Un Midrash visto da Giacoma Limentani ed Emanuele Luzzati
Un anno di sabati
E quand’è che basta allungare una mano per trovare già pronto di che saziarsi e dissetarsi?
Quando spadroneggiavano in Terra Santa, ai Romani non piaceva molto che gli ebrei studiassero la propria legge e osservassero le proprie feste. Essi pensavano, non a torto, che lo studio della Torà e l’osservanza soprattutto del Sabato, impedivano agli ebrei di assimilarsi agli altri popoli. Siccome volevano che si assimilassero meglio per poterli dominare, molto spesso proibivano l’insegnamento della Torà pena la morte. Incuranti del pericolo, i nostri maestri continuarono a insegnare di nascosto, e fra essi spicca Rabbi Shimon bar Jochai, che rimase nella sua scuola insieme col figlio Eleazar, finché entrambi non furono denunciati e costretti a nascondersi per sfuggire al patibolo.
Fidando nella provvidenza divina, Shimon ed Eleazar portarono con sé solo i rotoli della Torà, e Dio li compensò della fiducia aprendo davanti a loro una grotta che la folta vegetazione della Galilea rendeva appartata e segreta. Nella grotta, cosparsa di sabbia fresca e pulitissima sulla quale stendersi era un piacere, una sorgente zampillava al solo scopo di dissetare sia i due fuggiaschi che un carrubo piccolo, ma forte abbastanza da poterli saziare entrambi con i suoi frutti. Padre e figlio vi entrarono, si tolsero gli abiti e li appesero a un ramo del carrubo, in modo da poterli trovare sempre freschi e puliti ogni Sabato, quando li avrebbero indossati in segno di festa. Si infilarono quindi nella sabbia per coprire le proprie nudità, presero i rotoli della Legge e si accinsero a trascorrere i giorni in cui avrebbero dovuto restare nascosti, studiando, discutendo e meditando.
Ma in quale giorno dell’anno si è liberi di studiare, discutere e meditare solamente? Nei Sabati è ovvio. E quand’è, sempre nel corso dell’anno, che basta allungare una mano per trovare già pronto di che saziarsi e dissetarsi? Ancora di Sabato, naturalmente. E cosa fa un vero ebreo quando al Sabato si trova finalmente libero dalle fatiche cui deve sottostare negli altri giorni della settimana, per procacciarsi di che vivere? Studia, discute e medita. Esso eleva così la propria anima verso il Creatore, e prepara i felici giorni del mondo a venire, quando ogni fatica diventerà superflua, perché l’intera terra sarà un immenso paradiso e ogni creatura, in pace con se stessa e con gli altri, potrà dedicarsi esclusivamente alla contemplazione dell’Eterno.
Ciò è appunto quel che Shimon ed Eleazar fecero giorno dopo giorno per un intero anno, in quella grotta in cui avevano a portata di mano tutto quel che occorreva loro per sostenersi. Di Sabato si scuotevano la sabbia di dosso, si lavavano e indossavano i vestiti per onorare il Signore con l’eleganza che si addice ad un giorno di festa, ma a parte ciò, ogni giorno scorreva per loro come un Sabato. Siccome poi nella solitudine della grotta nulla venne mai a turbare la loro concentrazione, in quell’anno le loro anime si elevarono al punto di diventare parte del mondo a venire, mentre il resto del mondo ne era ancora lontanissimo.
Shimon ed Eleazar stavano contemplando le perfezioni eccelse di cui arde il fuoco dell’Eterno, quando fuori della grotta una voce disse: “Un nuovo console inviato da Roma ha abrogato ogni vecchio editto. Grazie al cielo possiamo tornare a studiare e a insegnare”. Subito padre e figlio si riscossero, si lavarono, si vestirono e corsero fuori. Erano ansiosi di tornare dai loro discepoli, ma uno strano incidente glielo impedì. Appena posarono gli occhi sui campi che separavano la grotta dalla città, il grano che i contadini stavano raccogliendo prese improvvisamente fuoco insieme con gli attrezzi da lavoro. Shimon ed Eleazar capirono subito che erano stati i loro sguardi ad appiccare il fuoco, ma come avrebbero potuto impedirsi di guardare?
Tornarono nella grotta a riflettere, rifletterono per tutta la notte e l’indomani tornarono a uscire.
Appena furono in vista dei campi, di nuovo lo sguardo di Shimon divenne una freccia infuocata. Per fortuna lo sguardo di Eleazar ridava vita a tutto quello che gli occhi del padre bruciavano, ma ugualmente essi si affrettarono a rientrare nella grotta, dove rimasero finché non udirono le voci dei contadini che lasciavano il lavoro cantando per accogliere il Sabato. Uscirono, si unirono alla folla festante che si dirigeva verso la città e questa volta i loro occhi si posarono su ogni cosa come una benedizione. Grazie a un vero Sabato da vivere insieme con la sua comunità, anche Shimon bar Jochai era infine tornato sulla terra e aveva compreso che è pericoloso vivere anzitempo di soli Sabati, come si vivrà nell’era messianica. “Finché il mondo intero non sarà pronto a ricevere il Messia”, insegnò poi ai suoi discepoli, “i giorni feriali saranno gli indispensabili gradini che porteranno l’umanità sempre più in alto di Sabato in Sabato, per mezzo delle opere morali che ogni Sabato avrà ispirate e del lavoro materiale che consentirà di vivere in santità Sabati sempre più elevati, fino all’ultimo, eccelso Sabato che aprirà le porte al mondo a venire”.
Questo insegnò Shimon bar Jochai ai discepoli, ma come mai, più di suo figlio, aveva stentato a comprenderlo?
Questo insegnò Shimon bar Jochai ai discepoli, ma come mai, più di suo figlio, aveva stentato a comprenderlo? Perché Shimon amava tanto gli uomini in generale e stimava tanto poco i Romani in particolare, da aver forse creduto che questi avevano abrogato i loro editti perché era iniziata l’era messianica. O forse anche perché, a forza di vivere di soli Sabati, nella grotta aveva bruciato le tappe settimanali che conducono ogni singolo individuo alla perfezione, e non riusciva a togliersi l’ardore della perfezione dagli occhi. Non lo sapremo mai. Sappiamo soltanto che in seguito Shimon bar Jochai insegnò a santificare il Sabato come nessun altro Maestro, e che non sarebbe arrivato a tanto se i Romani non lo avessero costretto a vivere un intero anno di Sabati.
Giacoma Limentani