Tre parole chiave
Dibbuq
Fin dalle più antiche origini la cultura ebraica ammette la possibilità che uno «spirito» estraneo entri in una persona e ne condizioni in qualche modo il comportamento. Nella forma più evoluta dell’ideologia che discute questi fenomeni si distingue tra diverse forme di movimenti di anime e di possessione spiritica: si parla di ghilgùl, letteralmente rotazione, per indicare la metempsicosi e la trasmigrazione dell’anima, che generalmente si verifica alla nascita di un nuovo essere; di ‘ibbùr, letteralmente gravidanza e impregnazione, per indicare la presenza temporanea di un’anima in un altro individuo; potrebbe essere di ogni tipo, buona o cattiva, e di solito, se non espressamente indicato, si tratta di una presenza espressamente indicato, si tratta di una presenza benefica, giustificata dalla necessità di compiere alcune azioni particolarmente importanti. Se invece l’ospite è lo spirito di un malvagio, e induce la persona che lo accoglie a comportamenti irregolari e negativi, si parla di ‘ibbùr maligno, o più specificamente di dibbùq, forma abbreviata dell’espressione dibbùq me–ruach ra’àh, «attacco di uno spirito maligno»; dibbùq, è letteralmente l’atto di attaccarsi, l’adesione; successivamente si intende per dibbùq lo spirito stesso che si è attaccato. Nella accezione più larga, e soprattutto nelle fasi più antiche di questa concezione l’uomo può essere aggredito non soltanto dall’anima di un defunto, ma anche da un’entità demoniaca.
La tradizione ammette che sia possibile liberare il posseduto dalla fastidiosa presenza, e ha indicato in prescrizioni e narrazioni dettagliate le modalità per eseguire gli esorcismi. L’inquadramento organico del problema fu completo solo a partire dalla seconda metà del XVI secolo, sotto l’influsso della nuova mistica lurianica. Da questo momento il fenomeno della possessione si estese a macchia d’olio nel mondo ebraico e nacque un’ampia letteratura di episodi di possessione ed esorcismi; anche l’interpretazione del fenomeno subì profonde trasformazioni; in precedenza il problema non era ignorato, ma non costituiva una presenza così rilevante.
Nel mondo chassidico e in generale nei gruppi ebraici più sensibili agli influssi mistici, casi di dibbùq sono continuati ad esistere nel secolo scorso, e nei primi decenni di questo secolo (mentre il successo del Dibbuk, un’opera teatrale di Anski, contribuiva a diffondere la conoscenza di queste idee); seppure molto più rari, alcuni continuano anche fino ad oggi. Il progressivo calo è dovuto a diversi fattori sociali e culturali, come il mutamento di cultura indotto dal trasferimento in massa in paesi occidentali, la pressione culturale dell’illuminismo ebraico e l’impatto, anche nei settori più ortodossi, del progresso delle conoscenze mediche e psichiatriche.
Golem
Il termine golem compare per la prima volta nella Bibbia, al verso 16 del Salmo 138, dove indica soltanto una massa senza forma. Da allora passarono molti secoli, e furono necessarie molte elaborazioni dottrinali e mitiche per arrivare al significato attuale e più comune del termine, che è quello di una creatura creata artificialmente per mezzo di atti magici.
L’idea che sta alla base di questo complicato sviluppo storico è quella della creazione dell’uomo dalla terra. Adamo, secondo il racconto biblico, e come il nome stesso in ebraico suggerisce (ma si pensi anche al latino homo–humus), fu creato dalla terra. I rabbini spiegarono poi che all’inizio della sua creazione Adamo era appunto un golem, una massa informe, a cui venne data forma e quindi uno spirito vitale da Dio.
Negli ambienti mistici dell’ebraismo, fin dal II-III secolo dell’era volgare, si pose il problema della possibilità dell’uomo di imitare la peculiare capacità divina di dar vita alla materia informa: la risposta fu che uomini eccezionali potevano riuscirci. Di qui lo sviluppo di una lunga tradizione mistica, particolarmente sviluppata nella Germania del XII e XIII secolo; qui si compivano dei riti estatici intorno a un mucchio informe di terra, pronunciando parole e combinazioni segrete, ma a quanto pare al solo scopo di imitare l’esperienza mistica della creazione.
Queste pratiche però divennero contemporaneamente oggetto di mitizzazioni popolari, per cui si immaginò di maestri che davano vita a dei golem, e se ne servivano, almeno a tempo determinato, o almeno finché queste creature – che ormai vive continuavano a crescere – non diventavano pericolose. Bastava allora togliere dalla fronte del golem la prima lettera della scritta emèt (verità), perché questi divenisse met, morto. La leggenda più nota si riferisce a Rabbi Loew di Praga, della seconda metà del XVI secolo, ma non ha alcun fondamento storico.
Dalla leggenda popolare si passò alla letteratura, dove il motivo ebbe, specialmente in questo secolo, straordinario sviluppo. Anche perché il motivo della massa informe che acquistava vita si prestava a varie e differenti interpretazioni simboliche: dalla sofferenza del popolo ebraico in attesa di redenzione, fino alla lotta per la liberazione della classe operaia.
Lilith
Strana carriera quella di Lilith, un demone femminile, da persecutrice di partorienti in Babilonia, a simbolo di alcuni movimenti femministi attuali. La tradizione ebraica parla di Lilith per secoli, ma il tema non è ebraico in origine, e nel corso della storia è stato condiviso e ritrasmesso in varie direzioni con diverse culture circostanti. La Bibbia parla di Lilith una sola volta, in Isaia 34:14, insieme ad animali feroci e spiriti devastanti. È una citazione che attinge a una tradizione mitologica diffusa nell’area del vicino oriente, e che probabilmente risale già ai sumeri. Se questa è l’origine, non c’è rapporto del nome con l’ebraico laila, notte. La letteratura talmudica e midrashica parla spesso di Lilith, dando frammenti mitologici differenti; secondo un filone più consistente Lilith sarebbe stata moglie di Adamo; la notizia si articola in vario modo; secondo una fonte fu moglie di Adamo per 130 anni, quando questi si separò da Eva, e quindi madre di demoni che riempirono il mondo; in un’altra fonte Lilith fu invece la prima moglie di Adamo, che fu creata insieme a lui e pretese l’assoluta uguaglianza, disputando sui modi del rapporto sessuale; qui il mito si arricchisce di notizie di altra fonte, per cui Lilith diviene un’entità minacciosa per le partorienti e un rischio per i neonati. La prima parte del mito è ora recuperata come simbolo della lotta femminista per la parità; la seconda parte del mito ha avuto una storia più intensa. Probabilmente l’idea dell’attacco alla puerpera e al neonato riflette, davanti alla realtà drammatica della mortalità puerperale e neonatale, l’interpretazione magico-simbolica di una situazione di invidia e di malocchio, e la contrapposizione tra un modello di sessualità finalizzato alla procreazione e un modello puramente edonistico. Una tradizione consolidata da molti secoli, e fino a poco fa diffusa anche in Italia, ha stabilito come forma di difesa l’affissione nella stanza della puerpera e del neonato di «bollettini», quadretti con formule protettive contro Lilith; probabilmente anche la Mishmarà, la veglia di studio alla vigilia della circoncisione, ha origine dalla medesima preoccupazione.
Nella tradizione mistica i motivi originari sono stati ulteriormente elaborati e Lilith è diventata la moglie di Samael, la regina delle forze del male, l’antitesi della Shekhinà; sono state distinte diverse Lilith, ed è stata sostenuta l’identificazione con il personaggio biblico della regina di Saba.
R.D.S.