La risposta del brigante
Un midrash visto da Giacoma Limentani ed Emanuele Luzzati
Viveva un tempo in Erez Israel un gladiatore che arrotondava le proprie entrate facendo il brigante, e che esercitava i suddetti «mestieri» con grande successo sia perché molto intelligente, sia perché dotato di una tale forza fisica, che con lui non ce la poteva nessuno. Era ebreo, si chiamava Resh Lakish e le sue prodezze e la sua vigoria lo avevano reso famoso all’interno del mondo ebraico, almeno quando Rabbi Jochanan che, capo di un’accademia talmudica, grazie alla sua bellezza e alla sua gentilezza, attirava i discepoli come il miele attira le mosche.
Ora accadde che un giorno, mentre passeggiava fra gli alberi in prossimità del fiume, Resh Lakish scorse da lontano Rabbi Jochanan che faceva il bagno. Curiosissimo di controllare da vicino se veramente era bello come la fama voleva e desideroso di sbalordirlo, si tolse gli abiti e, dal punto in cui si trovava, con un unico, poderoso balzo fu in acqua al suo fianco. Rabbi Jochanan capì subito con chi aveva a che fare, perché nessun altro sarebbe stato in grado di saltare a quel modo. Desideroso a sua volta di sbalordirlo, non batté ciglio e anzi commentò con un punto di ammirato rammarico: «Tanta forza, e non tutta per la Torà?» Resh Lakish sorrise e con altrettanto ammirato rammarico ribatté: «Tanta bellezza, e non per tutte le donne?».
La reazione di Resh Lakish non era stata certo delle più edificanti, ma Rabbi Jochanan trovò degno d’interesse il fatto che egli avesse risposto a una domanda con un’altra domanda. Prese quindi a tempestarlo con una gragnuola di interrogativi sui doveri di forza e bellezza, e ne ricevette di rimbalzo tante e tali nuove domande, che, persuaso ormai di trovarsi di fronte a una forte personalità e, quel che più conta, a una personalità capace di giudicare e soprattutto di giudicarsi, a un certo punto Rabbi Jochanan sbalordì davvero Resh Lakish dicendogli: «Se abbandonerai la vita che stai conducendo per dedicare tutta la sua forza alla Torà, io ti darò in moglie mia sorella che è molto più bella di me».
Affascinato dalla bellezza di Rabbi Jochanan, dal piacere di battersi con lui non con la spada, ma con la parola, e non per togliere e distruggere materialmente bensì per dare ed edificare spiritualmente, Resh Lakish rispose: «Sarò io a chiedere in moglie tua sorella quando l’avrò meritata. Adesso come adesso e sempre, la Torà per la Torà». Essendosi così impegnato a dedicare tutte le sue forze alla Torà, divenne tanto debole che Rabbi Jochanan dovette aiutarlo a uscire dal fiume.
Non si sa per certo, ma pare proprio che la debolezza di Resh Lakish fu simbolica, passeggera e a ogni buon conto esclusivamente fisica. Dal momento in cui decise di dedicare tutta la sua forza alla Torà, la sua mente acquistò infatti una tale potenza, che non solo egli fece suo in poco tempo il sapere dei maggiori maestri, ma proprio come nessuno ce l’aveva potuta contro la sua spada nelle arene, così nessuno ce la poté contro la sua lingua nell’Accademia Talmudica di Rabbi Jochanan. Nessuno infatti, come lui che aveva usato le armi, sapeva prospettare infallibili sistemi per purificare dopo l’uso, e nessuno, come lui che aveva fatto teshuvà, sapeva escogitare il miglior modo per indurre gli sbandati a tornare sulla retta via. Le sue proposte venivano quindi sempre accettate dopo un minimo di dibattito, e ciò non mancava di suscitare qualche gelosia. Non pochi, infatti, piccati dal suo successo repentino e messi a tacere dalla sua lingua tagliente, gli rinfacciavano il suo passato di uomo violento. A costoro Resh Lakish rispondeva senza batter ciglio: «Lì fra gladiatori e briganti ero chiamato maestro, e qui fra mansueti rabbini sono diventato maestro».
E fu un grande maestro. Lo fu e capì anche di esserlo, altrimenti non avrebbe chiesto in moglie e sposato la sorella di abbi Jochanan, che diventando così suo fratello di fronte alla Legge, prese ad amarlo sempre più. I due cognati divennero inseparabili e quando Resh Lakish morì, per lungo tempo Rabbi Jochanan non riuscì a darsi pace. Dimentico dell’accademia e dei suoi doveri di maestro, egli non faceva che piangere e sembrava aver perso ogni interesse alla vita.
Allarmati, gli altri maestri inviarono da lui Elazar Ben Pedat, uomo integerrimo, compassionevole e delicato, perché cercasse di strapparlo al dolore e ridestasse in cui un qualche interesse per lo studio e l’insegnamento. Appena lo vide, però, il dolcissimo Rabbi Jochanan divenne una furia e lo cacciò via con male parole. La sua inusitata e violentissima ira infranse la moderazione e la pacatezza di Elazar Ben Pedat, che vedendosi così ingiustamente offeso, esclamò: «Hai accolto in casa tua Resh Lakish quando era ancora un brigante. Perché adesso scacci me che non ho mai commesso una cattiva azione?» «Perché sei noioso» esplose Jochanan fra le lacrime. «Qualsiasi cosa io dica, tu l’accetti, mentre Resh Lakish ribatteva ogni mia parola con ventiquattro obiezioni e ventiquattro domande, a ognuna delle quali io potevo rispondere con ventiquattro obiezioni e ventiquattro domande, e così via…»
Se è vero che, come si dice, ogni parola dei nostri Maestri contiene un insegnamento, perfino nel poco edificante scatto di Rabbi Jochanan c’è qualcosa da imparare. Che cosa? Basta chiederlo a Resh Lakish e vedere come risponderà.
Giacoma Limentani