Francesco Bechis
“L’antisemitismo contemporaneo è il motore del terrorismo internazionale”. Parola di Fiamma Nirenstein, membro del Jerusalem Center for Public Affairs, giornalista e scrittrice con una carriera in prima linea a difendere il diritto all’esistenza di Israele, una causa che dal 2001 la costringe a girare sotto scorta. Intervenuta martedì all’incontro “Violent extremism, Hate Speeches. Nuove forme di antisemitismo” organizzato dal Centro Studi Americani e dal Bene’ Berith Roma, cui hanno preso parte, fra gli altri, l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata e il sociologo Giorgio Tabasso, ha fatto il punto sul pericolo dell’antisemitismo in Italia. Un tema ritornato al centro del dibattito politico con il disegno di legge di Emanuele Fiano e alcune manifestazioni razziste all’interno degli stadi italiani. Fiamma di nome e di fatto, la giornalista fiorentina non ha lesinato critiche alle strumentalizzazioni che vogliono confinare il fenomeno ad una sola estrema. “Esiste oggi un antisemitismo non politically correct, cui non faccio alcuno sconto, che è legato all’estrema destra, vedi in Grecia Alba Dorata, e poi ancora in Polonia ed Ungheria” spiega Nirenstein, “ne esiste però uno più grande e pericoloso, è l’antisemitismo eliminazionista, contro gli ebrei e lo Stato di Israele nel suo complesso”.
Pur restando la gravità del gesto, non sono le figurine di Anna Frank con la maglia della Roma che preoccupano la giornalista di origini ebraiche. “Chissenefrega di quella banda di deficienti, questo antisemitismo stragista ha tutto un altro carattere”. Non dunque le celtiche o le svastiche sarebbero il volto più violento dell’antisemitismo in Europa, ma l’antisionismo, la negazione di un diritto all’esistenza per lo Stato di Israele. È un sentimento, racconta la Nirenstein, che affonda le sue radici nel Medio Oriente, in una larga parte della famiglia islamica, ma che è divenuto “un’ossessione per i politici e le istituzioni europee, il pane quotidiano delle organizzazioni umanitarie come Amnesty International, una pioggia quotidiana di risoluzioni Onu contro Israele e mai contro l’Iran e l’Arabia Saudita”. Dura la denuncia della risoluzione Onu del novembre 2016 contro gli “insediamenti” israeliani, canto del cigno dell’amministrazione Obama che la Nirestein non esita a definire “un crimine” perché “ha dichiarato, con l’inaspettato supporto della delegazione americana, che Gerusalemme è territorio palestinese”.
Non solo la politica è responsabile di aprire quotidianamente le porte al risentimento anti-israeliano. La scrittrice accusa di complicità anche il sistema mediatico europeo, che sotto le spoglie del blasone e della credibilità dei grandi giornali darebbe voce alla sola causa palestinese. A cominciare dalla stampa made in Italy: “Ricordo quando una giovane donna palestinese si fece saltare in aria uccidendo quindici persone, e venne iconizzata dal Corriere della Sera e da Repubblica” accusa la Nirestein. Che poi punta il dito sulla Chiesa Cattolica, “che si è sempre tirata indietro dal difendere gli ebrei, per paura di una reazione del mondo musulmano-egiziano”.
Più diplomatico l’intervento di Giulio Terzi di Sant’Agata, che non a caso della diplomazia ha fatto la sua carriera, dapprima come Ambasciatore italiano all’Onu e in Israele, e per ultimo come titolare della Farnesina. Non nasconde però la sua simpatia per le battaglie e le accuse della Nirestein, che si sente di confermare dall’alto degli anni trascorsi nelle cancellerie estere. Per l’ex ministro del governo Monti non ci sono dubbi, l’antisemitismo oggi è primariamente una manifestazione interna al mondo islamico. E in particolare di una famiglia di fedeli di Maometto, perché se è senza dubbio vero che “esiste un fondamentalismo di matrice sunnita, quello sciita è più importante per risorse e capacità di penetrazione”. Un odio atavico che non rimane confinato in Iran o in Palestina, ma ha messo le radici in molte delle comunità islamiche europee, soprattutto in Italia, dove “cinque delle sei principali associazioni sciite dimostrano una chiara associazione antisemita”. È il caso di Assadakah, spiega Terzi, “che organizza settimanalmente convegni cui partecipano personaggi di Hezbollah sulla lista dei terroristi del dipartimento di Stato americano, ma anche autorevoli membri della politica italiana”.
C’è infine frustrazione, continua l’ambasciatore, per un vuoto legislativo italiano sul contrasto alla radicalizzazione che non ha eguali in Europa. Un tentativo era giunto con la proposta di introdurre il reato di integralismo islamico firmata da Giorgia Meloni, e poi con il disegno di legge di Stefano Dambruoso e Andrea Manciulli sulla prevenzione del radicalismo jihadista. “La prima è stata respinta automaticamente, succede così in Italia per le proposte delle opposizioni” chiosa Terzi, “il secondo”, conclude, “ha aspettato 18 mesi per poter vedere la luce del giorno alla Camera, ma pare che continuerà a slittare…”.