La grande rivoluzione
Com’è cambiato l’ebraismo italiano negli ultimi 150 anni: date e cifre essenziali
Osservanza delle tradizioni
Non esistono dati precisi e statistiche, ma in ogni caso è certo che l’apertura dei ghetti e la completa emancipazione degli ebrei italiani segnarono il momento di inizio di un processo di notevole e progressivo abbandono della fedeltà all’osservanza delle tradizioni religiose. Tale processo probabilmente raggiunse il suo culmine nel giro di due-tre generazioni; alla fine del secolo scorso la comunità ebraica italiana era già nella sua maggioranza ebbero una maggiore ‘tenuta’, o almeno il tempo di comparsa dell’abbandono più tardivo, in rapporto alle loro implicazioni sociali più vaste: un esempio è quello del matrimonio misto, divenuto fenomeno più rilevante con un certo scarto di ritardo.
Ideologia
La visione tradizionale dell’ebraismo cambiò radicalmente nel XIX secolo; da una parte, in vasti settori intellettuali vi fu l’accettazione delle idee positivistiche, o almeno la condivisione delle loro implicazioni più banali; dall’altra vi fu un’intera classe dirigente rabbinica educata nella scuola di S.D. Luzzatto, permeata di un atteggiamento razionalistico. In molti casi, anche da parte rabbinica, si consolidò un modello di osservanza edulcorata e critica del modello ortodosso (anche se non sfociò mai nell’aperta riforma).
L’acquisizione dei diritti civili e la partecipazione alle lotte risorgimentali dette luogo a un vivissimo senso patriottico e al diffondersi della concezione di “italiano di fede mosaica”; la nascita del movimento sionistico mise in crisi questi valori, che comunque continuarono a prevalere fino all’epoca delle leggi razziali.
Produzione culturale
Dal punto di vista qualitativo e quantitativo la produzione ebraica italiana nel XIX e XX secolo fu decisamente inferiore ai periodi precedenti. Scarseggiarono le opere in lingua ebraica; l’accento fu posto sulla critica e l’esegesi biblica, sulla storia sul pensiero, mentre gli studi talmudici e ritualistici segnalano solo sporadici contributi originali. La tipografia ebraica continuò ma con opere progressivamente meno originali, e sempre più a carattere ripetitivo; oggi è limitata ad edizioni anastatiche; Importanti collezioni bibliografiche e di manoscritti furono vendute e trasferite all’estero. Agli inizi di questo secolo la scuola rabbinica italiana rifiorì a Firenze (per opera di due maestri non italiani, Margulies e Chajes, che comunque si inserirono perfettamente nell’ambiente locale); si trattò di una brusca inversione di tendenza in una situazione che sembrava avviata all’inarrestabile deterioramento.
Gli ultimi cinquanta anni
Gli effetti della persecuzione nazifascista: nel 1938 la popolazione ebraica italiana era di circa 46.000 persone. 7.390 (il 16%) morirono nei campi di sterminio. 6.000 circa (il 13%) si dissociarono o si convertirono. 9.000 persone circa in meno rappresentano il saldo negativo dei movimenti di emigrazione (19%). In pratica la persecuzione causò la perdita di quasi la metà del gruppo ebraico italiano originario.
Dal punto di vista culturale e ideologico, se da una parte le dissociazioni e le conversioni allontanarono i meno motivati e i più lontani dalle tradizioni, l’emigrazione privò il gruppo di componenti fortemente motivate e preparate ebraicamente (alià dei sionisti) e di futuri membri di una classe dirigente di élite (“fuga dei cervelli” verso gli Stati Uniti). Nel 1965 il numero degli ebrei Italiani presenti nel 1938 insieme ai loro discendenti ammontava a circa 26.000 persone; gli effetti della persecuzione si erano fatti sentire anche con l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione del potenziale riproduttivo. Compensa questo fenomeno l’aumento di popolazione ebraica nata fuori dall’Italia. Il peso relativo degli ebrei stranieri in Italia è cresciuto dal 2,1% del 1901, al 20% nel 1965, a oltre il 27% nel 1975. In alcune comunità come quella di Milano, la percentuale dei nati all’estero supera la metà degli iscritti. Il rito ebraico italiano è ancora seguito dalla maggioranza, ma vi sono circa il 25% di Sefarditi e 13% di Ashkenaziti. In pratica la composizione originaria del gruppo è cambiata radicalmente e i nuovi apporti hanno stabilito differenti approcci culturali e rapporti con la tradizione.