La verità su due “strappi” clamorosi / 2
Filosofia e Kabbalà
Lo studio delle materie profane
Fin dai tempi del Talmud i Maestri hanno discusso sull’opportunità di dedicare anche una sola parte del proprio tempo allo studio di materie o sapienze esterne o estranee alla Torà (Khochmot khitzonijot). Con questo termine i Maestri intendevano riferirsi alle scienze e in particolare alla filosofia (com’è noto, la filosofia era la scienza per eccellenza). Ma mentre lo studio delle scienze naturali era consentito, se non addirittura consigliato, in quanto poteva portare a una maggiore conoscenza del Creatore, quello della filosofia era oggetto di aspre discussioni.
Anche in Italia, nel Medioevo e nel Rinascimento la questione è stata ampiamente dibattuta. In particolare, il problema che si poneva era se i rabbini dovevano associare allo studio delle materie talmudiche, anche quello della filosofia aristotelica.
Rabbi David figlio di Messer Leon, quando delineò quello che secondo lui doveva essere il modello di sapiente a cui attribuire il titolo di Rav, stabilì che era idoneo a ricevere la Semikhà (imposizione rabbinica) colui che era sapiente anche nelle scienze oltre che nel Talmud.
Di diversa opinione era Rabbi Jaakov Provenzal, che in una risposta a una domanda postagli proprio dal figlio di Rabbi David, rispose che “egli non doveva occuparsi di Aristotele, ma adottare il metodo delle Jeshivot che si trovano in Oriente… che amano la Torà e studiano il Talmud…”.
In Italia, durante il Rinascimento, assistiamo al tramonto degli studi aristotelici nel mondo della cultura ebraica; questo spazio sarà occupato via via dallo studio della Kabbalà.
Anche se lo studio dei testi che hanno una chiara impostazione aristotelica, come la Guida degli smarriti di Maimonide, non cesserà del tutto, va osservato che, verso la fine del 16° secolo, l’interesse per la filosofia è andato scemando, come sembra provato dall’assenza di libri di filosofia nelle biblioteche appartenenti ad ebrei e dalla mancanza di nuove ristampe dei testi filosofici, da una parte, e del progressivo aumento dei testi di Kabbalà dall’altra.
Tre sono le tendenze che si sviluppano in merito all’opportunità o meno dello studio della filosofia: la prima che riafferma la propria fedeltà alla filosofia aristotelica come strumento di conoscenza in una forma o nell’altra (R. Ovadià Sforno); la seconda che ritiene indispensabile l’abbandono dello studio della filosofia, proprio in quanto non si dimostra strumento di conoscenza adeguato in grado di dare un senso all’esistenza ebraica e all’osservanza delle mitswot (R. Jehiel Nissim da Pisa) e, infine, una terza che ritiene possibile una sorta di sincretismo tra filosofia e Kabbalà (R. Avraham Provenza, R. Jehudà Moscato, R. S. Katznellenboghen).
s. b.