Un miracolo può convincere?
Quando, il Faraone vi parlerò dicendo: «Fate per voi un prodigio» allora dirai ad Aronne: «Prendi il tuo bastone e gettalo dinanzi al Faraone diventerà un dragone (7:9)
Queste sono le istruzioni date a Mosè prima di presentarsi per la seconda volta davanti al Faraone. La prima, il loro colloquio non era stato accompagnato da segni né da prodigi. Erano andati dal Faraone «in nome del D-o d’Israele» e gli avevano espresso la loro richiesta: «Lascia andare il Mio popolo!». Alla replica blasfema del Faraone: «Non conosco il Signore, e non lascerò andare Israele» non ebbero niente da rispondere. Il Faraone ricambiò rendendo più dura la schiavitù. A questo punto, però, si presentarono nuovamente i messi del Signore, accompagnati ora da un segno prodigioso.
Furono però avvertiti di non rendere manifesta la potenza di D-o e di non compiere i prodigi se il Faraone stesso non lo avesse richiesto. Alshikh sottolinea che D-o aveva detto:
Non siate voi a proporlo perché non si pensi che avete tramato una congiura, ma aspettate che sia il Faraone a dirvi «Fate un prodigio».
Ma Abravanel domanda:
Perché mai il Faraone avrebbe dovuto fare una simile domanda? Non aveva certo voglia né di ascoltare le loro richieste né di vedere i loro prodigi, come già aveva detto durante il primo incontro (v. 4) «Tornatevene alle vostre fatiche». Come si spiega dunque che D-o dica che il Faraone avrebbe chiesto loro un prodigio, quasi questo fosse il suo desiderio?
C’è una difficoltà ancora più seria. Ahaz, il Re di Giuda, aveva rifiutato sdegnosamente l’offerta del profeta Isaia di un segno per confermare la promessa di D-o, ecco come il Midrash motiva il rifiuto:
Isaia gli disse: «Chiedi per te un segno dal Signore tuo D-o, chiedilo o dalle profondità (cioè che faccia rivivere i morti) o lassù in alto (cioè che Elia scenda dal cielo»). Gli rispose: So che ha il potere di farlo, ma non voglio che tramite me sia santificato il Nome del Cielo, come è scritto: «Non lo chiederò e non voglio tentare il Signore». (7:11-12)
(Tanhuma Yashan, Vaieze 92)
Se la pensava così Ahaz, tanto più il Faraone!
Avrebbe forse desiderato che fosse santificato il Nome del Cielo e che il Suo potere fosse reso manifesto con segni prodigiosi davanti a tutti i saggi e i maghi?
È più ragionevole accettare l’opinione di chi afferma che il Faraone era sicuro che questi due vecchi di origine straniera non sarebbero stati capaci di compiere un segno, e che proprio per questo lui ne avrebbe richiesto uno. Pensiamo infatti a quanto successe nel periodo tra il primo e il secondo colloquio (v. 1-4): un aggravamento della schiavitù che spinse gli ispettori dei Figli d’Israele, che vedevano i loro fratelli in brutte condizioni, a correre dal Faraone a intercedere per sé e per i loro fratelli. Ma, non ottenendo nulla con le suppliche, si svolsero contro Mosè e Aronne, addossando su di loro, invece che sul Faraone, la responsabilità di tutte le loro disgrazie. Erano stati loro ad avere infastidito il Faraone, ad aver fatto precipitare il presidio del popolo e ad aver causato l’aggravarsi delle loro sofferenze. Il Faraone aveva così raggiunto il suo scopo. La maggior durezza delle persecuzioni non aveva aumentato l’odio nei suoi confronti, ma aveva acceso nelle masse la sfiducia ed anche il risentimento nei confronti dei loro capi. Quello che restava da fare era svergognare in pubblico i due leaders, mostrando la loro impotenza, questi potevano essere isolati, essere messi alla berlina non solo dai machi e dai saggi, ma anche dal loro stesso popolo. Perciò il Faraone avrebbe detto: «Fate per voi un prodigio» (e non, come avrebbe dovuto dire, per me), perché lui non aveva bisogno di prodigi. Sapeva fin dall’inizio che questi inviati non avevano alcun potere, ma disse loro: se volete farci i vostri poteri, fate un prodigio per voi e poi vedremo!
Dato che questo segno prodigioso era indirizzato al Faraone, oltre che a confermare l’autenticità della missione e degli inviati, al Faraone non fu accordato lo stesso segno che era stato dato al popolo d’Israele. A Mosè era stato affidato un segno da fare agli Israeliti:
«Gettalo al suolo!»
Lo gettò al suolo e si trasformò in un serpente.
Quello per il Faraone era:
Lo gettò dinanzi al Faraone e si trasformò in un dragone.
Questa differenza è stata notata in modo piuttosto vago dal Cassuto nel suo commento sull’Esodo.
Al posto del serpente, adatto al deserto, che era la forma in cui il segno era stato trasmesso a Mosè, ecco il dragone o coccodrillo, adattissimo all’ambiente egiziano.
Ma Cassuto non ha notato la frecciata contenuta in questo passaggio dal serpente al coccodrillo, come viene sottolineata dal Midrash:
Il Santo Benedetto disse: Questo malvagio è gonfio d’orgoglio e si fa chiamare dragone, come è scritto (Ezech. 29-3) «Il dragone sdraiato in mezzo ai suoi fiumi». Va’ a dirgli: Guarda questo bastone, è un legno secco ma si trasforma in un e si anima di uno spirito vitale, ora ingoia gli altri bastoni, ma poi tornerà a essere un legno secco. Così sei tu: ti ho creato da una goccia putrida, ti ho dato un impero e ti sei inorgoglito dicendo (ibid.): «Il mio fiume è tutto mio, me lo sono fatto io», ecco, ti trasformerò nel caos primordiale. Hai ingoiato i bastoni delle tribù d’Israele, ma ti toglierò dalla bocca tutto ciò che hai inghiottito.
Fu fatto ciò che D-o aveva ordinato:
Mosè e Aronne andarono dal Faraone e fecero così come D-o aveva ordinato.
Aronne gettò il bastone dinanzi al Faraone e alla sua corte e si trasformò in un dragone.
Come succede spesso, la Torà evita ripetizioni faticose se queste non sono necessarie. La replica di Faraone: «Fate per voi un prodigio» è omessa e tutto l’episodio è condensato in un unico versetto. I Maestri commentano:
«Fecero così come aveva ordinato» – cioè non fecero niente finché ili Faraone non richiese loro un prodigio, come aveva detto il Santo Benedetto. Solo in quel momento «Aronne gettò il suo bastone».
Nell’Or-Hahaim questa stessa cosa è dedotta da una ripetizione non necessaria:
La ripetizione «così» e «come il Signore aveva ordinato» (bastava una sola delle due) prova due cose: a) che fecero esattamente quello che era stato loro ordinato, b) che non lo fecero finché il Faraone non lo richiese – come D–o aveva prescritto.
Ciononostante, notiamo che il prodigio, come pure il suo significato simbolico del rovesciamento dell’Egitto, non fecero effetto sul Faraone. Perché? Il Midrash dà una risposta che spiega come il Faraone eviti la logica del prodigio e si crei una visione razionalista di comodo tale da dissipare la paura e qualsiasi effetto del segno:
«E il Faraone chiamò i saggi e i maghi». A quel punto il Faraone prese a deriderli e a chiocciare come una gallina dicendo: questi sono i segni del vostro D-o?/ In genere i mercanti portano la merce dove ce n’è bisogno, si porta forse il pesce ad Acco? (1) non sapete che in fatto di magia sono un campione?! Mandò subito a chiamare dei bambini dalla scuola e anche loro fecero lo stesso. Poi chiamò la moglie e lo fece anche lei. Johai e Mamre (due maghi) dissero: Vuoi portare la paglia ad Afaraim?! (1)
(Shemot Rabbà 9,4)
Questo ci fa capire che un segno prodigioso può far colpo solo su chi è psicologicamente pronto a essere convinto. Perfino Elia, che nel suo zelo per il Signore ricorse al miracolo come mezzo di persuasione, capì quanto effimero fu il suo effetto. Forse che il Faraone non sapeva di come tutte le magie dell’Egitto fossero fondate sull’illusione? Solo nel seguito del racconto vedremo cosa riuscirà a colpire l’ostinazione del Faraone…
(tratto da Nehama Leibowitz, Studies in Shemot, WZO, Jerusalem, 1981. Traduzione dall’inglese di Jacopo Treves).
(1) Per corrispondenti italiani del modo di dire cfr. Ariosto: «portar vasi a Samo, nottole a Atene e coccodrilli a Egitto».