Ariel Di Porto*
La tradizione ebraica considera gli animali esseri senzienti, dotati di un’anima. Perciò viene più volte riaffermato il principio di evitare, se possibile, di provocar loro dolore. I grandi leader biblici furono pastori e quella fu la loro “palestra” per guidare il popolo. La sfida è di confrontarsi con chi, umano o animale, non ha voce e non ha potere di opporsi.
Uno degli scopi fondamentali della Torah è quello di costruire un certo tipo di società. Si tratta di un processo estremamente lungo, che richiede più di una generazione, a volte secoli. Come in tutte le grandi imprese, serve progettualità e una direzione. Migliorare le cose, non renderle perfette da subito; trasmettere ai propri figli gli ideali, di modo che possano proseguire il viaggio. Nella storia del pensiero l’atteggiamento dei filosofi nei confronti degli animali è stato ambivalente: alcuni erano convinti che gli animali non avessero un’anima, altri, sotto certi aspetti, si preoccupavano più degli animali che degli esseri umani. È difficile trovare un equilibrio fra questi due estremi. Sotto certi aspetti gli animali sono simili a noi, per altri irrimediabilmente diversi.
La tradizione ebraica, oggetto di un recente e corposo interesse da parte degli studiosi, considera gli animali come esseri senzienti, dotati di un’anima, che possono provare dolore. Con un’espressione densa e poetica il filosofo francese del XIV sec. Ibn Kaspi afferma che gli animali sono «come i nostri padri», che, in una visione pre-darwiniana dell’evoluzione, ci hanno preceduto nella creazione e sono sostanzialmente simili a noi.
Nella tradizione biblica invero troviamo anche l’asina parlante di Bil’am, che ci mostra, nel nostro linguaggio, la visione del mondo degli animali. Nella Bibbia i grandi protagonisti e i destinatari sono gli uomini, ma alcuni brani, come questo, o gli ultimi capitoli del Libro di Giobbe, dove è D. stesso a parlare e dire la sua su questo mondo antropocentrico e popolato invece di creature maestose e sconosciute, ci forniscono spaccati di mondi inattingibili per noi. Proprio perché considerate creature senzienti, un principio importante che emerge all’interno della halakhà, e sovente riaffermato, è il tza’ar ba’alè chayim (“sofferenza degli esseri viventi”), che deve essere, per quanto possibile, evitato. Questo credo sia evidente a tutti.
Per questo, ad esempio, la caccia sportiva non gode di una buona considerazione, così come i grandi cacciatori della Bibbia (Esav e Nimrod), disegnati dai Maestri della tradizione rabbinica con pennellate fosche.
Passando a questioni meno ovvie, potremmo chiederci se scappare da un pollaio, come nel film d’animazione Galline in fuga, debba essere considerato puro istinto animale o piuttosto una fuga per la libertà? Gli animali sono dei soggetti morali, capaci di determinati comportamenti e di perseguire certe virtù, o la coscienza e la conseguente responsabilità sono prerogative esclusivamente umane, che conferiscono all’umanità il dominio sul mondo animale e la supervisione, con maestosità e umiltà, sull’andamento dell’impresa? La questione è tutt’altro che semplice, in fondo condividiamo il 98% del nostro Dna con gli scimpanzé… Le fonti ebraiche, sconosciute ai più, forniscono molti spunti in merito, negli ambiti più disparati, ma non sarà possibile approfondirli in questa sede, dove affronteremo solo alcuni limitati aspetti della precettistica biblica.
Tanti precetti riguardano infatti gli animali, anzitutto come oggetto di prescrizioni, in quanto parte fondamentale del nostro mondo. Riporto alcuni esempi e delle brevissime riflessioni: «Ma il settimo giorno sarà giornata di cessazione dal lavoro dedicata al Signore D. tuo; non farai alcun lavoro né tu né tuo figlio né tua figlia né il tuo schiavo né la tua schiava né il tuo bestiame né il forestiero che si trova nelle tue città» (Es. 20, 10); nel riposo sabbatico esseri umani e animali vengono accomunati, fatto notevole in un’epoca in cui l’imperialismo e lo schiavismo umano abbondavano; «Se tu scorgi l’asino del tuo nemico soccombente sotto il proprio peso, guardati bene dall’abbandonarlo, al contrario lo aiuterai a scaricarlo» (Es. 23, 5);
l’ostilità fra gli uomini non deve danneggiare un povero asino; «Non mettere la museruola al bue mentre trebbia» (Dt 25, 4): così come avviene per gli esseri umani (che tuttavia risentono di un equilibrio più delicato nel rapporto fra datore di lavoro e l’operaio nell’articolazione di tali norme), impedire al bue di nutrirsi mentre lavora sarebbe crudele «Non arerai con un toro e un asino insieme aggiogati» (Dt 22, 10): il toro è più forte dell’asino e pretendere da un asino che svolga il lavoro di un toro sarebbe ingiusto. Un tema fondamentale, che trova espressione in numerosi ambiti, è quello del rispetto della biodiversità e dell’integrità della creazione. «Un animale bovino, o un animale ovino o caprino, lui e suo figlio, non li scannerete nello stesso giorno» (Lv 22, 28); le ricerche sociologiche sul mondo animale hanno evidenziato molti aspetti che accostano gli animali agli uomini, la capacità di creare gruppi, l’altruismo reciproco all’interno del gruppo, la capacità di provare una vasta gamma di sentimenti. Il fortissimo legame fra madre e figlio non si sottrae a tale parallelismo.
«Qualora per caso ti capitasse davanti, per strada, il nido di un uccello, su qualsiasi albero oppure per terra e contenga pulcini o uova e la madre li stia covando, non devi prendere la madre da sopra i figli» (Dt 22, 6); questo comandamento è stato preso in considerazione dalla Mishnà in due passi, secondo i quali un officiante che in preghiera affermi che «La tua misericordia giunge sino al nido dell’uccello viene messo a tacere».
I comandamenti sono anzitutto decreti divini. Se quello fosse il motivo dell’istituzione della norma, scrive Maimonide, anche il consumo di carne sarebbe stato proibito.
Le varie dimensioni emerse non si escludono reciprocamente, ma si compenetrano. Lo scopo finale delle norme è quello della crescita morale del singolo individuo e della società in generale. Non è possibile assumere un atteggiamento schizofrenico rispetto alla ricerca della virtù, mostrarsi gentili con gli esseri umani e crudeli con gli animali. Dobbiamo essere sensibili ai loro bisogni ed evitarne la sofferenza.
Anche se volessimo discutere dei diritti degli animali, in un’epoca segnata a livello generalizzato dall’affermazione dei diritti, dovremmo, piuttosto che sospendere il giudizio per via della difficoltà della questione, concentrarci sui nostri doveri, che prevedono un’attenzione speciale nei confronti dei vari elementi del creato, in un costante, delicato, e a volte doloroso calcolo costi-benefici.
Nel processo di crescita gli animali sono pienamente una componente del quadro, parte integrante della creazione divina. I grandi leader biblici, Abramo, Mosè, David, erano pastori, e quella fu la loro palestra per guidare il popolo. Rebecca fu scelta come moglie di Isacco perché abbeverò i cammelli del servo Eli’ezer, mostrando una compassione fuori dal comune, rivolta a chiunque avesse bisogno di sostegno.
La sfida è sempre la stessa: confrontarsi con coloro che, siano essi umani o animali, non hanno voce e non hanno potere di opporsi. Non è ammissibile dire «non sapevo», tutt’al più «sono stato indifferente». Siamo in grado di raccogliere questa sfida?
*Rabbino capo della comunità ebraica di Torino