Solo in Eretz Israel
Concetti come «Israele», «Gerusalemme», «galut» (esilio, «geulà» (redenzione) possono essere intesi nella cultura Ebraica teologicamente o nazionalmente. Nei periodi più antichi della storia, gli Ebrei erano familiari con ambedue le categorie di significato, ma è dubbio che la teologia occupi un posto rilevante nella coscienza della maggior parte degli ebrei d’oggi. D’altra parte, la componente nazionale nell’Ebraismo, – gli Ebrei come un popolo e Eretz Israel come la loro patria storica – continua a permeare la psiche ebraica. Storicamente, nessuna scuola di pensiero ebraico classico ha ignorato il suo significato; perfino i movimenti messianici nell’Ebraismo, e gli avvertimenti Ortodossi a «non forzare la mano della redenzione», si riferiscono alla restaurazione «nazionale» del nostro popolo in Eretz Israel. Oggi, la maggior parte dei Sionisti religiosi, così come gli altri, considerano il proprio arrivo nello Stato d’Israele, come un passo pratico nel processo di redenzione nazionale.
Perché questa soluzione – lasciare l’esilio e tornare in Eretz Israel – fu così necessaria e inerente all’autentico pensiero ebraico? La ragione sta nel disegno originale del Patto della nazionalità ebraica: nel Sinai accettammo di diventare una nazione allo scopo di costituire una società nazionale molto speciale sulla terra (am segullà); un popolo dedicato alla pratica ed alla promozione della santità tra i suoi membri (goi kadosh) e, nella più recente lingua di Isaia (42:6), un modello illuminato, sensibile, collettivo, per l’umanità. Tale era il proposito distintivo teologico del Patto. Era nazionale in natura, non individuale – proprio come l’antisemitismo, in contrasto, è diretto verso gli Ebrei come popolo; non verso individui singoli.
Nessun altro popolo nella storia pattuì di essere un’entità sociale unica come condizione del suo divenire nazione. Santità divenne una qualità sociale, non una caratteristica personale. Dio Stesso, l’epitame della santità, dimostra tra il collettivo (Esodo 25:8); sebbene, naturalmente, ci si attenda che gli individui Ebrei riflettano aspetti della sua santità attraverso la pratica delle mizvot. Comunque, la caratteristica distintiva della santità ebraica è la vita sociale collettiva del popolo – la kehillà Kedoshà o santa Comunità – non la devozione eccezionale di singoli Ebrei.
Fin dall’inizio di quest’impegno collettivo a divenire una società esemplar,e era chiaro che un’entità tale – nella lingua di Yehuda Halevi, «un genere di pianta molto speciale» – potesse essere nutrita solo nell’ambiente specifico e nelle condizioni politiche di un luogo molto particolare.
Specie selettive non possono essere allevate dovunque. Così, il focus, in Eretz Israel, con tutti gli aspetti della cultura ebraica: religione, storia, coscienza ecc. influenzati dalla Terra. Dalle sue prime origini e attraverso la sua lunga storia, il popolo d’Israele realizzò che il suo autentico destino collettivo poteva essere meglio espresso in e attraverso la Terra d’Israele – l’unica Terra Santa universalmente riconosciuta nella storia mondiale.
Qui, la prima, basilare personalità nazional-religiosa del nostro popolo, fu forgiata; ed è l’arena di Eretz Israel che può permettere al collettivo nazionale ebraico di realizzare gli obblighi che derivano dal Patto.
Se, davvero, il Patto del Sinai fu un impegno nazionale per tutte le generazioni di Ebrei (Deuteronomio 29:13-14), e non un accordo volontario da parte di singoli Ebrei (che può essere rotto secondo volontà), è difficile capire come possa essere pienamente realizzato, specialmente nei tempi moderni, al di fuori di una struttura ebraica sovrana. Per gli Ebrei moderni, né si collega ad attività ad hoc di gruppi di Ebrei; la maggioranza degli Ebrei contemporanei applica il termine allo Stato d’Israele. Comunque, il termine am Israel (Popolo d’Israele) trascende quegli Ebrei che vivono nello Stato ebraico, e si riferisce a tutti gli Ebrei che sono pronti a riconoscere il loro impegno al proposito teologico del Patto che ci ha fatto un popolo. Mentre le condizioni moderne della galut nell’Occidente liberale permettono agli individui o ai gruppi volontari di impegnarsi liberamente in religiosità personale, lo studio della Torà, la dottrina ebraica, e le attività volontarie comuni etnico-religiose ad hoc, l’ambiente della liberalità occidentale e tali attività ebraiche non hanno dato alcun contributo giorno per giorno per anticipare la meta del Patto di un’am segula o per diventare un modello collettivo per l’umanità. È dubbio se qualche persona etichetterebbe come santo lo stile di vita dell’ebreo americano o francese, qualunque sia il modo in cui egli è impegnato.
Per contro, uno non può ignorare la realtà che, nel corso della storia sionista, la società nazionale ebraica in Eretz Israel ha chiaramente dimostrato un tentativo collettivo di diventare un am segula: idealismo societario, giustizia sociale, purezza delle armi, lavoro su se stessi, responsabilità reciproca – per non parlare della restaurazione di un genuino senso di nazionalità di un popolo afflitto. È difficile trovare un singolo popolo nella storia che sia sopravvissuto per un lungo periodo di tempo senza praticare un modello quotidiano di cultura specifica, specialmente nelle sue case – parlando la sua lingua, leggendo la sua letteratura, insegnando le sue leggende ai giovani, identificandosi con i suoi eroi nazionali, ascoltando la sua musica, praticando la sua legge ed il suo folclore ecc. La maggior parte degli Ebrei in galut sono molto lontani di questo modello di cultura familiare e, ad eccezione degli ortodossi praticanti o delle famiglie molto religiose non-ortodosse, essi corrono un chiaro pericolo di assimilarsi in poche generazioni nell’attraente cultura occidentale che assorbe tutti.
Si deve comunque fare una differenza tra negar la galut e negare il popolo Ebraico nella galut. Nessun pensatore responsabile osa perorare l’abbandono dei nostri fratelli nella galut; la confusione nelle fila sioniste riguarda il modo in cui mettersi in relazione con loro. Il nostro uso di slogans e clichè ha preso il posto della chiarezza ideologica, dei propositi educativi e dell’esempio personale.
Ma non siamo noi in dovere verso i nostri fratelli in galut di aiutarli a creare un’ideologia di propositi ebraici e di impegni – non solo gioire della loro appartenenza al gruppo ebraico – finché loro continuano a risiedere nella Diaspora?
Anch’essi, accettarono il Patto dei Sinai; ma apparentemente, a causa dell’euforia civica e del successo materiale, essi hanno mancato di distinguere tra realtà sociologica e teologia ideologica. Non dovremmo impegnarli in un dialogo pensieroso, rispettoso e sensibile – per aiutarli a realizzare che per gli Ebrei del Patto, la galut è la galut in ogni luogo, ed aiutarli a raggiungere le loro proprie conclusioni morali e logicamente inevitabili rispetto al futuro ebraico?
Garantito, non ci si può aspettare che tutti facciano la loro scelta libera per essere in prima linea nella realizzazione del Patto, ma ogni Ebreo storico, in qualunque luogo risieda, può deliberatamente preparare se stesso e la sua famiglia – per usare un’espressione di Hachad Haam, hakhsharat halevavot – per la sua meta eccitante e densa di sfide.
Partecipare attivamente nel forgiare un’am segula – nonostante le frustrazioni inerenti a questo difficile compito – è probabilmente il ruolo più eccitante e soddisfacente in cui gli Ebrei moderni possono impegnarsi.
Herzel Fishman
L’autore dell’articolo è membro dell’Organizzazione Sionista Mondiale ed ha collaborato con il DAC nello sviluppo del Progetto Famiglia Ebraica.