Il Ghetto di Venezia ospita la prima retrospettiva delle opere di Norman Raeben, artista ebreo ucraino-americano, maestro di Bob Dylan. Nato Numa Rabinovitz nel 1901, era figlio di Sholem Aleichem (alias Shalom Rabinovitz), padre della moderna narrativa yiddish. L’esposizione si potrà visitare dal 24 novembre al 14 gennaio 2025.
Quaranta opere di Raeben, esposte in uno spazio diffuso, propongono un itinerario ideale nei luoghi della sua pittura e dei suoi viaggi – Parigi, New York, Venezia, Provincetown – riscostruendo, assieme, la sua evoluzione artistica e la sua influenza su numerosi artisti americani, intellettuali ebrei immigrati di cultura yiddish. E di artisti e intellettuali ebrei newyorkesi sono i suoi ritratti – Sholem Aleichem, Mary Adler, Pearl Pearson Adler, Luba Harrington, Miriam Kressyn, Bob Haggart, Paul Musikonsky, Bob Dylan, Seymour Osborne, e Stella Adler, che con il Group Theater rivoluzionò la storia del cinema e del teatro americani del Novecento.
L’ultima tappa del percorso porta nell’atelier dell’artista, che dal 1946 si dedicò all’insegnamento all’undicesimo piano della Carnegie Hall. A esporre le teorie artistiche di Raeben è la sua stessa voce attraverso materiali e video di lezione. Fra i lavori di studio di Raeben e dei suoi allievi, figura anche un quadro attribuito al poliedrico Bob Dylan.
Proprio a partire dalle dichiarazioni di Bob Dylan, si è potuto ricostruire l’itinerario artistico di Raeben fra America e Parigi, dove aveva conosciuto Chagall, Soutine, Matisse, Bissière. «Le ragioni che fecero di Raeben un punto di riferimento per gli ambienti ebraico-newyorchesi – spiega Fabio Fantuzzi, Marie Skłodowska-Curie fellow all’Università Ca’ Foscari Venezia e curatore della mostra – dipendono dal fatto che il suo lavoro e le sue teorie sono segnati dalla volontà di ridefinire la cultura e l’identità yiddish e di fonderla in maniera laica e artistica con le tradizioni americane ed europee” per trovare un percorso creativo verso quella che lo storico dell’arte Nico Stringa ha definito “una modernità compatibile».
Uno dei fulcri della mostra, aggiunge Fantuzzi, «è incentrato su due cicli di pastelli di paesaggi urbani: in essi, la ricerca di Raeben di un linguaggio universale raggiunge la sua massima espressione, sfociando in una sorprendente sintesi tra le lezioni del post-impressionismo e della scuola di Parigi e quelle del realismo americano. Emblemi di questo ideale artistico sono le figure umane rapidamente tratteggiate in queste opere, disegnate come sagome effimere che brulicano in un ineffabile spazio urbano, paradigma dell’erranza contemporanea».
Un’altra sezione della mostra è dedicata agli oli, nature morte e vedute di Venezia e di Provincetown, e a ritratti e caricature a pastello e a carboncino. La mostra propone anche materiali inediti: fotografie dello studio dell’artista, immagini digitali ad alta qualità dell’artista e un documentario – Painting: a Laboratory of Aesthetics, girato da Bill e Harvey Fertik – che include quattro lezioni performative di Raeben.
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