Francesco Lucrezi
È stato già sottolineato l’eccezionale rilievo, sul piano culturale, del mirabile progetto della traduzione in italiano del Talmud. Ciò che va ancora evidenziato è come tale opera, oltre a dare un enorme contributo alla conoscenza della tradizione e della cultura ebraica, sia certamente destinata a determinare un profondo e duraturo impulso sul piano della ricerca storico-giuridica, i cui effetti potranno essere compiutamente misurati, verosimilmente, solo negli anni e nei decenni a venire. Questa traduzione, infatti, permetterà a generazioni di studiosi dei diritti antichi, nonché di diritti positivi, di filosofia del diritto e di comparazione storico giuridica, di acquisire una conoscenza diretta – sia pure mediata dal filtro della traduzione – di un corpus giurisprudenziale di straordinaria importanza, che spicca, nel panorama universale delle fonti del diritto, per la sua assoluta unicità, che è poi la stessa unicità della posizione occupata, tra tutte le esperienze giuridiche antiche e moderne, dal diritto ebraico: unico, tra tutti i diritti dell’antichità, a essere ancora, a tutti gli effetti, un diritto vivente, alimentato da un patrimonio sapienziale di incomparabile ampiezza – in gran parte inesplorato extra moenia -, nel quale fonti e interpretazioni antiche e moderne si intrecciano in un continuum senza cesure né soluzioni di continuità.
La conoscenza del Talmud permetterà a fasce sempre più ampie di studiosi di toccare con mano la peculiare realtà di un sapere giuridico che, a distanza di millenni, resta, a tutti gli effetti, ancor oggi un diritto positivo, oggetto di concreta interpretazione e applicazione in tutti i luoghi del mondo dove esistano batè ha-midràsh, yeshivòt e batè din, scuole, accademie e tribunali rabbinici deputati allo studio e all’attuazione della halachah, conformemente alla lettera del testo mosaico e alla tradizione dell’interpretazione rabbinica.
Se la ‘lunga durata’ (secondo la nota espressione di Braudel) non caratterizza unicamente il diritto ebraico – in quanto una continuità plurimillenaria si può riscontrare anche per altre culture giuridiche antiche (come il diritto romano e, prima di esso, quello egizio e mesopotamico) -, il diritto ebraico è l’unico a interessare la comunicazione attraverso pietra, pergamena, carta stampata, televisione e web, i trasporti tramite cammello, cavallo, nave, ferrovia, automobile, aereo e astronave, la medicina dagli infusi di radici alla crioconservazione degli embrioni. Non c’è giorno, si può dire, in cui i progressi della scienza e della tecnica non richiedano un’interpretazione attualizzante della norma mosaica: identica e immutabile nella sua lettera, in continua evoluzione nella pratica applicazione quotidiana. Non esiste al mondo alcun altro diritto che possa dirsi, al contempo, antico e moderno, che chieda di essere studiato per comprendere le risoluzioni delle controversie al tempo di Nabuccodonosor e di Cesare così come per definire e comporre e le dispute di oggi. E nessuna raccolta, al pari del Talmud, è al contempo una fonte di storia giuridica antica, come il Codice di Hammurabi o le XII Tavole, e un Codice di diritto positivo, come i vigenti codici italiano, francese, tedesco.
Soltanto per il diritto ebraico, e segnatamente per il Talmud, si rivela improponibile la consueta, fondamentale distinzione tra fonti e dottrina, che segna costantemente l’approccio nei confronti di qualsiasi altra tradizione giuridica. In uno studio, per esempio, delle antiche leggi regieromane, è evidente che i passi degli antichi grammatici, pontefici e giureconsulti ad esse dedicati rappresentano le fonti a nostra disposizione, mentre le argomentazioni degli umanisti e poi degli storici e dei giuristi moderni e contemporanei sul tema integrano la dottrina in materia, che come tale va considerata. Ma, per uno studio della halachah, i commenti medioevali di Rashi e di Maimonide, così come lo Shulchan Aruch o le interpretazioni rabbiniche dei giorni d’oggi, si pongono esattamente sullo stesso piano dell’antiche dispute dottrinarie, e richiedono un’analoga impostazione di analisi.
C’è un’ampia discussione, tra gli storici del diritto, intorno al problema se, e in che misura, alcuni tra i diritti antichi (tra cui, soprattutto, il diritto romano) possano essere considerati “diritti morti”, e di cosa ciò possa concretamente significare. Potrà avere effetti dirompenti, su tale dibattito, poter conoscere da vicino un diritto e un testo, come il Talmùd, insieme antico e moderno, che si pongono su un piano “metatemporale” (com’è scritto nella Meghillà di Ester, “non c’è un prima e un dopo nella Torah”), e per i quali la parola morte, semplicemente, non esiste. E molti giuristi, ancora intenti a valutare le moltiplicate possibilità offerte, nell’esegesi testuale, dall’era informatica, resteranno stupefatti nel toccare con mano come il cd. ‘ipertesto’ sia stato inventato proprio col Talmùd (in cui le pagine della Mishnah sono incorniciate e ‘amplificate’ dai commenti della ghemarà), quasi un paio di millenni prima di internet.
Francesco Lucrezi, storico
http://moked.it/blog/2016/05/11/periscopio-lora-del-talmud/