Gli echi della controversia
Maimonide in Italia
L’Italia ebraica ha celebrato l’850° anniversario della nascita di Rambam, Maimonide con due giornate di studio, tenute l’una a Roma, l’altra a Milano, durante le quali i vari oratori hanno parlato della vita e dell’opera del Maimonide, nei suoi dettagli e particolari, intrattenendosi chi sulle opere ritualistiche, chi su quelle filosofiche, ma — a mio avviso — non è stato messo in evidenza, in quelle giornate, quale influenza abbiano avuto le opere del Maimonide e come esse siano state accolte in Italia e quale parte l’ebraismo italiano abbia avuto in quel particolare e difficile momento della controversia pro e contro le opere del Maimonide. Scopo del presente articolo — senza presunzione e pretesa di inserirsi nel novero di coloro che hanno trattato del pensiero maimonidiano — è quello di colmare questa lacuna. Mi soffermerò, in particolar modo, sugli echi della controversia sulle opere filosofiche, dopo la morte dell’Autore, controversia alla quale presero parte in Italia, coloro che — studiosi della filosofia maimonidiana — parteggiarono, come vedremo, per il Maestro, difendendo il suo pensiero e la sua opera, con estremo coraggio, competenza e dottrina.
Prima di parlare di tutto questo sarà bene riportare brevemente, per i lettori meno preparati, i termini e le motivazioni della controversia, sorta e durata per tutto il XIII secolo.
Mentre i questo periodo le condizioni degli Ebrei in Europa ed in particolar modo in Italia erano tutt’altro che favorevoli (si pensi al Concilio lateranense del 1215, durante il quale si decide di imporre il “segno” sugli abiti; le lotte contro gli Albigesi e le tristi conseguenze per gli Ebrei; le estorsioni fatte in Inghilterra, ai danni dei nostri fratelli, dopo aver ottenuto protezione e privilegi dal Re Giovanni senza terra, ecc. ecc.), una grande agitazione si manifesta all’interno dell’ebraismo, contro le opere e le dottrine del Maimonide.
La scomunica contro i libri di Maimonide
Qualche opposizione alle sue opere la si ebbe già quando l’Autore era ancora in vita e precisamente quando venne diffondendosi la monumentale opera ritualistica Mishné Torà o Yad ha-Chazaqà (la ripetizione della legge o mano forte). Si accusava l’Autore di aver voluto sostituire ed abbandonare lo studio del Talmud e lo si criticava aspramente per non aver citato le fonti delle relative norme rituali ed altre cose simili. Promotore di questa agitazione ed opposizione e portavoce fu un certo Pinechas, figlio di Meshullam, di origine provenzale, al quale l’Autore rispose, ribattendo a ogni accusa. Ma le agitazioni e le opposizioni si fecero più forti dopo la sua morte, man mano che le sue opere si diffondevano nei maggiori centri dell’ebraismo di allora: Erez Israel, l’Arabia, l’Africa, la Spagna e la Francia. Le sue opere, particolarmente quelle filosofiche, venivano sottoposte a severe critiche e attacchi, facendo carico al grande Maestro di aver violentato i sacri testi, per conciliarli con la dottrina aristotelica, dia ver reso inutile lo studio del Talmud e razionalizzato tutti i precetti della legge e di tener poco conto di quelli che non fossero guidati dal lume della ragione. Tra i primi a sollevarsi e a criticare aspramente il sistema del pensiero del Maimonide fu R. Meir, figlio di Todros ha-Lewi Abulafia (1140-1284), dotto rabbino, che godeva la stima e la fiducia degli ebrei di Toledo. Egli inviò una lettera ai Rabbini di Lunel, allora centro molto importante per le sue accademie dello studio del Talmud, cercando di convincerli a condannare le opere del Maimonide, ma trovò grande opposizione da parte di un grande talmudista di Lunel, ammiratore e sostenitore del Maimonide, tale Aron, figlio di Meshullam e da parte di R. Sheshet Benvenisti di Barcellona. Nella città di Damasco la lotta si accanì fino al punto che, uno dei difensori del Maimonide, tale Josef Ibn Anqain tentò di far pronunciare da Abramo Maimonide la scomunica, contro gli avversari di suo padre, cosa che avvenne più tardi, da parte dell’esilarca di Damasco, David, figlio di Mosul.
più vivace ed accanita fu la lotta e la controversia nella Francia meridionale e nella Spagna. A Montpellier il rabbino Shelomò, figlio di Avraham, aiutato dai suoi discepoli, pronunciò la scomunica contro coloro che osassero leggere le opere del Maimonide, in particolar modo la “Guida degli smarriti” e gli altri scritti di filosofia, arrivando a scomunicare perfino coloro che si dedicassero ad altri studi, all’infuori della Bibbia e del Talmud. I rabbini della Francia settentrionale furono d’accordo sull’anatema dato da R. Shelomò. Tale drastico provvedimento eccitò gli animi di coloro che erano a favore del Maimonide, i quali — a loro volta — lanciarono la scomunica contro Shelomò ed i suoi discepoli; questa venne inflitta dai capi delle Comunità della Provenza, di Lunel, di Beziers e di Narbona i quali inviarono anche lettere alle altre Comunità provenzali, allo scopo di prendere le difese del Maimonide. La controversia divampò anche nelle Comunità della Catalogna, di Aragona e di Castiglia; dalle due parti si combatteva con pari animazione e ardimento.
Nella lotta presero parte anche due grosse personalità del mondo ebraico di allora: l’anziano e celebre R. David Qimchì, il noto Rada Q, commentatore ed esegeta della Bibbia ammiratore entusiasta del Maimonide, ed il Nachmanide (R. Moshé ben Nachman) uomo di profonda religiosità, avverso allo studio della filosofia, specialmente aristotelica e fautore della Qabbalà, che iniziava allora a diffondersi in Spagna. La contesa si protrasse per molti anni. R. Shelomò, dopo tanto accanimento, rimase solo nella lotta ed indignato si rivolse al tribunale d’inquisizione, da poco istituito, ottenendo di dare alle fiamme le opere del Maimonide, in modo particolare la “Guida degli smarriti”, considerata dannosa e pericolosa per la religione e l’osservanza delle norme rituali. Si tenga presente che in quegli anni di contesa e di controversia la “Guida del Maimonide era stata già tradotta in latino e di essa si erano già serviti — per la costruzione del loro sistema teologico – i filosofi scolastici: Alberto Magno ed il suo discepolo Tommaso D’Aquino. Tutto ciò sollevò l’indignazione di coloro che erano dalla parte del Maimonide, i quali provocarono a far condannare dal tribunale rabbinico di Montpellier alcuni sostenitori di R. Shelomò. La lotta andava sempre più inasprendosi, finché una parola di pace e di concordia fu portata da R. Moshé da Coucy, l’autore dell’opera Sefer Mizwot Gadol (il Grande Libro dei Precetti), il quale intraprese un lungo viaggio, recandosi nelle Comunità francesi e spagnole e con le sue prediche e le sue esortazioni riuscì a placare gli animi esasperati, richiamando all’osservanza religiosa coloro che — traendo conclusioni ingiustificate dall’opera del Maimonide — si erano allontanati dai sani principi della vita e della moralità ebraica.
Nel frattempo la nuova dottrina della mistica ebraica andava sempre più sviluppandosi e diffondendosi. Si ebbero così nel campo degli studi ebraici tre tendenze o tre scuole: quella degli studiosi e cultori delle opere del Maimonide, quella dei talmudisti e quella dei cabbalisti; poco coltivata era, in quel periodo, la poesia ebraica.
Mentre sembravano placati gli animi, nella lotta pro e contro il Maimonide, nuove persecuzioni si abbattevano nel XIII secolo sugli Ebrei: nel giugno 1242 il Talmud viene dato alle fiamme sulle piazze di Parigi, a causa dell’apostata Nicola Donin; nuove persecuzioni avvengono in Germania e in Francia; nel 1290 avviene l’espulsione degli ebrei dall’Inghilterra da parte di Edoardo I. In mezzo a questi momenti tormentati della storia ebraica, nuove lotte sorgono pro e contro le opere del Maimonide. Dopo l’autorevole intervento da parte di R. Moshé da Coucy sembrava che la lotta e la controversia fossero cessate; invece si erano soltanto assopite. A ridestarle furono un fanatico cabbalista ashtenazita, R. Moshé figlio di Chasdai, Teku o Ta-ku accanito avversario di qualsiasi sistema filosofico, e un cabbalista francese di nome Shelomò Petit (= ha-Zatan). Questi era partito dalla Francia alla volta di Erez Israel, stabilendo la sua dimora ad Acco: qui si adoperò per trovare adepti alle sue idee cabbaliste ed antimaimonidiane; intraprese anche viaggi in Europa, allo scopo di convincere i capi delle Comunità ebraiche di dare alle fiamme le opere del Maimonide. Il rabbinato tedesco fu subito conquistato alla causa, ma meno favore egli incontrò in Italia dove dominava uno spirito di tolleranza; Tornato ad Acco, incoraggiato dall’approvazione dei rabbini dell’Europa centro-orientale, si adoperò nuovamente a rinfocolare la lotta contro il Maimonide e le sue dottrine e l’eccitazione arrivò a tal punto che sulla lapide sepolcrale del grande Maestro, a Tiberiade, qualcuno osò perfino cancellare le parole: Mivkhar ha-Anashim (l’eletto degli uomini), con la frase: Mucharam Wa-Min (scomunicato ed eretico).
Per arrestare questa piaga in seno all’ebraismo che andava sempre più lacerandosi, a causa delle lotte, delle controversie e delle fazioni interne, si adoperò il medico e filosofo italiano Hillel da Verona (v. avanti), che si prodigò ad inviare lettere ai maggiorenti dell’epoca, tra i quali il nipote del grande Maestro R. David, affinché pronunciassero una scomunica contro il Petit e la sua propaganda antimaimonidiana, proponendo di consegnare ai rispettivi tribunali rabbinici i testi contro il Maimonide del nipote R. David. La scomunica fu anche pronunciata dai rabbini di Safed contro i detrattori del Maimonide e delle sue opere. Finirono così per sempre le opposizioni alle dottrine del Maimonide, ma l’ebraismo ne uscì esausto e lacerato.
A ricomporre l’unità degli animi e riportarli alla calma ed all’armonia pensarono i seguaci della dottrina mistica che — come detto — andava, in quel tempo, sviluppandosi e diffondendosi, in particolar modo in Spagna ed in Francia, per quanto all’inizio, abbia incontrato anch’essa forti opposizioni da parte dei razionalisti.
Dopo aver tracciato, brevemente, i termini della controversia pro e contro il Maimonide, viene spontanea una domanda: quale parte ebbe l’ebraismo italiano nella lotta? Quali i Dotti che vi parteciparono?
Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci ancora: come furono accolte le opere del Maimonide in Italia? È noto che, particolarmente il Mishné Torà e la Guida degli Smarriti furono accolti con entusiasmo e studiati con attenzione e zelo: il primo perché facilitava l’applicazione pratica delle norme rituali, il secondo in quanto trovò l’ebraismo italiano dell’epoca immerso, oltre che negli studi ebraici, anche in quelli umanistici. Pertanto, prima di trattare della partecipazione alla controversia, dobbiamo vedere a grandi linee quale era il grado di cultura degli ebrei d’Italia durante il XIII secolo.
In quel periodo, due grandi correnti di pensiero influirono, non poco, nello studio del Talmud, adottando il metodo dei Tosafisti, che fu proprio delle accademie rabbiniche di Roma, Trani, Otranto, Bari ed altri centri molto importanti dell’Italia meridionale. Ne fanno testimonianza i grandi lavori in materia di R. Jeshajà da Trani, il vecchio, e del nipote R. Jeshajà da Trani il giovane. Sempre in questa epoca ebbe inizio la divergenza tra fede e ragione, che si conclude con la proibizione dello studio della filosofia. A lato dei talmudisti, seguaci del metodo di studio dei tosafisti francesi, abbiamo, in questo periodo, anche coloro che si occupano di raccogliere le norme rituali, in appositi libri, quali R. Zidqijà figio di Avraham della famiglia degli Ana-wim, autore del Shibbolè ha-Leket (le spighe della spigolatura) e R. Jechiel, figlio di Jekutiel1, autore di un’opera ritualistica, che vuole essere il sunto della precedente, dal titolo Sefer Tanjà, che servì, per lunghi anni, agli ebrei d’Italia come vademecum spirituale, in base al quale essi conducevano la loro vita religiosa.
Per quanto la maggior parte del rabbinato italiano fosse contrario allo studio della filosofia ed alle dottrine cosiddette profane, l’Italia ebraica non poté rimanere estranea al nuovo movimento di pensiero, proveniente dalla Francia meridionale e dalla Spagna, tanto che le dottrine del Maimonide si diffusero ben presto nell’Italia meridionale. A Napoli fu celebre R. Jaakov Anatoli che, nelle sue prediche, tenute nei sabati nella Sinagoga, commentatore della Guida degli Smarriti, che — durante la controversia del Maimonide in Provenza — prese le difese di quest’ultimo. Più attivo e vivace in Italia, nel difendere le dottrine del Maimonide e profondo studioso della filosofia fu R. Zerachjà, figlio di Izchak, figlio di Shealtiel Chen, che con i suoi commenti ai libri biblici di Giobbe e dei Proverbi, infiammò coni suoi scritti tutta la sua generazione, in particolar modo i giovani, che si avvicinavano con entusiasmo allo studio della speculazione filosofica. Per Zerachjà il Maimonide era considerato la fonte assoluta della verità, alla quale ci si doveva ispirare ed attenere, dimostrando poca considerazione per coloro che erano contrari allo studio della filosofia.
Nell’ambito della speculazione filosofica — scrive il Milano — il campo in Italia era completamente dominato dal Maimonide.
In Italia, dove il pensiero religioso ebraico mostra di essere orientato verso una ortodossia piuttosto temperata, la battaglia si svolge preponderatamente a fianco di Maimonide. Uno dei più acuti propugnatori della concezione maimonidiana fu Hillel ben Samuel da Verona (1220-95 circa) nella sua opera Tagmulé ha-Néfesh (ricompense spirituali). Anch’egli uomo dai molteplici interessi, aveva studiato scienze rabbiniche a Barcellona e medicina a Montpellier; scrisse delle prime e praticò con competenza la seconda a Roma, Capua e Forlì, intercalandovi anche traduzioni in ebraico. Vicinissimo a lui di età, di pensiero e di attitudini — maimonista, medico e traduttore — fu pure Zerachjà ben Shaltiel Chen che, venuto dalla Spagna, trascorse una certa parte della sua vita a Roma, dove scrisse vari tomi sia di commento ad alcuni libri della Bibbia sia sul suo mentore in filosofia. Non meno energici nella loro posizione filomaimonidiana e nitidi nelle loro esposizioni furono vari altri autori vissuti nel medesimo torno di tempo o poco dopo, come Mosè ben Salomon da Roma. Un episodio è istruttivo per illustrare l’interesse chela cerchia filosofica degli ebrei romani del Duecento aveva per Maimonide. Era introvabile nel mondo dei dotti la traduzione ebraica del Commento alla Mishnàh del grande filosofo; un messo fu fatto partire appositamente per rintracciarla in Spagna; la ricerca durò ben due anni, quindi il messo ritornò a Roma con il manoscritto desiderato.
L’opera di Hillel da Verona
Tornando alla lotta pro e contro il Maimonide abbiamo detto che, durante gli ultimi anni della sua vita, vi prese attiva parte R. Hillel da Verona, schierandosi toto corde dalla parte del Maestro e delle sue dottrine, come lo dimostra la sua opera più importante: Tagmulé ha-Nefesh (le ricompense dell’anima).
Hillel, figlio di Shemule da Verona, medico, talmudista e filosofo. È chiamato “da Verona”, per quanto sappiano che soltanto il nonno R. Elazar sia nato in questa città. R. Hillel nacque in Italia nell’anno 1220 e morì dopo l’anno 1291. Studiò il Talmud all’Accademia rabbinica, diretta da R. Yonà Gerondi da Barcellona, acquistando al tempo stesso grande conoscenza nel campo della filosofia e delle scienze naturali; sapeva il latino e l’arabo.
Studiò anche medicina all’Università di Montpellier e svolse l’attività del medico nella città di Roma, dove contrasse amicizia con Rabbi Izchak, figlio di Avraham, conosciuto con il nome di Maestro Gaio, medico personale del Papa. Lo troviamo a Capua negli anni 1260-61, dove tenne anche conferenze su argomenti filosofici. Qui ebbe come allievo il celebre cabbalista R. Avraham Abulafia; da Capua si trasferì a Ferrara ed a Forlì e qui chiuse gli occhi alla vita terrena in età veneranda.
R. Hillel si dedicò moltissimo allo studio delle opere del Maimonide e questa sua passione gli derivò forse dall’atteggiamento ostile, assunto dal suo Maestro verso le opere del Maimonide e quando egli vide il pentimento del Maestro, per aver bruciato i libri del Maimonide, R. Hillel decise di onorarne il nome e di approfondirne le opere. Ciò è testimoniato anche da una lettera, inviata da R. Hillel al suo amico Maestro Gaio a Roma, nella quale lo pregava — tra l’altro — di prendere le difese del Maimonide dagli attacchi dei suoi denigratori.
Quando scoppiò la lotta contro il Maimonide ed i suoi libri, per opera del cabalista francese, R. Shelomò Petit ed i suoi seguaci, R. Hillel si schierò dalla parte dei difensori e scrisse ancora una volta al Maestro Gaio, pregandolo di non associarsi agli avversari del Maimonide, anzi di prenderne le difese e, per dimostrare che nulla era imputabile al Maimonide, decise di tradurre le parti più difficili della “Guida degli Smarriti”, sulle quali la lotta degli oppositori si era maggiormente accanita.
R. Hillel scrisse al tempo stesso a R. David Maimon, pronipote del Maimonide, allo scopo di intervenire energicamente ed alle Comunità dell’Egitto e di Babilonia, onde facessero cessare la lotta.
R. Hillel — nel campo della filosofia — fu invero un innovatore e forse il geniale autore, nel campo della speculazione filosofica in Italia.
Il suo più importante libro di filosofia è il Tagmulé Ha-Nefesh (le ricompense dell’anima), scritto nell’anno 1291, nella città di Forlì e pubblicato soltanto nell’anno 1874, dalla Società “Mekizé Nirdamin”.
In quella lettera egli ricordava al Maestro Gaio la prima controversia, sorta in Provenza ed in Spagna, che portò alle fiamme pubblicamente le opere del Maimonide, insieme ai libri del Talmud e ad altre opere di carattere ebraico.
R. Hillel inviò inoltre lettere alle Comunità di Egitto e della terra d’Israele, durante i viaggi di R. Petit in queste nazioni, esortandoli a convocare un congresso di rabbini e di notabili nella città di Alessandria e di inviare poi dei messi, dotti e degni di rispetto — così egli scrive — nelle varie Comunità della Germania e della Francia, convocando i detrattori dell’opera del Maimonide a presentarsi in giudizio, in un dei tribunali rabbinici di Venezia o di Marsiglia, allo scopo di dimostrare le loro proteste e rimostranze e perché mai essi abbiano così offeso e denigrato l’opera e la dottrina del grande Maestro, Ma tale convocazione, auspicata da R. Hillel, non fu più necessaria perché già le autorità rabbiniche della terra d’Israele avevano lanciato l’anatema contro R. Shelomò Petit ed i suoi seguaci. A R. Hillel da Verona si unì nella lotta, come detto, anche R. David, nipote del grande Maimonide, l’esilarca di Damasco, R. Izchak, figlio di Chi-zkijà’ e l’esilarca di Mossul, David, figlio di Daniele, i quali, unitamente ai capi dei tribunali rabbinici di Erez Israel, pronunciarono un solenne anatema contro il Petit, se non la smetteva di far propaganda contraria al Maimonide e contro coloro che avessero osato dichiarare quest’ultimo di eresia, onde far cessare una buona volta, lo scandalo provocato da siffatta deleteria propaganda.
Nel frattempo andava diffondendosi la nuova speculazione filosofica-cabbalistica, con il suo sistema mistico-allegorico nell’interpretazione della Bibbia. Fu questo una specie di ponte — conclude il Dubnow — tra la filosofia, la teologia, il razionalismo e la mistica.
Il più alto rappresentante in Italia, in questo periodo, l’unico forse nella sua generazione fu R. Menachem da Recanati, che, ammiratore del Maimonide, riportava molti passi della Guida degli Smarriti nel commento a molti passi dei suoi scritti. Può considerarsi questo un vero dualismo nel campo della filosofia religiosa per quei tempi.
Jehudà Nello Pavoncello