Davide Nizza
פרשת בא, שמות, י”ב, י”א: מתניכם חגורים
In memoria di Rav Davìd ben Menahèm Avnèr Schaumann, z.l.
Mi sono permessso molti anni fa di elaborare in forma di racconto questo devàr Torà un po’ particolare, che ebbi la fortuna di ascoltare da Rav Schaumann durante uno dei tanti Sciabbadòd passati insieme a Genova.
Si racconta che in una fredda giornata invernale verso la fine del 1700 il Rav Hidà[1], durante uno dei suoi numerosi viaggi, si trovasse su una nave che solcava il Mar Mediterraneo. A bordo si trovavano diversi viaggiatori, tra cui alcuni ebrei, diretti a nord, dato che la nave doveva fare scalo a Livorno, Genova e Nizza.
La giornata era bella e, sebbene il freddo e la brezza fossero pungenti, il Rav se ne stava piacevolmente in coperta alla luce del sole, tenendo tra le mani gli appunti del suo ultimo libro.
“Signor Rabbino, Signor Rabbino…”
Sentendosi chiamare da una voce sommessa, il Rav si voltò da un lato. Era Iossèf ben Efràim, mercante in Provenza, col quale aveva scambiato alcune informazioni di viaggio, quando si era imbarcato all’attracco di Civitavecchia.
“Signor Rabbino, mi scusi, posso disturbarLa?”.
“La prego, signor Iossèf”.
“Vede, signor Rabbino, come Lei sa, tra l’altro io commercio in formaggi, e si dà il caso che abbia avuto l’occasione di acquistare una partita di caciotte, naturalmente cascèr, da una famiglia di contadini ebrei dell’agro romano. Ora Lei capisce che avrei molto piacere se Lei, signor Rabbino, volesse avere la compiacenza di rilasciarmi una sua dichiarazione di cascerùt. Data la sua notorietà, anzi, la sua chiara fama, signor Rabbino, Lei capisce che mi sarà molto più facile vendere le mie caciotte. Naturalmente s’intende che desidero assolutamente che il suo disturbo sia compensato…”.
Il Rav Hidà non rispose subito. Forse stava riflettendo sulla richiesta, che a prima vista sembrava un po’ strana. Inoltre, per quel che gli constava, almeno da quando gli ebrei erano chiusi nel ghetto, non s’era mai sentito che ci fossero ebrei contadini.
“Va bene, signor Iossèf, ma prima di entrare nel merito, se lei permette, vorrei vedere il certificato che certamente le avrà rilasciato il Rabbino del posto”.
“Lei ha ragione, signor Rabbino, è naturale! Purtroppo però si dà il caso che, per una sfortunata combinazione, il signor Rabbino di Pitigliano, l’eccellente Rav Barzillài Servi, mi aveva sì garantito che mi avrebbe rilasciato il certificato; se non che dovette improvvisamente recarsi a Arezzo per la milà di un nipotino, cosicché non fece in tempo a scriverlo… D’altronde io dovevo partire, la nave non mi avrebbe mica aspettato, lei capisce, signor Rabbino. Così sono andate le cose. Ecco perché ho particolarmente bisogno del suo preziosissimo aiuto”.
A questo punto al Rav Hidà fu abbastanza chiaro che aveva a che fare con un personaggio quantomeno poco credibile.
“Capisco, signor Iossèf, capisco. Ma d’altronde anche lei capirà bene che non posso rilasciare una dichiarazione su qualcosa di cui non so praticamente nulla, tranne la sua parola. E la sua testimonianza non può essere presa in considerazione, essendo lei noghéa baddavàr, come lei mi insegna, cioè parte in causa”.
“La prego, signor Rabbino, la prego! Mi aiuti! Si renda conto del danno che ne avrò! Hàsu Hakhamìm al mamonàm scel Israèl[2]!”.
“Va bene, signor Iossèf, faremo così: lei, con suo comodo, scriva al Rav Barzillài di mandarmi la sua dichiarazione e io le farò avere la mia. Adesso la prego, prima di minhà[3] vorrei essere lasciato solo con le mie carte. La saluto, signor Iossèf.”.
Il Rav Hidà credeva che la cosa finisse lì. Nella sua buona fede era lontano dall’immaginare che Iossèf ben Efràim non era uomo da arrendersi facilmente. Insomma, per farla breve, Iossèf andò dal capitano, mise su una storia di cambiali non pagate e, accompagnando le parole con alcune monete, convinse il capitano a mettere il Rav Hidà ai ferri.
Nella fetida sentina il Rav Hidà, dopo essersi ripreso dallo stupore per quello che gli capitava, si mise a riflettere molto attentamente sia in generale, sull’osservanza delle mizvòt[4] e sull’onestà, sia in particolare, sulla cascerùt e sulla sua incolumità personale.
La mattina presto il Rav Hidà mandò a chiamare il capitano, si dichiarò disposto a scrivere il certificato e il giorno seguente poté sbarcare sano e salvo a Livorno.
Qualche giorno dopo anche Iossèf ben Efràim sbarcò, tutto contento, con in mano l’agognato documento scritto di pugno dal Rav Hidà e sigillato dalla sua firma inconfondibile[5]. Senza perdere tempo si recò direttamente dal Rabbino della Comunità locale, Rav Ionà, e gli mostrò il certificato autentico di cascerùt del Rav Hidà per ottenere il visto di commercializzazione nel territorio della Comunità.
Rav Ionà, chiaramente impressionato dall’autorevolezza del certificato, dopo averlo letto con la dovuta attenzione, ebbe un moto di perplessità. Quindi si alzò, prese un libro di Torà, cercò qualcosa e, trovatolo, mutò immediatamente il suo atteggiamento nei confronti Iossèf ben Efràim; dalla cordialità iniziale passò all’alterazione, quasi all’ira e lo congedò freddamente, negandogli fermamente il suo assenso.
Il povero Iossèf ben Efràim, rassegnato, se ne andò portandosi dietro la domanda: ma come ha fatto Rav Ionà a indovinare che le caciotte non erano cascèr? Eppure il certificato del Rav Hidà era assolutamente autentico!
Dopo aver letto il certificato di cascerùt, il Rav Ionà controllò la data, che, secondo l’uso antico, indicava il giorno della settimana, mentre la settimana era precisata dalla citazione di un versetto della parascià settimanale. In questo caso il Rav Hidà aveva scritto più o meno così:
יום ב’, מתניכם חגורים, שמות
ioè: 2° giorno (lunedì) della settimana della parascià di Bo, in cui (cap. 12, v.11) si legge: “E così lo mangerete il sacrificio pasquale): i vostri fianchi siano cinti (motnekhèm hagurìm), ecc.”.
“Ma perché” si era chiesto il Rav Ionà “il Rav Hidà ha aggiunto שמות (Scemòt, Esodo)? Mi ha preso per un ignorante? Come può pensare che un rabbino non sappia che la parascià di Bo è nel libro di Scemòt?”. Guardò con maggiore attenzione e notò che la parola Scemòt era scritta più in piccolo e sopra ogni carattere compariva un puntino, il che è uno dei modi di indicare che la parola va letta come sigla. Subito il Rav Ionà si ricordò che in ebraico scemòt è la sigla di scenàim Mikrà ve-hàd Targùm, cioè: due versetti biblici e uno di Targùm (antica traduzione aramaica), con riferimento all’uso di leggere appunto in questo modo la parascià settimanale. Il Rav capì che doveva consultare il Targùm e, tra i diversi targumìm, scelse per primo il più noto, che è il Targùm Onkelos. Lo aprì e, cercato il passo corrispondente, lesse:
חרציכון יהון אסירין Harzekhòn iehòn assirìn, che in aramaico traduce “i vostri fianchi siano cinti”, ma in ebraico può significare: “le vostre fette (di formaggio) siano vietate”…
Postilla.
Per più di trent’anni ho cercato, sporadicamente, la fonte di questa storia, ma evidentemente non con sufficiente impegno. Un anno dopo la mia alià (2004), dopo che finalmente avevo trovato il tempo di scriverela, ho fatto conoscenza con un vicino di casa, il Dr. Rahamìm Melamed-Cohen. Rahamìm è una persona di straordinaria umanità e cultura e siamo subito divenuti amici con le rispettive consorti. Rahamìm è stato colpito dalla SLA 11 anni fa: è costretto su una sedia a rotelle, respira tramite un apparecchio e per scrivere utilizza un programma speciale di videoscrittura, che attiva col solo movimento di cui dispone, quello degli occhi. Solo negli anni della malattia ha scritto 7 libri. Uno di questi si intitola “Le-séder…”, essendo una raccolta e una classificazione di citazioni bibliche per argomenti attinenti alla paracià settimanale (לסדר…הוצ’ ראובן מס, ירושלים, 2003). E ecco che proprio lì, nell’introduzione a p. 4, ho trovato il racconto riportato in sintesi e la sua fonte:
מ’ כהן, על התורה, הוצ’ ראובן מס, ירושלים, 1962, עמ’ קפ”ט, פרשת בא.
[1] Acronimo di Haìm Iossèf Davìd Azulai (Gerusalemme 1724 – Livorno 1806), famoso Maestro, studioso, scrittore, bibliografo e viaggiatore.
[2] I Maestri cercano di evitare danni economici agli ebrei.
[3] Preghiera pomeridiana.
[4] Precetti.
[5] E quasi inimitabile: v. la riproduzione della firma del Rav Hidà in E.J., III, 913.