguirsi, riporta la barajtà sulla benedizione per il sole, ma non la spiegazione di Abbajé né quella di Rav. Hunà. Da tutto ciò sembra che fino al tempo del Rif non sia stata fissata una norma precisa, relativa alla benedizione per il sole.
La fissazione della norma ad opera di Maimonide
A quanto so il primo a fissare una norma in proposito è stato Maimonide. Dato che nel Talmud babilonese, considerato fondamentale per la fissazione delle norme, non vi è nessuno in contrasto con Abbajè, secondo il suo sistema Maimonide ha fissato la regola in base al detto di quell’Amorà, con queste parole: “Chi vede il sole nel giorno del periodo di Nisàn al principio del ciclo di ventotto anni, quando cioè il periodo cade nel principio della notte del mercoledì, quando vede il sole il mercoledì mattina, dica la benedizione: “Benedetto Colui che compì l’opera della creazione. (Hilkhot Berakhot X, 18). Al detto di Abbajè, egli aggiunge che si recita la benedizione il Mercoledì mattina. Questa aggiunta si basa sulla logica: è chiaro che non si deve recitare la benedizione di notte, quando il sole non si vede, ma essa va recitata al più presto possibile, e perciò la si recita la mattina.
La norma secondo gli altri antichi
Tutti i ritualisti più noti ed accetti hanno seguito Maimonide. Fra questi Rabbi Asher (Ha-Rosh), Rabbi Jaaqov autore dei Turim, Rabbi Josef Caro nel Beth Josef e nello Shulchan Aruck (Orach Chaijm CCXXVIII), e così è stata fissata in pratica la norma per tutto il popolo ebraico, per quanto anche dopo la decisione di Maimonide qualcuno abbia dissentito. Rabbi Meir Ha-Kohen (XII sec.) ad esempio, l’autore delle “Glosse al Maimonide”, riporta l’idea di Rav Hunà nel Talmud gerosolimitano. Quest’idea non è stata accolta nella normativa, ma tra i ritualisti recenti vi è chi ne tiene conto ed ha insegnato che nel giorno del “periodo” di Nisan, ogni ventotto anni si deve recitare la benedizione senza menzionare il nome di Dio, re del mondo. Nel dubbio che si tratti di una benedizione non obbligatoria, va quindi evitato di pronunciare il nome divino invano. Va notato che tra i ritualisti vi è chi ritiene che Rav Hunà non sia in controversia con Abbajé, in quanto egli non si riferirebbe alla benedizione per il sole ma a quella per quando “il cielo è puro”, ricordato alla fine del passo del Talmud gerosolimitano.
La norma in uso adesso
Da quanto dice Maimonide, che è stato accolto come norma e costituisce la base del nostro comportamento odierno, risulta dunque: a) si recita la benedizione per il sole una volta ogni ventott’anni); b) il giorno in cui si recita la benedizione è sempre mercoledì; c) il giorno della benedizione corrisponde sempre alla stessa data del calendario solare, se ai 365 giorni dell’anno regolare si aggiunge un giorno ogni quattro anni, cioè secondo il sistema del calendario giuliano. Come è noto il sistema seguito oggi in tutto il mondo è un altro (gregoriano); secondo quest’ultimo, negli anni di fine secolo non si aggiunge il giorno che si aggiunge ogni quattro anni, a meno che l’anno in questione non cada alla fine di un periodo di quattrocento anni (le prime due cifre cioè devono essere divisibili per 4)! Per questo motivo il giorno della benedizione del sole, non è fisso in base al calendario gregoriano, perché ogni quattrocento anni ritarda di tre giorni. Nel XIX sec., il giorno della benedizione cadde il 7 aprile; nei secoli XX e XXI (dato che il 2000 è alla fine di un periodo di 400 anni), l’8 aprile nel sec. XXII cadrà il 9 aprile e così via.
I ritualisti più tardi che, come si è detto, hanno accettato la decisione del Maimonide, discutono di alcuni particolari, e ricorderemo qui, i principali. Vi è chi pensa che si debba recitare la benedizione al momento dello spuntare del sole, e per quanto si sia diffuso l’uso di recitarla dopo lo Shachrith al Beth Ha–Keneseth, vi è chi ritiene che sia meglio recitarla in privato al momento dello spuntare del sole, piuttosto che più tardi in pubblico. Vi è chi pensa che vada recitata entro la terza ora (cioè prima che passi un quarto delle ore di luce); altri dicono fino a mezzogiorno ed altri ancora che c’è tempo tutto il giorno. La maggior parte dei ritualisti ha insegnato che si recita la benedizione anche in un giorno nuvoloso, quando non si può vedere il globo del sole perché è coperto dalle nubi, dato che anche in quella circostanza si gode della luce solare. Vi è invece chi ha insegnato che, se ci sono nubi nel momento del mondo, e che quando si dissipino le nubi si ripete la benedizione con il nome di Dio, re del mondo.
Le donne non usano recitare la benedizione per il sole.
Il formulario della benedizione
Si usa accompagnare la benedizione per il sole con capitoli dei Salmi, e vi sono anche fascicoli a stampa che comprendono il formulario secondo i diversi riti. Il formulario stabilito per il tempio di rito italiano a Gerusalemme è il seguente; Salmi CXLVIII, 1-6.
Benedetto Tu, e Signore Dio nostro, re del Mondo che ha compiuto l’opera della creazione.
XVIII; CXXI.
I maestri hanno insegnato: Chi vede il sole nel suo periodo dice: Benedetto colui che compì l’opera della creazione. E quando è? Abbajé dice: Ogni 28 anni si ripete il ciclo e l’equinozio di primavera cade in Saturno al momento del tramonto del sole di Martedì al principio della notte del Mercoledì.
Rabbi Chanajà ben ‘Aqashjà ecc. Qaddish ‘al Jisrael.
N.B. L’originale ebraico è stato pubblicato in uno speciale fascicolo a cura della Chevrath Jehudà Italia li’ – f’ullà ruchanith per la benedizione del sole del 23 Nisàn 5713 (8 aprile 1953).
Gli anni in cui si recita la benedizione per il sole sono gli anni ebraici, il cui numero diviso per 28 dà resto 1; così l’ultima volta la benedizione è stata recitata l’8 aprile 1953) (5713), si reciterà in quest’anno 5741 (8 aprile 1981) e poi nel 5769 (8 aprile 2009.
(traduzione dall’ebraico di Menachem Emanuele Artom)