Il cammino mistico è denso di rischi
È un dato di fatto che la tradizione mistica ebraica ha sempre avuto con la magia un rapporto molto stretto. Ma attenzione: riconoscere l’esistenza di questo rapporto non vuole dire però che mistica ebraica e magia siano la stessa cosa, o cose molto simili e che la magia sia la conseguenza naturale di un certo modo di avvicinarsi alla mistica. Tutt’altro, il rapporto c’è stato, ma sempre molto complesso e dinamico: difficile da capire, probabilmente, e per questo inevitabilmente equivoco. Ma non bisogna cadere nel facile errore di dare credito a un pregiudizio corrente,che identifica il cabalista con l’arcano operatore di pratiche occulte, che tenta di dominare la realtà con le sue forze. Sono concetti troppo schematici che abbiamo ereditato da diverse fonti: da una credenza «popolare» ebraica, nata in tempi in cui la mistica era patrimonio di pochi dotti, e che già in vita di questi dotti li circondava di un alone leggendario; dalla proiezione riflessa di queste credenze in ambito non ebraico, che ha accentuato e ulteriormente semplificato i termini, sia a livello popolare (si pensi a che cosa si intende per «cabala» nell’italiano comune di oggi), che a livello erudito, per le deformazioni a cui la dottrina mistica è stata sottoposta da parte dei suoi cultori cristiani dal rinascimento in avanti; e infine non si può non pensare alla propaganda denigratoria di cui la mistica è stata oggetto da parte dei razionalisti ebrei degli ultimi due secoli, e che ha forzatamente messo in evidenza gli aspetti più «negativi» e «deteriori» di un’ideologia così complessa.
Cerchiamo di capire allora quali sono i termini essenziali con cui si pone il problema e le ragioni del grave equivoco.
Alle origini sta l’ammissione dell’esistenza di una forma di potenza superiore il cui controllo sfugge all’uomo normale, ma che in qualche modo può essere conosciuta e sfruttata.
È un dato comune alle varie forme di mistica ebraica, fin dalle più lontane origini, la coscienza del fatto che l’uomo che si impegna nel cammino mistico si trova a percorrere una strada che lo porta in una dimensione conoscitiva più ampia, in cui apprende i segreti della creazione e matura il suo essere e le sue qualità intellettive. Non tutti, evidentemente, sono in grado di affrontare questo itinerario e di raggiungere il grado di conoscenza e di maturazione che esso si propone. Ma chi effettivamente riesce a superare la difficile disciplina e a salire questi gradini si trova nella coscienza di essere in una condizione di superiorità, con in mano le chiavi di una potenza nascosta agli altri uomini. Questa potenza è un corollario dell’ascesi, un attributo aggiunto e raggiunto necessariamente, ma non ricercato né da ricercare, per non stravolgere tutto il senso del cammino di conoscenza mistica: un cammino che deve essere finalizzato alla conoscenza, e non banalizzato dal desiderio di potenza materiale. Il cammino mistico è denso di rischi: e tra questi risaltano la preoccupazione di intraprenderlo per secondi fini, alla ricerca deviante di una potenza materiale; e per chi l’ha percorso fino in fondo e ha in mano le chiavi, la seduzione dell’uso della potenza. Per questo fin dalle origini e per molti secoli le porte della mistica sono state aperte a pochissimi eletti; e sono stati in molti i mistici che hanno ammonito a non riversare mai all’esterno della propria interiorità la carica di potenza raggiunta nell’esperienza estatica, pena la profanazione, la dissacrazione, la banalizzazione.
La storia del mito del Golem contiene proprio questi elementi: nei circoli del chassidismo tedesco medioevale rappresentava una pratica mistica con la quale recitando una combinazione di lettere e di nomi si arrivava a ripercorrere idealmente la strada della creazione mediante la parola, e a conoscerne i segreti; ma una volta raggiunto il culmine, le stesse combinazioni venivano recitate alla rovescia, per tornare in una condizione di normalità. L’esperienza si chiudeva in se stessa, non doveva proiettarsi nella materialità. Nella teorizzazione del chassidismo tedesco, il chassid rappresenta l’opposto del mago; quest’ultimo si vanta del suo potere, mentre il primo è docile e «può ottenere tutto ciò che vuole, perché non vuole nulla per se stesso» (Scholem, Le grandi correnti, p. 144).
Ma una cosa sono le idee e i principi, un’altra la realtà. È evidente che se si ammette la possibilità di raggiungere e controllare una potenza superiore, si rischia, come è effettivamente avvenuto, di fornire giustificazioni ideologiche e mezzi pratici per realizzare questo progetto. Mistica e magia camminano allora di pari passo, e solo grandi personalità con forte carica morale riescono a tenere ben distinti i due ambiti quando rischiano di confondersi: altrimenti avvengono le commistioni, in tutti i gradi di gravità. I maggiori mistici della storia esercitarono sempre un rigoroso autocontrollo sulle proprie facoltà, cercando di evitare le pratiche sospettabili come magiche, o di limitarne l’uso, e soprattutto la trasmissione a gruppi allargati; ma dovettero lottare contro una pressante richiesta popolare di interventi, misurarsi con una tradizione narrativa rigogliosa che spesso già mentre erano ancora in vita attribuiva loro interventi miracolosi.
Da molti secoli si usa distinguere tecnicamente tra due tipi di Qabbalàh, una detta ijunìt, teorica o speculativa, e l’altra ma’asìt, pratica. Quest’ultimo termine è stato variamente inteso, in passato anche per distinguere alcuni sistemi dottrinali da altri; a rigore indica l’evocazione dei nomi sacri, che rappresenta il modo più comune con il quale il cabbalista cerca di esprimere la sua forza; nell’accezione più diffusa la qabbalàh pratica è passata ad indicare tutta una serie di attività ed operazioni magiche che poco o nulla hanno a che fare con la grande costruzione teologica della mistica ebraica, e nelle quali si assiste al «massiccio crollo di valori filosofici» (Di Nola, Cabbala, p. 175.
In sostanza si tratta di una magia «bianca» che si serve di mezzi leciti e si propone scopi leciti: e quando si parla di liceità è tutto molto relativo, perché le avvertenze di limitarne l’uso a persone selezionate, a scopi interiori o tutt’alpiù a condizioni di grave emergenza, risultano nella pratica di secoli costantemente disattese. A parte questo esiste anche, per quanto soggetto a un severo giudizio dalla maggior parte degli autori, il rischio dello scivolamento nelle pratiche di magia «nera», quella che si propone di fare del male ed evoca forze demoniache. Alcuni aspetti della magia nera, ma soprattutto elementi di magia per interesse e potenza personale della più disparata origine sono entrati a far parte della pratica e della letteratura genericamente definibile come cabalistica, contribuendo ad alimentare, soprattutto nel mondo non ebraico, l’equivoca identificazione della qabbalàh con la a magia. I teorici della qabbalàh hanno comunque preso le distanze da tutti questi comportamenti, e hanno anzi elaborato complesse dottrine per spiegarne la natura: è notevole che non si nega la realtà neppure a questi fenomeni di magia nera, che vengono tuttavia relegati a una realtà negativa, impura e maledetta, contrapposta e speculare a quella pura dell’albero sefirotico divino. Prototipo di uomo potente nel negativo è il mago biblico Bil’am, la cui potenza non viene negata, ma giustificata dall’assunzione della massima impurità, dopo un iter di degenerazione ricercato con cura, in contrapposizione simbolica della strada verso la purificazione e la ascesi mistica; entrambe le strade conducono alla potenza, ma è evidente la necessità di una scelta morale in un senso o nell’altro opposto.
R.D.S.