I miracoli nel pensiero dei maestri
Il concetto di onnipotenza divina esclude la possibilità che esista una forza magica in grado di influenzare le leggi naturali e le decisioni.di D-o. Questa idea era chiara per i nostri maestri. Un problema analogo si erano posti i greci, riguardo ai rapporti fra il destino e gli dei: se il destino ha una forza individuale, sulla quale gli dei nulla possono – che valore hanno gli dei? Se al, contrario, gli dei determinano il destino – che potere ha il destino come forza autonoma? Rabbì Nathan, uno dei maestri della Mishnà (II sec. e. V.) diceva: «Se anche si radunassero tutti i maghi del mondo, e cercassero di scambiare la notte con il giorno, non ci riuscirebbero» (Tanchumà, Korach 6).
L’opposizione alla magia segue la stessa linea indicata dalla Torà. Rabbì Shimon Ben Eleazar diceva: «Immoralità e magia hanno distrutto ogni cosa» (Mishnà, Sotà 9:13). E nella toseftà si afferma: «Da quando si moltiplicarono coloro che fanno uso di sortilegi per proteggersi contro il giudizio di D-o, venne al mondo l’ira divina, e la presenza di D-o si allontanò da Israele» (Sotà 14-3). Sul versetto del Deuteronomio (4:35): «Non c’è alcuno al di fuori di Lui», disse Rabbì Chaninà: «Persino, riguardo ad atti di magia», e Rashì spiega: «Negli atti di magia non c’è alcun potere di fronte alle Sue decisioni, perché non c’è potere all’infuori di Lui» (Talmud bab., Sanhedrin 67b).
D’altra parte, non era questa l’opinione comune in larghi strati del popolo. La magia era assai diffusa in tutto il mondo antico, in particolare in oriente, e c’era la tendenza a confondere la potenza che si manifestava negli atti di magia con la potenza divina. C’è tuttavia, riguardo al concetto di potenza, una chiara distinzione fra il filone profetico-biblico-ebraico e il filone magico-mistico del mondo ellenistico. La forza di D-o si manifesta, secondo la Bibbia, nella creazione del mondo, e nella conduzione storica del Suo popolo. La potenza, anche quando si manifesta, è sempre la forza di un D-o invisibile e incorporeo. Nel mondo ellenistico, invece, la potenza si rivela negli uomini e nelle cose, è una forza visibile e tangibile. Gli atti magici sono fenomeni legati all’essenza dell’idolatria. L’idolatria, nelle sue varie forme, crede nell’esistenza di sorgenti di forze al di fuori degli dei, poiché non riconosce un D-o che si pone al di sopra dell’esistenza, domina su tutto e la cui volontà è assoluta. La magia deriva dall’aspirazione a servirsi di queste forze esterne, e l’idolatria di fatto unisce l’uomo al dio nel bisogno dell’atto magico.
Il rito della vacca rossa
Quanto fosse accettata nel mondo antico l’esistenza della magia come qualcosa di scontato, si può apprendere dall’interessante racconto su Rabban Jochannan Ben Zaccai, riguardo alla «vacca rossa» (vedi Numeri 29): Un pagano domandò a Rabban Jochannan: «Queste cose che voi fate sembrano atti di magia! Prendete una vacca, la macellate, la bruciate, la riducete in polvere, poi ne prendete la cenere, e a quello di voi, che si sia reso impuro per aver toccato un morto, spruzzate addosso due o tre gocce di acqua con la cenere della vacca e gli dite: ora sei puro». Gli chiese allora R. Jochanna: «Non hai mai visto nessuno che fosse colto da un’improvvisa pazzia? E che gli fate in questi casi? Il pagano rispose: «Si prendono radici aromatiche, si bruciano e si fa salire il fumo sotto di lui, poi si versa dell’acqua e lo spirito della pazzia fugge via». Disse R. Jochannan: «E le tue orecchie non sentono ciò che la tua bocca dice? Nel nostro caso è lo spirito dell’impurità che fugge via!» Dopo che il pagano se ne andò, i discepoli chiesero al rabbino: «Maestro, lui lo hai mandato via con poco, ma a noi cosa rispondi?». Disse loro: «Per la vostra vita, vi assicuro che il morto non rende impuri, né l’acqua purifica; questa non è altro che una legge del Santo Benedetto, che così ha detto: una legge ho stabilito, e un decreto ho emanato, e a te non è lecito trasgredirli» (Pesiktà de-Rav Kahane, Parà; Bemidbar Rabbà 8).
Questo è un racconto stupendo. Il pagano vuole mostrare che anche nella Torà vi sono atti magici, come nel mondo circostante. Ma l’esorcismo, ossia lo scacciare uno spirito maligno che si sia impossessato di una persona, è per lui un dato di fatto da non mettere in dubbio. Quando R. Jochannan gli spiega che l’aspersione delle ceneri della vacca è simile a un esorcismo, il pagano se ne va soddisfatto della spiegazione. Ma ai suoi discepoli R. Jochannan rivela la sua vera idea, e afferma che il rito dell’aspersione delle ceneri della vacca non ha alcun significato al di là di quello di essere, appunto, un rito. Il morto rende impuri perché così è stabilito dalla normativa giuridica, ma questa impurità non ha alcun potere in quanto tale, né l’acqua che purifica ha poteri magici: è una mitzvà, è in virtù della mitzvà il morto rende impuri e l’acqua purifica.
C’è qui una totale sublimazione ed eliminazione dell’aspetto mitico dal rito della vacca rossa, e questo è solo un esempio di una legge che «non si è autorizzati a trasgredire».
Chi è mago?
Nella Mishnà il mago è così definito: «È mago, e quindi colpevole, colui che compie un’azione concretamente, non lo è l’illusionista, che fa solo finta di compierla» (Mishnà, Sanhedrin 7:11). La condizione per essere colpevoli è che si creda alla realtà dell’azione magica compiuta; chi crea soltanto l’illusione ottica, dimostra con ciò di non dare importanza alla cosa, e quindi non è colpevole (tale comportamento è, però, comunque vietato, come afferma il Maimonide nel Commento alla Mishnà e nel Mishnè Torà, Avodà zarà 11:15).
La diffusione della magia
Nonostante gli sforzi dei maestri del Talmud tesi ad ostacolare la penetrazione delle pratiche magiche,queste erano tuttavia diffuse in larghi strati del popolo, in particolare fr ale donne (Mishnà, Sanhedrin 6:4; Talmud bab., Berachoth 53a; Eruvin 64b e altrove). Vi sono testimonianze di pratiche magiche non solo fra le donne e gli uomini semplici, ma anche fra i sapienti, sia in Terra d’Israele che, ancor più , in Babilonia.
Un altro fatto che contribuì alla diffusione della magia era la mancanza di una distinzione precisa fra magia e scienza, in particolare per quanto riguarda la medicina. Così, molti atti, vietati in linea di principio perché in uso fr ai pagani, erano permessi se avevano poteri terapeutici. I maestri stessi usavano talvolta cure mediche di chiara connotazione magica.
In altre occasioni, usi assai diffusi nel popolo non venivano sradicati del tutto, ma si tendeva a dare loro un carattere religioso, più consono allo spirito ebraico, per quanto fosse chiaro che l’origine dell’uso era di tipo magico.
È detto nel Talmud: «Un albero i cui frutti cadano anzitempo, viene tinto di rosso e ricoperto di pietre. E ci si chiede: comprendiamo che l’albero vada ricoperto di pietre, affinché la malattia sia sconfitta, ma il tingerlo di rosso è forse una medicina? E si risponde: ciò si fa affinché la gente lo veda e invochi la misericordia del Signore» (Talmud bab., Shabbath 67a). È ovvio che il motivo originale della tintura dell’albero risiedeva nella credenza popolare nelle qualità magiche del colore rosso. Questo è un tipico esempio in cui gli aspetti magici di un uso vengono non eliminati, bensì trasformati in significati morali-religiosi.
Miracoli e magia
Un altro problema che si pone è la distinzione fra atti magici e miracoli.
La religione d’Israele, come tutte le religioni, prevede la possibilità di operare miracoli. Ma come distinguere fra i miracoli, che modificando l’ordine della natura mostrano la assoluta di D-o, e gli atti di magia, anch’essi apparentemente miracolosi?
La preghiera del profeta Elia sul monte Carmelo (1° Re 18^:37): Rispondimi, o Signore, rispondimi!» viene interpretata nel Talmud così: «Rispondimi facendo scendere il fuoco dal cielo, e rispondimi affinché non dicano che questo è un atto di magia» (Berachoth 6b).
Già nella Bibbia i miracoli vengono posti vicino ad atti di magia. Apparentemente sono simili, ma c’è una differenza chiara e fondamentale. In contrasto alle magie degli stregoni egiziani, i miracoli che Moshè compie derivano direttamente da D-o e dalla Sua volontà. È D-o che fa sì che il miracolo avvenga. Il criterio supremo per distinguere il miracolo dall’atto magico è uno solo: è miracolo quell’atto che viene dalla volontà di D-o.
I maestri del Talmud e del Midrash seguirono lo spirito della Torà anche riguardo a ciò. La gente semplice era interessata ovviamente solo al risultato di una data azione, senza chiedersi quale ne fosse la causa. I maestri,invece, volevano soprattutto sottolineare l’origine divina del miracolo.
il loro rapporto con i miracoli, senza i quali una religione non sarebbe concepibile, era pertanto ambivalente. Ciò è dimostrato in particolare nel noto racconto su Chonì.
Chonì, il tracciatore di circoli
Una volta a Chonì, il tracciatore di circoli, fu chiesto di pregare per la pioggia, ma la pioggia non discendeva. Tracciò allora un circolo per terra, vi si pose all’interno ed esclamò: «Signore dell’Universo! Giuro per il Tuo grande Nome che non mi muoverò di qui fino a che non avrai pietà dei Tuoi figli». La pioggia cominciò allora a cadere… Il maestro Shimon ben Shetach, però non apprezzò il comportamento di Chonì e gli mandò a dire: «Se non fossi stato tu, Chonì, a fare questa cosa, ti avrei scomunicato» (Mishnà, Taanith 3:8).
Non si può non vedere in queste parole di Shimon ben Shetach la manifestazione del dubbio che forse l’espressione pronunciata da Chonì («Io giuro per il Tuo Nome…»), gli atti che compì (il tracciare il circolo…) potessero essere travisati e interpretati in un modo non corrispondente al genuino spirito ebraico.
E.E. Urbach
(trad. e adatt. dall’ebraico da Chazal, Pirké emunoth ve–deoth, Gerusalemme, ed. Magnes, pp. 82-87)