Dov’è il vero Israel
Ovunque pulsa il cuore ebraico
La parola «Israel» attraverso la storia del popolo ebraico, dagli inizi della letteratura ebraica al 1948, è sempre stata riferita al popolo d’Israele, non alla terra, tanto meno allo Stato. I salmisti cantavano: «Il custode di Israele fatto di donne, uomini, e bambini, non l’Israele fatto di colline e pianure.
Così pure, quando i Rabbini dell’antichità crearono il siddur, il libro di preghiera, essi parlarono della santificazione d’Israele da parte di Dio, riferendosi ancora al gruppo sociale. Così quando la gente parla d’Israele e intende lo Stato ebraico, viola le leggi del discorso ebraico, viola le leggi del discorso ebraico, in qualunque lingua. Identificare con la parola «Israele» solo parte del popolo ebraico, solo quella parte che vive in un luogo, è dare un giudizio che – nel contesto dei libri sacri d’Israele, cioè del popolo ebraico – costituisce eresia.
Eresia è una parola esagerata? No, niente affatto, – finché non la si prende molto seriamente. Perché il dibattito su chi è Israele, oggi si estende al dove è Israele? E quel dibattito è classico e profondamente teologico. Quando gli Ebrei hanno voluto discutere sulle questioni più importanti della loro vita, essi li hanno concepiti nei termini di chi è un buon ebreo, o un legittimo ebreo, o chi ha cessato di «essere Ebreo».
Il dibattito odierno sull’esistenza ebraica dovrebbe puntare su dove è Israele quanto su chi è Israele, Israele è nel solo Stato d’Israele? Sono meno Ebrei coloro che costruiscono la propria esistenza in America e pongono in primo piano la loro lealtà nei confronti del paese in cui vivono, di quelli che vivono nello Stato ebraico e si chiamano, giustamente, Israeliani? E se affermiamo, come quasi noi tutti facciamo, che c’è una cosa come lo Stato Ebraico, non dovrebbero aspirare a viverci tutti gli Ebrei. Sono queste le questioni di tutti gli Ebrei? Sono queste le questioni che oggi formano il dibattito sul significato dell’esistenza ebraica.
Ebraismi diversi hanno preso posizione su chi è Israele. In realtà quando gli Ebrei hanno dibattuto sui quesiti fondamentali della vita, essi hanno formulato questi quesiti nei termini della nazionalità: chi è dentro e chi è fuori?
Oggi, naturalmente, poiché ha quasi quarant’anni, il governo Israeliano affronta questo tema. I partiti ortodossi vogliono che il governo identifichi come «Israele», per propositi di legge ebraica, solo quelle persone che possono essere qualificate tali secondo la Halakha cioè, secondo il loro punto di vista, persone nate da madre ebrea, o convertite all’Ebraismo sotto gli auspici dell’Ebraismo Ortodosso. La discendenza, così come è concepita dai politici Ortodossi, è autentica e legittima, perché è così che, da tempo immemorabile, il popolo ha definito la prole.
Questa definizione di sé è sempre stata importante poiché Israele, il Popolo ebraico, si è sempre visto piccolo e quasi sempre visto piccolo e quasi sempre disperso. Così, fin dai tempi dell’esodo babilonese, il popolo espresse un rapporto ossessivo da una parte con una sua propria terra, e dall’altra con una sua propria identità.
La gente ragiona per contrari, e Israele in America costituisce un’affermazione dei contrari. Quando il Primo Ministro David Ben-Gurion e i suoi colleghi designarono il nuovo Stato, formato nella Terra d’Israele da una porzione del popolo d’Israele nel 1948, essi lo chiamarono Israele. Non avevano alternativa. Ma ciò rappresentava, un giudizio. Chiamando lo Stato d’Israele semplicemente «Israele», essi fecero una decisa dichiarazione su chi e cosa è Israele.
Perché soffermarsi sulla lingua? Perché essa rivela il risultato fondamentale confrontando d’Israele Americano, cioè Ebraismo Americano, come un’espressione religiosa e la Comunità ebraica Americana come un gruppo sociale distinto.
Quando iniziò la migrazione ebraica dall’Europa Orientale, molti pensarono che questo segnasse la fine del popolo ebraico. «In America non si può essere Ebrei, o nn si dovrebbe, non si deve esserlo». Questa predizione non si avverò; gli Ebrei come gruppo distinto non scomparvero in America, né sembra che scompariranno.
Ma gli Ebrei hanno cessato di essere una nazione-religione, così com’erano nell’Europa centrale ed orientale. li ebrei in America ed in Canada non sono quello che erano nell’Europa Orientale, un gruppo con una propria lingua, i propri tratti sociali e culturali, essenzialmente una nazione tra le altre, ognuno con la sua religione e la sua lingua speciale. li Ebrei di un luogo e quelli di un altro, rimangono comunque Ebrei. Mutano gli indicatori, ma non la realtà sociale.
Passiamo adesso al «si dovrebbe».
Gli Ebrei americani dovrebbero rimanere nell’esilio in cui gli Israeliani vorrebbero mantenerli? La nostra vita è legittima, e se sì, secondo quale criterio? Alcuni asseriscono che in esilio il proprio ebraico non può sopravvivere. Gli Ebrei fuori dello Stato d’Israele non possono mantenere una vita sociale distinta o un’autentica e distinta esistenza culturale e religiosa. Questo giudizio contiene una premessa teologica o ideologica; non soltanto una proiezione puramente descrittiva di tendenze.
Nel definire legittimo ed autentico, possiamo confrontare il tema della sua definizione teologica e religiosa: gli Ebrei dovrebbero vivere in America – secondo i criteri dell’Ebraismo? Possono essi vivere un modo di vita santo – secondo i criteri della Torà? Già nel formulare la domanda, ho trasmesso parte della risposta.
Ho completamente esposto la mia premessa. Il criterio per definire e raggiungere la santità sta nel modo di vita – e non principalmente nella collocazione. È il come della nostra vita di Ebrei e non il dove.
La premessa sottintesa è che la santità è inerente al popolo.
Qual’è l’origine della santificazione d’Israele, il popolo Ebraico? Invariabilmente la santificazione deriva ed è inerente al modo di vita d’Israele, il popolo Ebraico. Nel 586 a.E.V., Israele perse la terra e ottenne le Scritture. Nel 70 E.V. Israele perse il diritto di autogovernarsi, ma contemporaneamente, produsse il primo dei due Talmud, il Talmud della Terra d’Israele. E così via attraverso il tempo, fino al presente: dovunque e qualunque fosse la perdita, Israele, il popolo, resisteva. E in quest’epoca, l’epoca in cui maggiore è stata la perdita rispetto a tutta la storia umana, Israele, il popolo, resiste.
Quindi, nelle fonti della verità ebraica, nella scrittura e nelle tradizioni orali, il focus è su Israele, il popolo, e la sua santità.
Quel che è contingente è la terra, la collocazione. Quel che non è contingente è il popolo, in particolare, la santificazione del popolo. E il modo di vita santo dura in Nord America e in Australia, come nella Terra e nello Stato d’Israele.
È vero, vi sono aspetti di vita nello Stato ebraico che non possono replicarsi in nessun altro luogo. La Terra Santa impartisce un significato speciale al modo di vivere santo del popolo ebraico. Ogni Ebreo serio nel mondo riconosce oggi che lo Shabbat ha più significato a Gerusalemme che altrove. Ma nessun Israele è più santo di un altro; né l’Israele Americano né l’Israele Israeliano.
Noi Ebrei Americani abbiamo definito per noi stessi un modo di vita che, nella nostra posizione, ci rende distinti – non migliori dei nostri vicini, ma certamente in alcuni aspetti importanti, diversi da loro.
Abbiamo trovato un modo di vita che porta avanti l’eredità d’Israele, il popolo ebraico. Abbiamo trovato dei modi, sia tradizionali che nuovi, per lo studio della Torà, culto comunitario e osservanza del calendario sacro.
Così, c’è un Israele in America, e Israele in America prospera come una comunità resistente e il sacro modo di vita d’Israele in America forma un’espressione legittima ed autentica delle tradizioni dell’Ebraismo ricevute: così, dico sì all’America, e sì all’Israele in America.
Jacob Neusner
Lo scrittore è professore di Ebraismo all’Università Brown, Rhode Island. Di J. Neusner il DAC ha pubblicato il libro «Introduzione allo studio della Mishnà».