Arte ebraica in Italia
Molto spesso gli ebrei erano solo i committenti, e gli artisti, cristiani. Ma il contributo italiano all’arte “ebraica” fu senz’altro una presenza originale e significativa
L’atteggiamento degli ebrei verso le varie manifestazioni artistiche è stato, fino al 19° secolo, ambivalente. Se da una parte gli ebrei hanno costantemente fatto uso, per il loro culto sinagogale e domestico, di oggetti rispondenti, in qualche modo, il loro senso estetico, è indubbio che il loro atteggiamento verso le arti figurative è stato fortemente condizionato dal divieto della Torà (nel II comandamento, e altrove) di farsi immagini, in particolari rappresentazioni in rilievo della forma umana.
Ciò nondimeno, in vari periodi e in differenti ambiti, in passato, queste inibizioni furono in parte ignorate
È significativo che proprio in Italia, paese in cui, in generale, l’amore per il bello si è maggiormente sviluppato e manifestato, l’atteggiamento degli ebrei verso l’arte, nelle sue varie espressioni e forme, fu non solo di non-opposizione, ma spesso anche di incoraggiamento.
Scrive Leon da Modena (vedi a pag. 18), nella Historia de’ Riti Hebraici (Venezia 1678; parte I, cap. 2:3). “Figure, né immagini, né statue, (gli ebrei) non tengono in casa, e tanto meno nelle Sinagoghe, e luoghi a loro sacri, dall’Esodo cap. 20, e in molti altri luoghi. Ma in Italia molti si fanno lecito tener ritratti, e pitture in casa, massime non essendo di rilievo, né di corpo compito”.
Sia in Italia che altrove, comunque, gli ebrei non ebbero, in generale, una propria espressione artistica peculiare: piuttosto, utilizzarono forme e stili che riflettevano quelli dell’ambiente circostante. A volte gli artigiani e gli artisti erano ebrei; ma spesso essi erano non-ebrei: gli oggetti venivano eseguiti su commissione, ed era inevitabile che l’artista non-ebreo vi infondesse il proprio estro personale.
Vi furono anche casi di artigiani ebrei che lavoravano per il culto religioso cristiano: si ha così questa situazione paradossale, in cui, mentre in alcuni casi gli artigiani cristiani producevano gli oggetti rituali ebraici, (come chanukkioth, ornamenti per il Sefer Torà, coppe per il Kiddush ecc.), in altri erano gli artigiani ebrei che costruivano oggetti sacri cristiani, compresi i crocefissi.
A volte gli artisti erano ebrei di nascita, convertitisi al cristianesimo. Durante il rinascimento, fra questi si ricorda Salomone da Sessa (che si chiamò poi Ercole de’ Fedeli), che stava al servizio di Cesare Borgia. Fra gli artisti ebrei, o di origine ebraica, di un certo valore, si ricorda Mosè da Castellazzo (m. 1527); Jonah Ostiglia di Firenze (m. 1675) e, secondo l’ipotesi di alcuni critici, il Giorgione (Giorgio da Castelfranco Veneto) (vedi Guida all’Italia ebraica, Marietti 1986, pp. 124-126).
Un ambito in cui la rappresentazione figurativa fu alquanto frequente, in molti paesi, ma in particolare in Italia, fu la decorazione di libri manoscritti e, successivamente, a stampa. Ciò è vero soprattutto per la Haggadà di Pesach e la Meghillath Ester, nelle quali spesso si trovano rappresentazioni di figure umane. Ma dove maggiormente il senso artistico si espresse, in questo ambito, fu nelle Ketuboth: specialmente in Italia, questi solenni documenti di matrimonio venivano decorati in tal modo da divenire delle vere e proprie piccole opere d’arte.
g.d.s.